Trump è tornato all’attacco, definendo Powell “uno stupido alla Fed”. Ma il banchiere ha tenuto il punto a causa dell’incognita dell’effetto dazi. L’emicrania rimane l’inflazione.
Inutile che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump continui a strepitare e ad alzare la voce. Dall’alto del suo aplomb britannico, il presidente della Fed Jerome Powell continua a fare orecchie da mercante.
D’altronde, tocca a lui tenere sotto controllo la situazione, o meglio l’inflazione: minaccia che il capo della Casa Bianca ha deciso di ignorare del tutto, nel momento in cui si è messo all’opera per punire i vari partner commerciali degli Stati Uniti a colpi di dazi. Dazi che daranno una spinta ai prezzi, in quanto si tradurranno in costi maggiori per le aziende americane importatrici. E dazi che, necessariamente, avranno un impatto anche sui prezzi dei prodotti al consumo.
A ricordarlo è stato oggi lo stesso Jerome Powell, segnalando che “molte, molte aziende prevedono di trasferire alcuni o tutti gli effetti dei dazi sui consumatori ”.
Dunque, con le pressioni inflazionistiche pronte a riaccendersi, i tassi sui fed funds USA non solo sono restati oggi dov’erano, ma sono molto probabilmente destinati a rimanere a quei livelli per ancora un po’.
Quanto? Non è dato sapere, visto che, ha detto il timoniere della Federal Reserve, bisognerà aspettare un po’ per comprendere le reali conseguenze di quelle tariffe che per ora sono state messe in pausa e che non sono dunque neanche operative. L’incertezza è tale da avallare che i tassi rimangano inchiodati al range compreso tra il 4,25% e il 4,5%. Almeno secondo Powell.
Gli insulti di Trump non hanno dunque prodotto alcun effetto sulle decisioni di politica monetaria del FOMC, il braccio di politica monetaria della Banca centrale americana.
L’ultimo insulto diretto a Powell è arrivato proprio oggi, a poche ore dall’annuncio sui tassi: “Uno stupido alla Fed”, ha detto il presidente americano, commentando l’ostinazione di Powell a non tagliare i tassi, dopo averlo bollato qualche giorno fa “testa vuota”.
In evidenza anche il paragone che Trump ha fatto tra la politica monetaria della Federal Reserve e quella della BCE. “Dunque, siamo alle prese con un individuo stupido. Francamente, probabilmente oggi non taglierai”, ha detto, parlando dalla Casa Bianca, nel rivolgersi direttamente a Powell.
La lamentatio non si è fermata qui: “ In Europa ci sono stati 10 tagli, da noi neanche uno. Suppongo che (Powell) sia un politico, non so. È un politico che non è intelligente, che sta costando al Paese una fortuna ”.
Ma il presidente della Fed ha di nuovo alzato le spalle, andando dritto per la sua strada.
D’altronde, in palio c’è l’indipendenza della Banca centrale americana, che verrebbe messa subito in dubbio dai mercati, se Powell si piegasse ai desiderata di Trump.
Dalla Fed le nuove previsioni economiche su PIL-inflazione USA e il nuovo dot plot
Va segnalato che oggi Wall Street e i mercati finanziari globali non hanno conosciuto soltanto il verdetto sui tassi.
Così come avviene con cadenza trimestrale, la banca centrale americana ha diffuso infatti anche le nuove proiezioni sul PIL, sull’inflazione e sul tasso di disoccupazione degli States relativi a quest’anno e al prossimo biennio 2026-2027, diramando il comunicato noto come Summary of Economic Projections, ovvero come Sommario delle Proiezioni economiche, la cui precedente edizione risaliva allo scorso 19 marzo.
Le novità non sono state affatto confortanti, in quanto il nuovo outlook ha confermato il rischio di una economia destinata a rimanere vittima di una stagflazione.
Le stime sul PIL sono state riviste infatti al ribasso, mentre quelle sull’inflazione al rialzo.
La Fed prevede ora una crescita del PIL USA di appena l’1,4% nel 2025 (inferiore di 0,3 punti percentuali rispetto alle previsioni di marzo), e un tasso di inflazione in rialzo fino al 3%, rispetto al precedente 2,7% reso noto nelle precedenti proiezioni di marzo.
