Continuano le abiure di Luigi Di Maio rispetto a quanto è stato detto in campagna elettorale: cosa è rimasto del Movimento 5 Stelle di Grillo?
“Non ho nessuna intenzione di far parte di un Movimento che si allea con la Lega Nord e non ho mai pensato di far parte di questo Movimento”. Parole queste del giugno 2017 di Luigi Di Maio, ora invece pronto a tendere la mano a Matteo Salvini.
Chissà cosa avrà poi pensato Beppe Grillo quando, magari sorseggiando un aperitivo vista l’ora, ha visto lo stesso Di Maio uscire dallo studio della Casellati e dichiarare che, oltre alla disponibilità a fare un accordo con Salvini, avrebbe accettato anche un appoggio esterno di Forza Italia.
Immediatamente al comico genovese saranno tornati in mente i tanti comizi fatti in giro per l’Italia passati a ripetere che i partiti politici fossero morti. Dopo le elezioni del 4 marzo, il sentore è che Di Maio abbia trascinato anche i 5 Stelle in quella “cloaca nazionale” evocata da Grillo.
Il nuovo Movimento 5 Stelle
C’era una volta un movimento politico nato dall’idea di un comico e di un programmatore informatico che si basava su cinque punti: acqua pubblica, mobilità sostenibile, sviluppo, connettività e ambiente.
Le famose cinque stelle che poi sono state affiancate da altri temi man mano che il movimento ha scelto di scendere in campo in politica con proprie liste. Quindi limite dei due mandati, taglio degli stipendi e democrazia diretta.
Netto il rifiuto a ogni apparentamento con i partiti, considerati come il male che hanno portato al declino del paese, con il Reddito di Cittadinanza che da subito divenne il cavallo di battaglia di quelli che all’epoca venivano chiamati grillini.
Inutile stare a elencare quanto incredibile sia stato il successo in questi anni del Movimento 5 Stelle in termini elettorali. Dalla conquista di Parma all’ottimo risultato delle politiche del 2013, passando poi per le amministrative di Roma e Torino fino al 32,68% raccolto lo scorso 4 marzo.
Un exploit elettorale che ha portato però anche grandi responsabilità: i pentastellati adesso non possono più nascondersi e, vista la legge elettorale, se vogliono andare al governo devono scendere a compromessi.
Ecco perché proprio in vista del voto del 4 marzo è stato cambiato lo Statuto del Movimento, con diverse significative novità che sono state introdotte come la possibilità di fare accordi post voto e il candidato premier che diventa capo politico, con tanto di libertà di poter scegliere lui i candidati nei collegi uninominali.
Un cambiamento che in qualche modo va a rispondere ad alcune esigenze. In poche parole: se si vuole andare al governo bisogna individuare i candidati giusti nei collegi e, nel caso, fare anche accordi con altri partiti.
Ecco dunque che Luigi Di Maio, in quel di Pescara, ha presentato in piena campagna elettorale i suoi eventuali ministri parlando in maniera molto chiara ai suoi elettori: se non dovesse uscire un vincitore dalle urne, chiederemo alle altre forze politiche di appoggiare il nostro programma e la nostra squadra di governo.
Una svolta questa comunque condivisibile e che non andava in fondo a intaccare in maniera significativa i principi del Movimento. Quello che sta andando in scena invece dal 5 marzo è qualcosa invece di notevolmente diverso.
Addio ai duri e puri
Chiuse le urne i toni sono subito cambiati: il Movimento 5 Stelle è pronto a discutere di incarichi di governo e di programmi con gli altri, l’unico dogma sembrerebbe rimanere il far andare Di Maio a Palazzo Chigi.
Lo stesso capo politico in televisione ha poi esplicitato un doppio invito. Porta aperta quindi al Partito Democratico (il grande nemico fino al 4 marzo) e alla Lega (che assieme a Berlusconi ha governato a lungo in questa Seconda Repubblica).
Un’abiura di quello che è stato detto in campagna elettorale, iniziando dai ministri e dal programma che erano intoccabili fino alla disponibilità di fare un governo assieme con altri partiti, che quindi non si limiterebbero al solo appoggio esterno.
“Mai alleati con la Lega” chiosava Di Maio lo scorso 8 agosto, mentre a Porta a Porta, come si può vedere dal video all’inizio dell’articolo, nel giugno sempre dello scorso anno si era spinto in un “mai con la Lega, sono napoletano non dimentico quei cori sul Vesuvio”.
Per fortuna, in quest’epoca di abbondanza di contenuti multimediali è molto semplice ritrovare le dichiarazioni fatte. Ma se in qualche modo questo cambio di atteggiamento nei confronti di Salvini può essere giustificato dalla possibilità di realizzare alcuni punti programmatici, l’apertura a un possibile appoggio esterno di Forza Italia può segnare la fine del Movimento 5 Stelle per come ce lo ricordavamo.
Il “limite di decenza” fissato da Di Maio nel dire vanno bene i voti dei forzisti ma non voglio sedermi al tavolo con Berlusconi, è una sorta di de profundis di tutto quello che Beppe Grillo aveva pensato e sognato.
Il Movimento 5 Stelle adesso è un partito come tutti gli altri, con la sola particolarità che i suoi parlamentari (cosa più che apprezzabile) si tagliano una parte del loro stipendio per destinarlo al fondo per il microcredito.
Il tempo dei cosiddetti duri e puri è terminato nei pentastellati, vista la complessa situazione politica adesso sembrerebbe essere arrivato per i grillini il momento dei lupi.
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