Diffidiamo dai sistemi pubblici ma affidiamo i nostri dati alle big tech USA. Il paradosso europeo su AI e privacy

P. F.

19 Novembre 2025 - 18:21

Stefano Quintarelli, pioniere dell’identità digitale italiana, spiega perché la sovranità digitale è cruciale per l’Europa e quali rischi comporta affidare i propri dati alle Big Tech USA.

In Italia il nome di Stefano Quintarelli è legato indissolubilmente alla nascita dell’identità digitale pubblica. Da presidente del Comitato di indirizzo dell’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID), Quintarelli è stato infatti il principale architetto del modello concettuale e dell’impianto tecnico-organizzativo di SPID, tanto da definirsi, con ironia, “la madre dello SPID”, perché “la madre è sempre certa”. Visionario della rete, fondatore di I.NET, ex parlamentare e oggi figura di riferimento nella governance tecnologica europea, Quintarelli rappresenta una delle voci più autorevoli sul tema della sovranità digitale.

Nel corso di una lunga intervista per Money.it, l’imprenditore ha affrontato una questione cruciale spesso banalizzata: l’ideale di privacy non come ostacolo all’innovazione, ma come linea di difesa della democrazia, soprattutto in un’epoca in cui identità digitali e sistemi di pagamento elettronici sono ormai parte dell’infrastruttura dello Stato.

La privacy come eredità storica dell’Europa

Quintarelli chiarisce subito la differenza culturale tra Europa e Stati Uniti:

Noi abbiamo avuto sul nostro terreno la lacerazione di due guerre, dittature, la Stasi. Situazioni che ci fanno dare un peso diverso alla privacy rispetto a quanto accade negli Stati Uniti, dove la privacy è un fatto puramente commerciale.

La protezione dei dati in Europa non è dunque un “capriccio”, ma la naturale conseguenza dello sviluppo di un continente che ha sperimentato direttamente gli effetti di sorveglianza e repressione. È, in altre parole, un antidoto a errori storici già vissuti.

Nel dibattito pubblico, la diffidenza verso lo SPID, l’euro digitale o il Digital Wallet vengono spesso etichettati come allarmismi. Quintarelli ribalta questa visione:

Credo che sia salubre per il sistema che esistano queste preoccupazioni e che esistano delle organizzazioni che sollevano questi temi anche in modo molto forte.

Per lui, la pressione dell’opinione pubblica è uno strumento imprescindibile per costringere chi progetta le infrastrutture digitali europee a integrare limiti, tutele e principi di trasparenza. Senza questa vigilanza, il rischio sarebbe quello di costruire sistemi efficienti ma potenzialmente pericolosi per i diritti civili.

L’architettura tecnica come baluardo di libertà

Uno dei passaggi cardine del discorso riguarda la pericolosità dei sistemi centralizzati di identità digitale. Quintarelli lo spiega senza mezzi termini:

Chi governa un sistema di identità digitale ha un enorme potere e questa è la ragione per cui io non volevo che questo potere fosse concentrato in un solo soggetto.

Nelle sue parole emerge una verità che spesso sfugge nel dibattito pubblico. Le garanzie democratiche non risiedono solo nella legge, ma nel design dei sistemi. Un’identità digitale governata da un unico attore permetterebbe, tecnicamente, di tracciare accessi, bloccare utenti, creare discriminazioni selettive e temporanee. È per questo che SPID, sotto la sua guida, è stato progettato come sistema distribuito, con più fornitori e controlli incrociati.

Lo stesso principio ha guidato la definizione del nuovo Digital Wallet europeo, pensato come un’evoluzione tecnologica ma anche come una continuazione di quelle garanzie strutturali.

Il pericolo non è oggi: “Non so cosa accadrà tra vent’anni”

Quintarelli osserva che un’infrastruttura digitale pubblica deve essere progettata non solo per il governo di oggi, ma per quelli futuri, anche in scenari di instabilità:

Quando realizzo un sistema di identità digitale per un Paese, devo pensare che deve reggere dieci, venti, trent’anni. E io non so cosa accadrà tra vent’anni, quindi devo costruire un sistema che abbia tecnicamente alla base delle garanzie di tenuta democratica.

È un invito a ragionare sul lungo periodo. Oggi viviamo in un contesto democratico, ma non esiste garanzia che rimanga tale. I sistemi digitali dello Stato devono quindi essere costruiti per resistere anche a eventuali governi con pulsioni autoritarie.

Il paradosso: paura dello Stato, ma fiducia nelle big tech

Uno dei passaggi più incisivi dell’intervista riguarda l’incoerenza diffusa nell’opinione pubblica:

Spesso queste stesse persone sono poi quelle che amano Apple o Google e non si fanno nessun problema del fatto che queste aziende siano americane e che possano dare i dati senza che i cittadini europei siano informati.

Quintarelli sottolinea come sia paradossale diffidare di SPID, del wallet europeo o dell’euro digitale - tutti sistemi con forti tutele e vigilati da organismi pubblici - mentre si affidano dati estremamente sensibili ai grandi colossi privati, soggetti a leggi e agenzie federali statunitensi molto più permissive in materia di accesso ai dati.

Una contraddizione che, secondo lui, sarebbe culturale. Ciò che usiamo tutti i giorni appare innocuo, mentre ciò che è istituzionale viene percepito come potenzialmente oppressivo, anche quando in realtà è progettato per tutelare i cittadini.

Progettare il digitale come si progetta una democrazia

Per Quintarelli, la sovranità digitale europea non è una battaglia ideologica ma una necessità strutturale. Identità digitale, euro digitale e wallet non sono semplici tecnologie, ma infrastrutture che determineranno il rapporto tra cittadini, Stato e piattaforme private nei prossimi decenni.

La privacy, in questa visione, non è un limite all’innovazione ma un requisito per evitare abusi e concentrazioni di potere. Un sistema digitale pubblico che ignora questi aspetti potrebbe funzionare bene oggi, ma diventare un’arma nelle mani sbagliate domani.

Il messaggio di Quintarelli è quindi chiaro: l’Europa deve continuare a progettare i propri strumenti digitali con la stessa cura con cui si costruiscono le istituzioni democratiche.

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