Per quanto riguarda l’inflazione core (riferimento al PCE core), ora le stime mediane sono di un aumento nel 2025 fino al 3,1%, rispetto al precedente 2,8% atteso.
L’inflazione, dunque, è destinata a salire con l’effetto dei dazi di Trump. E Powell non se la sente proprio di mollare la presa sui prezzi e dunque a iniziare a sforbiciare i tassi, visto che le stesse previsioni sono soggette a un livello di incertezza molto alto. La verità è che c’è bisogno ancora di tempo prima di capire cosa succederà sia alla crescita del PIL USA che all’inflazione, una volta che le tariffe di Trump entreranno in vigore.
Lo ha detto lo stesso Powell: “ è necessario un po’ di tempo prima che le tariffe dispieghino i loro effetti lungo la catena di distribuzione fino al consumatore finale. Un buon esempio è rappresentato da quei prodotti che oggi i retailer stanno vendendo che probabilmente sono stati importati diversi mesi fa, prima che i dazi venissero imposti. Dunque, stiamo iniziando a vedere qualche effetto, così come ci aspettiamo di vederne molti altri nel corso dei prossimi mesi ”.
A fronte di questa incognita la notizia confortante, per la Federal Reserve, è che i tagli dei tassi non sono al momento urgenti, in quanto l’economia americana sta bene e non sta lanciando alcuna richiesta di aiuto: “L’economia è tuttora solida, dunque possiamo prenderci del tempo per capire cosa succederà”.
Dunque? Quando si paleserà il primo taglio dei tassi del 2025? La Fed non ha fretta: “Prenderemo decisioni più rapide se aspetteremo un paio di mesi o il tempo che sarà necessario ”.
Per chi come Trump auspica l’arrivo delle sforbiciate, la buona notizia è arrivata con la pubblicazione del dot plot, il grafico a punti che include le previsioni degli esponenti del FOMC sulla direzione futura dei tassi.
Almeno per il 2025, variazioni non ce ne sono state: le proiezioni continuano a puntare su due riduzioni nel corso dell’anno anche se, rispetto al dot plot di marzo, si stima ora un taglio in meno nel 2026 e uno in meno anche nel 2027. Risultato: la Fed dovrebbe ridurre in tutto i tassi, nel periodo compreso tra il 2025 e il 2027, di 100 punti base.
E’ stato tuttavia lo stesso Jerome Powell a consigliare ai mercati di non interpretare in modo troppo stringente le nuove previsioni economiche e il nuovo dot plot della Fed. Questo, mentre si avvicina la data clou (o meglio mentre si avvicinano le date clou), in cui scadrà la pausa che il presidente Trump ha deciso di mettere alla maggior parte dei dazi reciproci annunciati e inflitti contro praticamente tutti i partner commerciali degli Stati Uniti lo scorso 2 aprile, giorno che passerà alla storia come Liberation Day.
La data da cerchiare in rosso per la maggior parte dei partner commerciali degli Stati Uniti è quella del prossimo 8 luglio mentre, nel caso dei dazi imposti sui beni UE importati dagli Stati Uniti, l’entrata in vigore dei dazi è attesa per il prossimo 9 luglio.
Saranno quelli i giorni in cui il mondo conoscerà molto probabilmente l’esito dei negoziati che l’amministrazione Trump sta portando avanti con diversi Paesi, al fine di raggiungere un accordo sulle tariffe, che ne possa limitare la portata.
Passeranno poi diverse altre settimane prima che le banche centrali riescano a conoscere il vero impatto delle restrizioni con cui il tycoon ha mollato una grande sberla al commercio globale.
Fino a che punto, nel caso della Federal Reserve, i dazi si tradurranno in un aumento dell’inflazione USA, deteriorando al contempo la crescita del prodotto interno lordo? E le eventuali ritorsioni da parte delle economie colpite dalla furia di Trump saranno imponenti? Oppure, le trattative febbrili di questi ultimi giorni riusciranno a scongiurare il peggio?
Su quali asset finanziari, inoltre, gli investitori decideranno di rifugiarsi, per difendere i loro portafogli? Conoscere la reazione dei mercati sarà cruciale per la stessa Fed, in quanto la dinamica dei rapporti di cambio sul mercato del forex influenzerà necessariamente il trend non solo delle esportazioni e delle importazioni dei tutti i Paesi coinvolti, ma anche quello dell’inflazione.
