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di Redazione Orbetech

Recensione a Ecity. Antropologia della tecnica

Redazione Orbetech

8 dicembre 2021

Recensione a Ecity. Antropologia della tecnica

Martone delinea i confini dei nuovi discorsi sull’uomo contemporaneo a partire dal contesto spazio-temporale e dalle logiche che ne scandiscono i ritmi. Un’analisi critica del presente.

Articolo di Antonio Coratti

Come si evince dal sottotitolo del testo, Antropologia della tecnica, in Ecity Martone delinea i confini dei nuovi discorsi sull’uomo contemporaneo costituiti a partire dal contesto spazio-temporale della “città elettronica”, ovvero dalle logiche che ne scandiscono i ritmi. Parafrasando Foucault, Ecity si può definire una ontologia dell’attualità, un’analisi critica del nostro presente protesa, da un lato, a farne emergere il percorso genealogico e, dall’altro, a prospettarne vie di liberazione.

Contrariamente ai teorici del postmoderno, Martone evidenzia la sostanziale continuità tra l’epoca moderna e le logiche sottostanti all’attuale strapotere tecnico-scientifico che caratterizza l’Ecity. Il punto di rottura fondamentale è, piuttosto, quello emerso tra l’età cristiano-medievale e l’età moderna. Il passaggio è esemplificato da Martone attraverso i simboli caratterizzanti le logiche della vita politica, economica, sociale ed esistenziale delle due diverse epoche: la cattedrale per l’era cristiana e la frontiera per l’era moderna. La prima rappresentava «la trasformazione del Kaos, attraverso la mediazione di Dio e della Chiesa, in Kosmos ordinato» e, da questo punto di vista, «la cupola della cattedrale costituiva l’essenza della costruzione onto-teologica del mondo nella sua totalità. Essa svettava verso l’alto, imponendosi come mediazione simbolica tra Dio e l’uomo».

La “frontiera”, che subentra con la fine del mondo teologico-cristiano, incarna lo spirito dell’epoca moderna, fondata sull’idea della «orizzontalizzazione dei rapporti umani – ciò che è meglio conosciuto come “uguaglianza”: antropologica dapprima, socio-economica in seguito, e infine giuridica». La nozione di uguaglianza e, soprattutto, il processo dialettico cui è stata sottoposta nel corso dei secoli è, secondo Martone, il concetto fondamentale per comprendere tanto la modernità, quanto «quel lembo estremo di essa nella quale ancora viviamo … La modernità è l’uguaglianza e l’uguaglianza è la modernità». L’analisi critica cui Martone sottopone il concetto di uguaglianza e, con esso, quello correlato di democrazia, spesso assunti da molti autori a-criticamente come valori positivi in se stessi, è uno dei punti fondamentali dell’opera.

A questo proposito, Martone si richiama alla visione di Tocqueville che per primo ha posto in rilievo «gli aspetti più dirompenti della politica moderna – i pericoli e le possibilità che la marcia verso l’uguaglianza democratica comportava». Non si tratta di giudicare il principio di “uguaglianza” ideologicamente, ma di analizzarne la genealogia al di là del bene e del male: «il punto centrale da cui si irradia l’essenza antropologica e la visione del mondo dell’uomo democratico … consiste nel fatto che quest’ultima trasferisce le possibilità di “salvezza” dalla trascendenza all’immanenza».

La logica sottostante al principio di uguaglianza è, dunque, una logica del potere, un discorso del potere che, con l’avvento della modernità, vuole affrancarsi da ogni tipo di trascendenza politico-religiosa per auto-fondarsi nella propria immanenza: «la democrazia nasce insieme alla modernità e, per questo, l’uguaglianza democratica va a costituire il terreno antropologico sul quale si muovono, come su un terreno comune, tutti gli autori moderni di maggior rilievo». Alla base dei rapporti interpersonali che si stabiliscono una volta superate le comunità tradizionali, imperniate sulla «personalizzazione di rapporti diseguali», per lo più tramandati per nascita, è posto il contratto, strumento in mano al libero gioco dell’agire individualistico. Ma laddove i rapporti sociali vengono siglati come un contratto, «la stessa umanità dell’uomo è “misurata” dalla razionalità economica». Il dissolvimento della sovranità politico-religiosa dell’ancien régime, la liquefazione progressiva delle mediazioni politiche, nella loro illusoria apertura a una sempre maggiore democratizzazione dei processi politico-sociali, hanno spianato la strada al denaro, «nella sua infinita capacità di mediare», come simbolo per eccellenza delle relazioni tra gli uomini dell’Ecity.

