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di Redazione Orbetech

L’ultimo frammento. Dall’individuo al flusso di byte

Redazione Orbetech

17 novembre 2021

L'ultimo frammento. Dall'individuo al flusso di byte

Articolo di Antonio Martone

È quasi un luogo comune la convinzione secondo cui viviamo in una società fatta di individui: una società, dunque, individualistica. Credo tuttavia vi siano varie ragioni per sostenere che oggi il concetto di individuo, oltre a quello parallelo di individualismo, siano in fondo superati. Il modello tecnocapitalistico agisce in maniera tale da trasformare gli “individui” in una componente perfettamente integrata all’interno di una massa liscia e compatta, senza differenze interne che non siano apparenti. Ciò che rimane del “sociale” trasforma il singolo nell’appendice di un grande apparato di cui, in fondo, nessuno sa niente.

Come avviene tutto questo? In virtù di quale processo si procede alla cancellazione delle dotazioni tradizionali dell’individuo, ossia una soggettività formata da un passato e volta verso un pro-getto futuro, una volontà individuale e la possibilità irrinunciabile di trasformazione della propria identità? Il sistema contemporaneo è assai complesso e dispone di strumenti sofisticati e decisamente pervasivi. Ho già trattato la questione in un quadro teorico più ampio e articolato all’interno di un volume appena uscito (Antonio Martone, NoCity. Paura e democrazia nell’età globale, Castelvecchi, Roma 2021). Qui potrò soltanto far riferimento a qualche elemento particolarmente macroscopico.

Per esempio, non si può non citare la flessibilità del lavoro, ossia la capacità richiesta al singolo di doversi costantemente reinventare, non certo secondo le proprie esigenze, ma seguendo le mutazioni e i capricci, le fortune e le sfortune, del mercato. Solo in apparenza in dissonanza rispetto alla questione della flessibilità, vi è anche quella dell’ultraspecializzazione professionale. Se un lavoratore flessibile è esposto alla dissoluzione della propria identità, infatti, per ragioni diverse ma complementari, un lavoratore specializzato perde di vista l’intero del proprio ambito di lavoro, per non parlare della società nella sua interezza, di cui certamente non potrà mai occuparsi. Già le vicende del lavoratore flessibile e di quello ultraspecializzato ci fanno comprendere che, piuttosto che essere collocato all’interno d’un orizzonte comune (individuale o collettivo), il frammento sociale del nostro contemporaneo viene coattivamente isolato dal contesto.

Già in virtù di alcune mutazioni avvenute recentemente nel mondo del lavoro sembrerebbe dunque che l’essenza ontologica dell’identità stia lasciando il posto alla dissoluzione e alla frammentazione: l’in-dividuo (ciò che non è ulteriormente scomponibile) cede al dividuo. Tale transizione è resa possibile e accelerata da un’altra trasformazione profonda che è sotto i nostri occhi, ossia il passaggio dalle società disciplinari (il fordismo e il welfarismo biopolitico) a quelle di controllo digitali. Grazie alla digitalizzazione pressoché onnipervasiva di tutte le attività umane, l’individualità va diventando semplicemente un elemento numerico, un codice di riconoscimento, se non addirittura una serie di byte. Vediamo come.

Il principio della flessibilità e della connessa frammentazione dividuale è incomprensibile, come detto, senza lo sviluppo esponenziale del digitale che ha caratterizzato gli ultimi decenni. Il digitale ha reso possibile una (in) cultura dell’immagine che ha soppiantato quell’unità del soggetto reso possibile dalla formazione dialettico-dialogica dell’Io. Se cerchiamo delle metafore, possiamo intendere gli ambienti digitali come una Matrix entro la quale si affonda e con la quale non possiamo avere un rapporto dialogico ma soltanto di acquiescenza servile. Una sorta di volontà di reinfetazione ha condotto l’umanità nella caverna platonica dei nostri tempi, laddove ombre incessanti vengono proiettate sul muro, mentre gli esseri umani, installati davanti a un monitor, guardano allucinati quello schermo che li veicola dappertutto meno che a contatto con sé stessi. I dividui non sono legati alla sedia, come accadeva nel famigerato mito platonico, bensì seduti: ciò, evidentemente, dona una fallace impressione di libertà. Posti nella posizione di cellule produttive di una macchina che di gratuito (nel senso di umano) non ha nulla, i dividui si vedono sottratti sempre più autonomia, autodisciplina, razionalità e pensiero dialettico.

L’ipercontrollo si dirama, si estende, invade ogni emozione e ogni parola. La frammentazione fra cellule omofili utilizza le informazioni per produrre un conflitto incessante laddove la comunicazione dialettica è pressoché assente. In una condizione neo-hobbesiana di “guerra di tutti contro tutti”, la fatica della tessitura dialettica, ciò che era tipico del progetto moderno, lascia il posto a espressioni de-liranti che si muovono nell’assoluta assenza di limite. La tradizione dialettica posizionava la propria identità in rapporto strettissimo con la presenza dell’Altro. Soltanto grazie all’alterità, cioè, l’identità poteva esser sé stessa e riconoscersi in quanto tale. Quando ogni dialettica è venuta meno, l’identità e l’alterità non possono che affogare insieme nell’abisso nichilistico del narcisismo serializzato.

In mancanza di un’identità diversa da quella narcisistica “del clic”, e dunque possiamo dire in presenza di un dividuo stretto nel qui e ora del desiderio immediato, senza una memoria e senza un futuro che non sia appeso a uno stato d’emergenza ormai diventato la regola, la tonalità emotiva dell’umano contemporaneo non può che essere quella della solitudine retta da una forma, inevitabile quanto radicale, di dipendenza e di esposizione. Tale condizione è alimentata e perpetuata dal consumo e dalle dinamiche di marketing su cui esso si fonda. Nasce da qui, da questa insofferenza verso un percorso individuale consapevole, l’emersione a getto continuo di novità consumistiche in grado di attrarre e contenere (saturare) in sé il desiderio di ciò che un tempo era il soggetto. Nascono da qui, inoltre, le poderose novità tecno-culturali che puntano dritte verso la costruzione di un’umanità prevedibile, fortemente frammentata e, proprio per questo, adeguabile a un modello omogeneo, conforme e conformistico, orientato in una direzione che va diventando sempre più cibernetica.

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