Basta guardare a cosa sta accadendo già in Svizzera, tra l’altro non l’unica economia per cui è stato lanciato già da un po’ l’allarme sulla deflazione (sebbene quella in cui il pericolo si sia fatto realtà, come confermato dagli ultimi numeri relativi all’inflazione). Negli Stati Uniti di Trump, invece, ciò che si teme non è l’intensificarsi di pressioni disinflazionistiche che arrivino a partorire un contesto di deflazione, ma l’opposto.
Di qui, l’ostinazione con cui Jerome Powell, imperturbabile di fronte agli appelli ed epiteti lanciati dal presidente Trump, continuerà a portare avanti la strategia del wait and see, ovvero dell’attendismo, non solo in questo meeting di giugno, ma anche a luglio e fino a settembre.
L’attesa potrebbe diventare ancora più lunga, in una situazione in cui qualche strategist non ha nascosto di sospettare che i tagli USA potrebbero essere anche non tagliati affatto nel corso del 2025.
E ora per la Fed c’è anche l’ansia per i prezzi del petrolio
Prima dell’annuncio sui tassi Gilles Moëc, Group Chief Economist di AXA IM, ha commentato la situazione attuale, citando il nuovo fattore rappresentato dall’escalation delle tensioni in Medio Oriente. Un fattore che “mette in dubbio quello che finora era stato uno dei pochi venti favorevoli all’economia globale: il calo dei prezzi del petrolio ” e che, praticamente, complica il lavoro delle banche centrali.
Se i prezzi del petrolio torneranno a infiammarsi, l’inflazione delle economie accelererà infatti ulteriormente il passo. E due sono, secondo l’economista di AXA IM, “ i parametri da monitorare per valutare il rischio di uno shock petrolifero prolungato: la posizione dei Paesi del Golfo – in particolare dell’Arabia Saudita – sull’offerta di greggio, e la probabilità di un’interruzione dei flussi attraverso lo Stretto di Hormuz ”.
Certo, “è ancora troppo presto per trarre conclusioni, ma in linea generale il rischio appare ancora contenibile”, ha aggiunto Moëc, spiegando che, “ se non fosse per questi shock esogeni – i dazi e il petrolio – si direbbe che la Fed abbia portato a termine con successo il ciclo di politica monetaria post-pandemia, per riprendere le parole usate due settimane fa da Christine Lagarde in riferimento alla BCE”.
Occhio inoltre all’ultimo dato relativo all’inflazione consumo (CPI) di maggio. Tra l’altro, “ colpisce l’assenza di segnali tangibili che indichino un impatto dei dazi sui prezzi , dato che anche i beni manifatturieri core restano su livelli contenuti – smentendo, almeno in apparenza, la valutazione della Fed sulla prima guerra commerciale del 2018-2019, secondo cui il pass-through sarebbe stato rapido”.
La cautela è tuttavia un diktat visto che “una differenza fondamentale rispetto ad allora è rappresentata dal fatto che il livello di preparazione dei player economici statunitensi questa volta è decisamente più alto – l’accumulo di scorte potrebbe ritardare la trasmissione dell’impatto inflazionistico”.
Money.it ha seguito gli aggiornamenti del Fed Day e la reazione dei mercati in diretta
Fed, conclusa la conferenza stampa di Powell
Si è conclusa la conferenza stampa successiva all’annuncio sui tassi da parte della Fed, con cui Jerome Powell ha risposto alle domande dei giornalisti su quelle che potranno essere le decisioni sui tassi che saranno prese dalla Banca centrale americana.
Fed, Powell: molte, molte aziende prevedono di trasferire ai consumatori alcuni o tutti gli effetti dei dazi
“ Prevediamo un’inflazione significativa nel corso dei prossimi mesi ”, ma “l’economia è tuttora solida, dunque possiamo prenderci del tempo per vedere quello che succederà. Prenderemo decisioni più rapide se aspetteremo un paio di mesi o il tempo che sarà necessario” prendere, ha detto Powell, parlando dell’effetto che i dazi di Trump avranno sull’inflazione degli Stati Uniti, e lasciando presupporre che il primo taglio dei tassi non sia sicuramente dietro l’angolo. Tra l’altro, “molte, molte aziende prevedono di trasferire alcuni o tutti gli effetti dei dazi sui consumatori ”.
