Previsioni riunione Fed 29 ottobre. Powell taglia (ancora) i tassi negli USA?

Laura Naka Antonelli

27 Ottobre 2025 - 16:56

Riunione Fed alle porte, cosa deciderà di fare Powell sui tassi? Non mancano gli alert legati alle pressioni di Donald Trump.

Previsioni riunione Fed 29 ottobre. Powell taglia (ancora) i tassi negli USA?

Giusto una manciata di giorni e, in tempi di shutdown degli Stati Uniti, i mercati di tutto il mondo conosceranno il nuovo verdetto della Fed di Jerome Powell sui tassi di interesse.

Cosa prevedono i mercati stessi e gli addetti ai lavori? In evidenza le previsioni per l’esito della riunione del FOMC - il braccio di politica monetaria della Banca centrale americana - che inizierà domani martedì 28 ottobre e che si concluderà dopodomani, mercoledì 29 ottobre 2025 alle 19 ora italiana, a seguito del ritorno all’ora solare in Italia. Ritorno che non è avvenuto ancora negli States.

Di seguito, alle 19.30 ora italiana, il presidente della Federal Reserve Jerome Powell, come di consueto, risponderà alle domande dei giornalisti nella conferenza stampa che segue l’annuncio sui tassi USA, commentando le decisioni prese dall’istituzione.

Tassi Fed, verso nuovo taglio al minimo da fine 2022?

Le previsioni dei mercati e degli economisti danno per certo l’annuncio di un secondo taglio consecutivo dei tassi dopo il primo del 2025 che è stato deciso, a dispetto degli appelli ripetuti da parte del presidente USA Donald Trump piombati a Wall Street dall’inizio della sua amministrazione, soltanto lo scorso 17 settembre, quando la Fed ha tagliato i tassi di 25 punti base, portandoli alla forchetta attuale, compresa tra il 4% e il 4,25%.

Quella riduzione tanto attesa è stata accompagnata, va ricordato, da un dot plot che ha deluso i mercati, nello specifico le aspettative delle colombe. Colombe che sono rimaste scottate anche dalle dichiarazioni del presidente della Fed Jerome Powell, che si è mostrato ottimista nei confronti della resilienza dei fondamentali economici degli Stati Uniti, escludendo la necessità anche solo di considerare una maxi riduzione del costo del denaro pari a -50 punti base.

Detto questo, non ci sono dubbi sul fatto che dopodomani la Fed taglierà di nuovo i tassi.

Stando allo strumento che esprime le aspettative dei mercati, ovvero il FedWatch del CME Group, gli investitori scommettono su una sforbiciata di 25 punti base, che porterà i tassi sui fed funds alla nuova forchetta compresa tra il 3,75% e il 4%, ovvero al livello più basso dal dicembre del 2022.

Secondo taglio tassi Fed nel 2025 cosa fatta? Cosa dicono i mercati e gli esperti

I mercati puntano per la precisione su un altro taglio, dopo il primo del 2025 a settembre che è stato anche il primo dal dicembre del 2024, con una probabilità pari a ben il 97%.

Si tratta di una “ cosa fatta ”, come hanno commentato gli economisti di Deutsche Bank guidati da Amy Yang. E si tratta di qualcosa che dovrebbe anticipare anche l’arrivo di altre riduzioni, tra le quali una nell’ultima riunione del FOMC prevista a dicembre:

Sebbene una buona parte della Commissione vorrebbe probabilmente segnalare che un allentamento a dicembre non dovrebbe essere dato per scontato, crediamo che questa alternativa di comunicazione potrebbe essere considerata troppo hawkish dalla leadership ” della Banca centrale, ha scritto in una nota riportata dall’agenzia di stampa Reuters il responsabile della divisione di economia USA di JPMorgan Michael Feroli.

Detto questo, gli analisti sono concordi nel ritenere che, dal presidente Jerome Powell, non arriverà alcuna promessa su eventuali futuri tagli, soprattutto guardando all’ultimo meeting dell’anno di dicembre.

Molte incognite sono d’altronde onnipresenti, così come permangono gli interrogativi sulla direzione futura dei prezzi, condizionati dall’impatto dei dazi decisi dal presidente americano Donald Trump sul trend dell’inflazione USA.

Non solo. Nel caso in cui lo shutdown, ovvero il congelamento di diverse attività federali USA, si concludesse, la Fed potrebbe ritrovarsi con ben tre rapporti occupazionali degli Stati Uniti - i cosiddetti Non Farm Payrolls - tra oggi e il mese di dicembre, che potrebbero fornire informazioni tali da modificare la percezione che Powell & Co. hanno al momento sulle condizioni di salute del mercato del lavoro. In poche parole, tutto potrebbe finire con l’essere messo in discussione in qualsiasi momento.

Se Powell ha tagliato i tassi a settembre, è stato infatti soprattutto a causa della decisione di concentrarsi più sul rallentamento dell’occupazione e dunque sull’erosione del mercato del lavoro che sul trend dell’inflazione, che in USA rimane tuttora drammaticamente superiore al target della Fed pari al 2%. Ma se i numeri sui Nom Farm Payrolls si confermassero invece più solidi delle aspettative, in un contesto di prezzi ancora ostinatamente troppo alti?

Di fatto, il trend dei prezzi può essere stato anche più debole di quanto atteso dal consensus, come ha dimostrato l’ultimo dato sull’inflazione USA, ma ciò non toglie che la Fed di Powell sia ben lontana dal poter dire di aver compiuto la propria missione, tanto che non mancano gli economisti che stanno lanciando da un po’ più di un attenti al banchiere centrale.