In realtà, il denaro manifesta il suo fondamento nichilistico stabilendo «relazioni di uguaglianza tra cose anche quando le cose stesse non presentano alcun elemento di uguaglianza o somiglianza», ovvero presentandosi come «una mera astrazione simbolica». Proprio in virtù di questa assoluta astrattezza, come afferma Simmel, il denaro ha la capacità di creare rapporti fra gli uomini lasciando gli uomini stessi al di fuori di essi e, se da una parte appare come «un farmaco che promette di non far sentire l’angoscia…promettendo salvezza», dall’altra è la causa principale dell’alienazione dell’uomo dell’ecity.

Ma il denaro e la sua forza attrattiva per l’uomo dell’ecity è alla base di un altro significato del simbolo della “frontiera”: il primo era quello dell’orizzontalità dei rapporti, a fronte della verticalità che caratterizzava le relazioni sociali nell’era antica, il secondo è quello del limite. L’idea della frontiera, infatti, porta con sé quella di un orizzonte da raggiungere e oltrepassare, di confini da superare alla conquista di nuove terre e di nuovi, ulteriori, obiettivi. La logica alla base della modernità si riscontra tanto a livello storico, di cui la scoperta dell’America rappresenta l’evento più eclatante, quanto a livello esistenziale. L’uomo moderno non deve mai fermarsi, non deve mai “perder tempo” (il tempo è denaro) soffermandosi su se stesso, deve sempre guardare “oltre” in nome dello spirito moderno che ne determina l’essenza.

Nel testo di Martone emerge chiaramente e in maniera del tutto originale il continuo parallelismo tra le logiche storiche, politiche e sociali che hanno segnato e continuano a caratterizzare la modernità e le logiche che regnano nell’esistenza di ognuno di noi, uomini moderni. Nella sua ottica, storia e antropologia sono due facce dello stesso discorso della e sulla modernità. L’abbattimento della cattedrale come simbolo del potere politico equivale alla morte di dio come evento originario del nichilismo esistenziale dell’uomo moderno: «quando “Dio è morto”, ciò che rimane non può che essere “soltanto” il mondo. Orfani di Dio, gli uomini si proiettano allora senza alcuna reticenza sui propri desideri: vogliono gustarne il più possibile … Alla base della smaniosa attività dell’uomo democratico, c’è dunque qualcosa che somiglia a un lutto, un senso di vuoto». Senza più trascendenze, l’uomo “uguale”, non più soggetto ai confini tracciati dalle forme di potere pre-moderne, ha desideri sconfinati e “illimitate potenzialità” che caratterizzano il suo “essere-per-il-successo”.

Tuttavia, questa infinità desiderante si scontra, naturalmente, con la limitatezza delle “possibilità concrete” che, da una parte, come aveva già intuito Hobbes, può generare il rischio (mortale) di lotta di tutti contro tutti e, dall’altra, può alimentare, in caso d’insuccesso, uno dei mali più diffusi nella nostra più stretta attualità, la depressione. Alla base c’è un errore di fondo dovuto al mito stesso dell’uguaglianza, così come è stato presentato, in particolare, dalle teorie neoliberali e neoliberiste del ‘900. Il messaggio diffuso da questi apparati ideologici, infatti, è che «l’individuo, barricato nel proprio spazio vitale … possa conquistare/consumare tutto il mondo che le sue capacità “imprenditoriali” gli consentano di acquisire». Come evidenzia Martone, in realtà, lo spazio di azione libera e autonoma di ogni singolo individuo è molto ridotto e lo è sempre più nell’attuale città della tecnica. La stessa soggettività di ognuno di noi è formata e “costruita tecnicamente”; l’antropologia risponde alle stesse logiche che dominano nell’ecity e l’idea di poter opporre l’apparato “oggettivo” della tecno-scienza a una libera coscienza critica individuale non è altro che un’illusione di cui il potere stesso ha bisogno.

L’ultima frontiera della cibernetica è l’automazione, l’amplificazione esponenziale della capacità di adattamento delle macchine al mutare delle condizioni presenti in un determinato ambiente. Non è difficile dedurne che l’obiettivo finale sia quello di superare completamente il senso dell’azione umana, nella sua imprevedibilità e creatività costitutiva, rendendo «prevedibile e indefinitamente reiterabile l’esperienza». La morte dell’uomo postulata da Foucault ne Le parole e le cose assume lineamenti sempre più chiari e più prossimi. Martone, nella sua opera, ne dà conto lucidamente, ricostruendo genealogicamente le logiche alla base dell’ecity cui tutti noi siamo assoggettati, invitandoci a riscoprire il valore dell’«appartenenza all’Altro, nella consapevolezza che soltanto l’apertura di nuovi spazi comunitari potrà produrre risultati apprezzabili ai fini dell’approdo in una inedita fase storica».

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