“ L’offerta di lavoro sta diminuendo a causa dell’immigrazione più bassa , anche la domanda sta scendendo e questo sta facendo sì che la disoccupazione rimanga ragionevolmente stabile”.
Dollaro su con parole Powell e tagli tassi ancora lontani
Il colpo di reni del dollaro USA porta l’euro in territorio negativo. Dopo aver superato la soglia di $1,15, il rapporto euro-dollaro è ora sotto pressione, cedendo lo 0,14% circa, a quota $1,1463. Il dollaro azzera inoltre le perdite sullo yen, con il rapporto USD-JPY piatto a JPY 145,19. Il cambio GBP-USD arretra dello 0,16% circa a $1,3404.
Powell parla, Wall Street azzera i guadagni, poi ci ripensa
Mentre il presidente della Fed Jerome Powell continua a parlare, chiarendo come la Fed non abbia alcuna fretta di tagliare i tassi, in quanto deve ancora vagliare le conseguenze dei dazi sull’economia USA, Wall Street azzera i guadagni, per poi ripuntare debolmente verso l’alto. Il Dow Jones sale dello 0,08%, lo S&P avanza dello 0,10%, mentre il Nasdaq mette a segno un progresso dello 0,20%.
Powell, dazi continueranno a dispiegare i loro effetti nei prossimi mesi
Rimane tuttora troppo presto fare la conta dei danni che saranno inflitti all’economia dai dazi decisi dall’amministrazione Trump. Lo ha detto Powell, sottolineando che “ è necessario un po’ di tempo prima che le tariffe dispieghino i loro effetti lungo la catena di distribuzione fino al consumatore finale . Un buon esempio è rappresentato da quei prodotti che oggi i retailer stanno vendendo che probabilmente sono stati importati diversi mesi fa, prima che i dazi venissero imposti. Dunque, stiamo iniziando a vedere qualche effetto, così come ci aspettiamo di vederne molti altri nel corso dei prossimi mesi ”.
Il commento dell’economista
Robert Lind, economista di Capital Group, commenta l’esito della riunione del FOMC facendo notare che “la decisione della Fed di mantenere invariati i tassi sottolinea il delicato equilibrio che deve affrontare in un contesto caratterizzato da inflazione persistente, rallentamento della crescita statunitense e maggiore incertezza politica ”.
Lind continua, sottolineando che, “sebbene i dazi e le tensioni geopolitiche abbiano pesato sul sentiment e sull’attività economica, riteniamo che questo sia il momento di rimanere concentrati sui fondamentali a lungo termine. La storia dimostra che i mercati sono in grado di adattarsi e riprendersi, anche di fronte a perturbazioni significative ”.
“In questo contesto, continuiamo ad adottare un approccio misurato, privilegiando il tempo e non il market timing, e rimaniamo ancorati a un’analisi disciplinata e bottom-up per navigare attraverso la volatilità e identificare opportunità durature”, ha concluso l’economista di Capital Group.
Wall Street in lieve rialzo mentre Powell parla
Rimane positivo il trend di Wall Street, mentre Powell risponde in conferenza stampa ai giornalisti, che lo stanno interrogando sulla direzione futura dei tassi, che oggi sono stati lasciati di nuovo fermi, al range compreso tra il 4,25% e il 4,5%. Il Dow Jones sale dello 0,31%, a 42.344,90 punti, in crescita di 130 punti circa. Sale dello 0,30% anche lo S&P 500, avanzando a 6001,56 punti, mentre il Nasdaq riporta un progresso dello 0,45%, a 19.609,41 punti.
