Come stabilisce il calendario elettorale a mezzanotte scatterà il silenzio elettorale, che porrà fine ad un’intensa e infuocata campagna elettorale. Che campagna è stata? C’è chi l’ha definita la più grigia, la più brutta, nonché la più difficile, come ha dichiarato Roberto Menia il coordinatore nazionale di Futuro e Libertà.
Certo è che la campagna elettorale del 2013, giocatasi soprattutto sul terreno di fisco e tasse, è stata intellettualmente poco brillante e ha avuto un’enorme lacuna: non c’è stato nessun confronto diretto tra i leader. Come mai? Non sarebbe stato utile ad un elettorato, forse mai come in questa campagna, spaesato, disilluso e fortemente distante dalla politica? Si presume che la percentuale di astensionismo sarà molto elevata, ma cosa hanno fatto i leader per evitarlo? Proposte shock, urla in piazza, tono dimesso e contenuto o quel fare da professore riformista ed europeista non sono bastati. Le proposte sempre le stesse, i candidati pure (o quasi). I contenuti pochi.
Tanti invece i cartelloni di propaganda, i volantini, non sono mancati neanche casi di sms e chiamate per assicurarsi i consensi, in barba alle regole del Garante delle Privacy.
C’è chi ha dato le pagelle ai leader di questa campagna. E’ Marco Ventura di Panorama: Pierluigi Bersani 4, Mario Monti 2, Silvio Berlusconi 8, Beppe Grillo 8, Antonio Ingroia 5, Oscar Giannino, Nichi Vendola, Gianfranco Fini e Pierferdinando Casini N.C.
Cosa ricordare di questa campagna elettorale?
Bersani. Nonostante i sondaggi e i bookmaker considerino Bersani già vincitore, il leader del PD è stato uno dei grandi sconfitti della campagna elettorale 2013. Poco protagonista, poco leader, poco deciso. Secondo Ventura “ha sbagliato tutto” perché è stato “vago, inconsistente e poco rassicurante”. Le sue proposte non sembrano ancora del tutto chiare, così come le alleanze. Prima le polemiche, poi le aperture. E’ successo con Monti e poi con i grillini. Il suo umore è stato altalenante e molto dipendente dai sondaggi. I suoi interventi poco memorabili. Impressione comune è che certo di vittoria, non abbia dato il meglio di sé.
Monti. Il Professore poco prima di annunciare la sua “salita” in campo aveva annunciato che non avrebbe abusato della tv. E’ successo il contrario. Addirittura è intervenuta l’Agcom a lanciare un monito a tutela della par condicio. I suoi discorsi pronunciati in tono un po’ troppo monocorde sono difficili da ricordare, a differenza delle sue gaffe (la Merkel non vuole il PD). Ha cercato di sfumare l’immagine impostata di professore bocconiano, promettendo tagli alle tasse e riduzione dell’IMU, ma non bisogna seguire l’austerità? Vedremo.
Berlusconi. Nonostante la proposta shock della restituzione dell’IMU (con tanto di lettera e denuncia da parte di Ingroia), al limite dell’inverosimile, la campagna di Berlusconi è stata la più colorita. Il leader del centrodestra si conferma un grande comunicatore politico, capace di “bucare” lo schermo e attirare l’attenzione, nel bene o nel male. L’ospitata a Servizio Pubblico e “la gag” della sedia di Travaglio sono state solo l’inizio. Tante promesse, tante proposte. Ma quanta credibilità? Bisogna scoprirlo.
Grillo. Grillo potrebbe essere “l’uomo giusto nel momento giusto” per tanti, perché ha battuto il terreno fertile dell’insoddisfazione dei cittadini. Sicuramente il leader del M5S sa muoversi nelle piazze, sia virtuali che reali, e dopo un momentaneo calo nei sondaggi, è tornato più grintoso che mai, generando non pochi allarmismi tra gli altri competitors perché il suo eventuale ingresso nel Parlamento sarebbe un fatto innegabilmente unico, nonché destabilizzante, a causa del suo temperamento, della sua inesperienza politica (ha sempre detto di non volersi immischiare nella politica) e un programma da 85 miliardi di euro, almeno così pare. Inoltre, una parte dell’elettorale condivide certamente l’insoddisfazione di non aver mai assistito ad un confronto, il monologo regna sovrano.
Ingroia. La campagna di Ingroia è stata discontinua. Sembrava avere i numeri giusti per sfondare, ma poi è successo qualcosa. La sua fama ha preceduto la sua discesa in campo politico e le sue doti professionali potevano essere il cavallo di battaglia, ma forse l’inesperienza su certi temi è evidente. A ciascuno il suo.
Con molta probabilità, secondo i sondaggi, questi sono i cinque leader che supereranno lo sbarramento. Giannino è uscito di scena nel peggiore dei modi, Vendola ha cercato di seguire una strana autonoma all’inizio per poi, forse, “essere richiamato all’ordine”, Fini e Casini sono stati quasi inesistenti, completamente in ombra del loro maggiore alleato.
Alla luce di questa breve analisi, sembra trovare conferma la tesi di una campagna elettorale poco vivace e incisiva, a vantaggio del populismo.
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