Sono gli stessi mercati finanziari a nutrire tuttavia aspettative dovish, visto che mettono in conto non solo un taglio dei tassi a dicembre, ma anche nella riunione di gennaio 2026.

Tassi Fed, il dilemma: l’inflazione USA morde ancora

Filippo Casagrande, chief of investments di Generali Investments, ha annunciato con la pubblicazione di una sua nota le previsioni sul trend dei tassi in USA, facendo notare che “c’è un largo consenso che la Fed effettuerà un nuovo taglio di 25 punti base, portando il corridoio di riferimento al 3,75% - 4,00%” e ricordando anche che “il presidente Powell, nel suo ultimo discorso, ha chiaramente aperto alla possibilità di nuove riduzioni entro fine anno, pur suggerendo che l’approccio rimarrà prudente e graduale, con decisioni prese di meeting in meeting”.

Il motivo di altri tagli si riassume, per l’appunto, nel “ rallentamento del mercato del lavoro , sebbene la crescita economia resti solida”. E’ questa, secondo Casagrande, la principale motivazione per l’arrivo dei tagli.

Allo stesso tempo, ha scritto il responsabile della divisione degli investimenti di Generali Investments, “Powell ha sottolineato come l’inflazione rimanga sopra il target, e molti analisti ritengono che i dazi debbano ancora impattare al rialzo i numeri di inflazione nei prossimi sei mesi”.

Non per niente le previsioni “sull’inflazione sono del +2,8% nel 2025 (invariata) e +2,9% nel 2026 (in marginale rialzo rispetto ad un mese fa)”.

Non solo: “ Il miglioramento dei dati sui consumi negli Stati Uniti si è tradotto in una revisione al rialzo delle stime degli analisti. La crescita media prevista per il 2025 sale dal +1,6% al +1,8%, mentre quella per il 2026 migliora dal +1,7% al +1,8% ”.

Generali Investments vede tre tagli dei tassi Fed nel 2026

Non si può dunque certo parlare di segnali che descrivono un’economia ansiosa di ricevere un sostegno per via di altri tagli dei tassi da parte della Federal Reserve.

Detto questo, conclude Casagrande, “guardando al pricing di mercato, il consenso per la Fed è di due tagli entro fine anno (il secondo nel meeting del 10 dicembre) e di tre tagli nel 2026, di cui i primi due entro giugno, sostanzialmente in linea con le aspettative del mese scorso”.

Altro che dot plot dello stesso FOMC, che prevede una sola sforbiciata nel 2026.

Inoltre, per Casagrande l’altra notizia che arriverà dalla Fed sarà anche “ la fine del Quantitative Tightening , la riduzione del bilancio della Fed”.

Un’altra mossa dovish, dunque, da parte della Federal Reserve, che rischierebbe però a questo punto di impostare una politica monetaria sempre più trumpiana, azzerando tutti gli sforzi che Powell ha fatto per rivendicare l’indipendenza dell’istituzione, quando è finito ripetutamente sotto attacco, bollato “idiota”, “stupido”, “testa vuota” dal presidente americano Donald Trump, a causa della sua ostinazione a non tagliare i tassi fino al settembre del 2025.

Fed nelle mani di Trump, inflazione fuori controllo e di nuovo in tilt? La grande paura

In evidenza a tal proposito il commento di Julian Howard, Chief Multi-Asset Investment Strategist di GAMPronti per una Fed trumpiana?”, che lancia il seguente avvertimento, dopo aver manifestato il timore che la Federal Reserve finisca davvero per perdere la propria indipendenza a causa delle pressioni continue di Trump:

“Come accennato, l’indice CPI negli Stati Uniti è già più alto del previsto, in gran parte a causa delle elevate aspettative di inflazione nel contesto della guerra commerciale che l’amministrazione sta combattendo. L’eliminazione dell’indipendenza della Fed distruggerebbe probabilmente ogni speranza che i tassi possano essere utilizzati per controllare l’inflazione. In effetti, la letteratura accademica sostiene che l’esistenza stessa di una banca centrale indipendente ha dimostrato di scoraggiare le aspettative inflazionistiche”.

A tal proposito, “quando il 6 maggio 1997 è stata annunciata l’indipendenza della BoE (Bank of England), il mercato dei Titoli di Stato ha rapidamente scontato un calo dell’inflazione nei prossimi anni”, il che fa pensare che “è probabile che la rimozione della stessa indipendenza dalla Fed avrebbe l’effetto opposto, aumentando le aspettative inflazionistiche. E il momento non potrebbe essere peggiore, con l’inflazione già elevata a causa dell’incertezza sui dazi”.

Di fatto, “ con la presunta rimozione del mandato sull’inflazione , non ci sarebbe più alcuna garanzia per gli operatori di mercato che l’inflazione sarebbe stata alla fine tenuta sotto controllo da un’istituzione il cui scopo proprio era quello di combatterla. Le aspettative inflazionistiche decollerebbero e l’inflazione effettiva seguirebbe poco dopo, come quasi sempre accade quando le aspettative aumentano. Allo stesso modo, il dollaro statunitense probabilmente si deprezzerebbe ulteriormente, poiché la fiducia nel sistema finanziario statunitense verrebbe meno e il capitale globale cercherebbe tassi di interesse migliori altrove”.

Insomma, il timore di una Fed sempre più in stile Trump nonostante i tentativi di Powell di difenderne l’indipendenza è forte.

Dall’altro lato, in caso di erosione dei fondamentali dell’economia più forte di quanto si tema, proprio questo potrebbe portare Jerome Powell a impuntarsi a essere meno dovish di quanto, forse, sarebbe necessario. E anche questo sarebbe un grande problema.

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