Fed, Powell: nostre previsioni non sono un piano, sono soggette a incertezza
“ Il nostro lavoro è assicurarci che un’accelerazione dell’inflazione non si tramuti in un problema di lungo termine ”, ha ribadito Powell, nel corso della conferenza stampa indetta per commentare la decisione della Fed di lasciare i tassi invariati al 4,25%-4,5%. “Le proiezioni non sono un piano, e sono soggette a incertezza”
Fed, Powell: effetti inflazionistici dazi potrebbero avere natura straordinaria o essere problema di lungo termine
“L’attuale livello dei tassi ci mette in una buona posizione”: una posizione che consente alla Fed di aspettare prima di intervenire sui tassi. Così il presidente della Fed Jerome Powell, nel corso della conferenza stampa successiva all’annuncio relativo alla decisione sui tassi da parte della Banca centrale americana. “ Il tasso di disoccupazione rimane basso ed è rimasto all’interno di un range ristretto ”, ha detto Powell, aggiungendo che “il mercato del lavoro non è una fonte di inflazione ”, e che in generale “le condizioni versano in una ampia condizione di equilibrio”.
Detto questo, “l’inflazione continua a viaggiare a un valore in qualche modo superiore all’obiettivo”, in attesa di dazi, “ i cui effetti inflazionistici potrebbero avere una natura straordinaria o diventare un problema di più lungo termine ”.
Fed indica ulteriori segnali di stagflazione, taglia stime PIL, alza outlook inflazione
La Fed ha annunciato le nuove proiezioni economiche elaborate dal suo staff, dando praticamente ragione a chi teme una situazione di stagflazione per l’economia americana.
Il nuovo outlook punta a una crescita del PIL di appena l’1,4% nel 2025 (inferiore di 0,3 punti percentuali rispetto alle previsioni di marzo), e a un tasso di inflazione in rialzo fino al 3%, rispetto al precedente 2,7% reso noto nelle precedenti stime di marzo.
Per quanto riguarda l’inflazione core (riferimento al PCE core) ora le stime mediane sono di un aumento nel 2025 fino al 3,1%, rispetto al precedente 2,8% atteso.
Sempre per il 2025, le previsioni sul tasso di disoccupazione degli Stati Uniti sono state riviste al rialzo al 4,5%, rispetto al 4,4% stimato a marzo.
Fed, comunicato: incertezza outlook economia diminuita ma rimane elevata
Così recita ancora il comunicato del FOMC:
“La Commissione punta a raggiungere la massima occupazione e un’inflazione al tasso del 2% nel più lungo termine. L’incertezza sull’outlook economico è diminuita ma rimane elevata. La Commissione è attenta ai rischi che incombono su entrambi i lati del suo doppio mandato. A sostegno dei suoi obiettivi, la Commissione ha deciso di mantenere il range del target dei tassi al 4,25%-4,5%. Nel considerare il grado e il timing di aggiustamenti aggiuntivi ai tassi, la Commissione esaminerà in modo attento i dati in arrivo, l’outlook in evoluzione e l’equilibrio dei rischi. La Commissione continuerà a ridurre le sue partecipazioni in Treasury e nei Titoli garantiti dai mutui. La Commissione è fortemente impegnata a sostenere la massima occupazione e a far tornare l’inflazione al suo obiettivo del 2%”.
La Fed prevede ancora due tagli dei tassi nel 2025. Ma occhio a dot plot per 2026-2027
Dal nuovo dot plot appena reso noto dalla Fed, emerge che gli esponenti della banca centrale americana prevedono ancora due tagli dei tassi nel corso di quest’anno, come nel mese di marzo. Il cambiamento tuttavia c’è.
Nel nuovo dot plot si prevede un taglio dei tassi in meno, sia nel 2026 che nel 2027, rispetto al grafico a punti precedente, il che significa che in tutto le previsioni sono di quattro tagli dei tassi in totale, pari a 100 punti base.
Comunicato FOMC: tasso disoccupazione rimane basso, inflazione rimane in qualche modo elevata
“Sebbene le oscillazioni delle esportazioni nette abbiano condizionato i dati, gli ultimi indicatori suggeriscono che l’attività economica ha continuato a espandersi a un ritmo solido. Il tasso di disoccupazione rimane basso, e le condizioni del mercato del lavoro rimangono solide. L’inflazione rimane in qualche modo elevata”. Lo si legge nel comunicato con cui il FOMC ha annunciato di avere lasciato i tassi sui fed funds USA fermi nel range compreso tra il 4,25% e il 4,5%.
La Fed conferma status quo sui tassi come da attese. Rimangono nella forchetta tra il 4,25% e il 4,5%
Il FOMC, il braccio di politica monetaria, ha annunciato come da attese di avere lasciato i tassi sui fed funds all’interno della forchetta compresa tra il 4,25% e il 4,5%.
La banca centrale americana guidata da Jerome Powell ha snobbato di nuovo gli appelli del presidente degli Stati Uniti a tagliare i tassi, che oggi è tornato a poche ore dall’annuncio dell’istituzione ad attaccare Powell, parlando di “uno stupido alla Fed”.
Prezzi oro, argento e platino. Cosa sta succedendo in attesa annuncio tassi Fed
Prezzi dell’oro ingessati, oscillano attorno a quota $3.408 l’oncia, dopo essere balzati nella sessione di lunedì scorso fino a $3,451.04, nei pressi del record assoluto testato ad aprile, a causa dell’intensificarsi delle tensioni geopolitiche tra Israele e l’Iran.
Goldman Sachs ha scritto in una nota che l’interesse in queste ultime sessioni si è spostato su altri metalli preziosi, a causa della decisione degli investitori di andare a caccia di altre opportunità nel settore.
Detto questo, Goldman Sachs ha precisato che “i rally recenti del platino e dell’argento sono soprattutto speculativi, mancando di un supporto da parte dei fondamentali”.
Oggi il contratto spot sull’argento è sceso a $36,95, dopo avere testato il massimo dal febbraio del 2012, mentre i prezzi del platino sono balzati del 3% circa fino a $1.302,17, al valore più alto dal febbraio del 2021.
Petrolio WTI e Brent giù dopo dichiarazioni di Trump sull’Iran
Prezzi del petrolio sotto pressione, dopo le dichiarazioni rilasciate dal presidente USA Donald Trump, relative alla presunta disponibilità dell’Iran di avviare le trattative con gli Stati Uniti.
“Vogliono trattare”, ha detto Trump ai giornalisti in un punto stampa, aggiungendo che Teheran “ha perfino suggerito di venire alla Casa Bianca”. Qualcosa, ha aggiunto Trump, di “coraggioso” e di “non facile per loro da fare”.
Nella giornata di oggi, Trump ha confermato di star considerando la possibilità di lanciare un attacco militare, per colpire i siti nucleari dell’Iran, precisando tuttavia che nessuna decisione finale è stata ancora presa. Il contratto WTI sta scendendo dello 0,73%, a $74,29 al barile, mentre il Brent scende dello 0,86%, a $75,78 al barile.
The president confirmed Wednesday that he was considering a military strike against Iran’s nuclear facilities, though he indicated that no final decision ha
Dollaro USA sotto pressione dopo buy post attacco Israele a Iran. Euro sopra $1,15
Dollaro USA sotto pressione in attesa dell’annuncio sui tassi della Fed, con il rapporto euro-dollaro EUR-USD che avanza dello 0,25% circa, superando quota $1,15. Il biglietto verde arretra anche nei confronti dello yen, con il cambio USD-JPY in flessione dello 0,42%, a quota JPY 144,61, così come anche sulla sterlina, con il rapporto GBP-USD in crescita dello 0,26%, a quota $1,3457.
Dopo essere salito nelle ultime sessioni sulla scia dell’attacco di Israele contro l’Iran e la risposta di Teheran, il biglietto verde torna così a perdere terreno.
In questi ultimi giorni, la valuta USA ha riconquistato il suo ruolo di safe haven, guadagnando l’1% circa da giovedì scorso nei confronti sia dello yen che del franco svizzero.
Il dollaro rimane comunque sotto pressione YTD, con il Dollar Index in perdita dell’8% circa dall’inizio di quest’anno, vittima dei sell che sono scattati soprattutto dopo l’annuncio dei dazi di Trump, lo scorso 2 aprile.
Rendimenti Treasury in calo, l’outlook sui tassi USA firmato da Deutsche Bank
Gli acquisti sui Treasury portano i rendimenti dei Titoli di Stato USA a scendere. I rendimenti decennali perdono 4 punti base, attestandosi al 4,351%, mentre i rendimenti dei Treasury a due anni arretrano al 3,927%.
I trader stanno scommettendo su tassi di interesse invariati anche nella riunione odierna del FOMC con una probabilità del 99%, stando a quanto emerge dal FedWatch Tool del CME.
Occhio al commento degli analisti di Deutsche Bank: “È successo molto dall’ultimo meeting (del FOMC) degli inizi di maggio, incluso il dietrfront sulle tariffe contro la Cina, il downgrade di Moody’s del rating sul debito USA, così come l’escalation significativa (delle tensioni) in Medio Oriente. Dunque, visti l’incertezza e il potenziale di nuove spinte inflazionistiche, l’attesa è che (la Fed) lascerà di nuovo i tassi fermi. Questo significa che l’attenzione sarà sul dot plot e su dove (gli esponenti del FOMC ritengono che) i tassi andranno in futuro ”.
La divisione di ricerca di Deutsche Bank crede che il dot plot “indicherà solo un taglio dei tassi quest’anno, segnalando un cambiamento hawkish rispetto al mese di marzo, quando aveva indicato ancora due riduzioni (nel 2025). Tuttavia, credo che la scelta sarà difficile e che la Fed confermerà le indicazioni esistenti di politica (monetaria) ”.
In arrivo una sorpresa dal dot plot? Il sospetto di un solo taglio dei tassi nel 2025
Qualcuno stima che stasera una grande sorpresa arriverà con la pubblicazione del dot plot da parte del FOMC. Si tratta, tra gli altri, di Jeffrey Cleveland, Chief Economist di Payden & Rygel, che in una nota ha scritto di non prevedere per il Fed Day di oggi “particolari sorprese”, aggiungendo tuttavia che “sarà importante seguire da vicino l’aggiornamento delle proiezioni macroeconomiche”.
È infatti plausibile secondo Cleveland che “la stima mediana relativa al tasso sui Fed Funds per il 2025 venga aggiornata, segnalando un solo taglio rispetto ai due indicati nel dot plot di marzo ”. Le sorprese potrebbero non finire qui:
“Ci aspettiamo, inoltre, una revisione al ribasso del Pil mediano e un possibile aumento della stima mediana del PCE core, in linea con il consenso attuale che si attesta intorno al 3%”.
Detto questo, la view dell’economista non è hawkish: “Anche se giugno segna ormai il giro di boa delle riunioni del FOMC per il 2025, riteniamo vi sia ancora spazio per un numero di tagli dei tassi superiore rispetto a quanto attualmente prezzato dal consenso – con un primo possibile intervento già a luglio, più verosimilmente a settembre ”.
Cleveland ha aggiunto di prevedere per il mercato del lavoro “un aumento del tasso di disoccupazione fino al 4,5% o oltre entro l’autunno, abbastanza da convincere la Fed a ritenere l’inflazione un problema meno pressante”. Dunque, “in conclusione, sia un incremento del tasso di disoccupazione sia una sorpresa al ribasso sull’inflazione, o entrambe le cose, potrebbero spingere la Fed a riprendere il suo percorso di taglio dei tassi”. Tanto che, sebbene siano attesi per la fine dell’anno “meno di 50 punti base di riduzioni, considerando il numero di riunioni residue, riteniamo probabile un’accelerazione dei tagli ”.
Borse europee poco mosse, Ftse Mib in lieve rialzo
Sessione all’insegna della debolezza per le principali borse europee. L’indice Ftse Mib di Piazza Affari sale dello 0,27%, a quota 39.493,35 punti.
Piatto il CAC 40 della borsa di Parigi, inchiodato a 7.683,95 punti, mentre il Ftse di Londra avanza dello 0,23%, a 8.854,94.
Il DAX della borsa di Francoforte arretra dello 0,10%, a 23.411,83 punti. Lo Stoxx 600, indice di riferimento dell’azionario europeo, scende dello 0,13%, a quota 541,54 punti.
Wall Street positiva nel Fed Day. Focus su tensione Trump-Powell
In attesa dell’annuncio sui tassi della Fed, il trend di Wall Street si conferma positivo. Il Dow Jones sale di 265 punti circa (+0,63%), a quota 42.481,19 punti, mentre lo S&P 500 avanza dello 0,56%, a 6.016, 13. Il Nasdaq Composite segna un progresso dello 0,64%, a quota 19.646,57 punti. Attenzione all’indice della paura VIX, ovvero all’indice della volatilità, che scivola di quasi il 9%, a quota 19,70 punti.
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