Sondaggi politici, il primo partito è quello degli astenuti. Un problema lontano dall’essere risolto.
In Italia è in corso una crisi della democrazia, un fenomeno che emerge non solo dagli ultimi sondaggi politici, ma anche dai risultati delle recenti competizioni elettorali.
Sempre meno cittadini, infatti, si recano alle urne. Basti pensare alle ultime elezioni regionali in Valle d’Aosta e nelle Marche: nel primo caso ha votato il 62,98% degli aventi diritto, contro il 70,50% del 2020; nel secondo, l’affluenza è scesa dal 59,7% al 50,01%.
Cresce dunque il “partito” degli astenuti, ovvero di coloro che scelgono di non partecipare al voto. Un segnale che dovrebbe preoccupare la classe politica, anche perché la situazione non migliora su scala nazionale: alle ultime elezioni europee ha votato meno della metà degli aventi diritto, pari al 49,69%.
Un trend confermato anche dai sondaggi più recenti, diffusi dal Tg La7 e realizzati da Swg: qui il gruppo degli indecisi risulta il più numeroso, superando persino Fratelli d’Italia, che comunque resta stabile al comando registrando un lieve incremento rispetto alla settimana precedente.
Siamo quindi di fronte a una crisi della politica, o addirittura della democrazia? Le tendenze sembrano indicare di sì: lo scarso interesse di una parte crescente della popolazione verso le elezioni evidenzia un disimpegno civico sempre più marcato, che rischia di minare la credibilità stessa del nostro sistema democratico.
Cosa dicono gli ultimi sondaggi politici
La nuova fotografia degli orientamenti di voto, presentata dal Tg La7 e realizzata da Swg, mostra un quadro in parte stabile ma con alcuni movimenti significativi. Fratelli d’Italia si conferma saldamente al primo posto, attestandosi al 30,5% e registrando un leggero incremento rispetto alla settimana precedente. Alle sue spalle il Partito democratico consolida la seconda posizione, crescendo al 22,1% e accorciando, seppur di poco, la distanza dal partito guidato da Giorgia Meloni.
Anche il Movimento 5 stelle guadagna terreno, portandosi al 13,7%, un risultato che lo mantiene terza forza del Paese e che segnala una fase di lieve ma costante recupero. Più statico, invece, il centrodestra nelle sue altre componenti: la Lega rimane al 9% senza variazioni, mentre Forza Italia si attesta all’8%, anch’essa stabile. Sul fronte progressista, Verdi e Sinistra segnano un arretramento, scivolando al 6,5%, un calo che conferma le difficoltà di questo schieramento a intercettare nuovi consensi.
Guardando ai partiti minori, Azione si colloca al 3,1%, Italia Viva al 2,2% e +Europa all’1,9%, mentre tutte le altre formazioni politiche insieme raccolgono circa il 3%. Il dato più rilevante, tuttavia, resta quello che riguarda la partecipazione: la quota di indecisi e astenuti si attesta al 32%, in calo rispetto alle settimane precedenti, ma ancora talmente alta da costituire un vero e proprio “partito invisibile” capace di condizionare in modo determinante l’esito di qualsiasi elezione.
Perché gli astenuti sono il primo partito in Italia?
In Italia la vera frattura politica degli ultimi anni non è tra destra e sinistra, ma tra chi continua a votare e chi ha smesso di farlo. Le elezioni politiche del 2022 hanno segnato uno spartiacque: poco più del 63% degli aventi diritto si è presentato ai seggi, nove punti in meno rispetto al 2018. È stato il peggior arretramento della partecipazione elettorale nella storia repubblicana e uno dei più drastici in Europa occidentale nell’arco di pochi decenni. Il trend non si è arrestato: alle europee del 2024 meno di un elettore su due ha espresso il proprio voto.
Questi numeri dicono che il partito più grande, oggi, è quello del non-voto. Non si tratta di un’assenza casuale, ma del risultato di un processo lungo e stratificato. Da un lato ci sono fattori strutturali: molti cittadini hanno smesso di credere che la scheda elettorale sia in grado di incidere davvero sulle scelte politiche. Il voto viene percepito come un gesto rituale, senza conseguenze tangibili sulla vita quotidiana. Dall’altro lato pesano motivazioni più immediate, legate alla qualità dell’offerta politica, alla brevità delle campagne elettorali e alla sensazione che le opzioni in campo siano poco competitive.
La crisi di fiducia nasce anche dalle traiettorie dei leader che, a più riprese, hanno incarnato la promessa di un cambiamento. Matteo Renzi, entrato sulla scena come “rottamatore”, ha visto dissolversi quella spinta riformatrice dopo il fallimento del referendum del 2016, trasformando il suo percorso politico in una serie di alleanze tattiche senza radicamento. Il Movimento 5 stelle, che aveva costruito il proprio successo sull’idea di “aprire il Parlamento come una scatola di tonno”, si è trovato a governare prima con la Lega e poi con il Partito Democratico, minando la credibilità della sua narrazione originaria. Matteo Salvini, dopo il trionfo del 2019, ha dilapidato il capitale politico accumulato con la mossa azzardata del “Papete” e con la successiva partecipazione a governi che hanno smussato il suo profilo da oppositore.
L’unica a sembrare più solida, almeno fino a ora, è Giorgia Meloni, tanto da essere premiata nei sondaggi. La scelta di restare fuori dal governo Draghi le ha permesso di rafforzare la sua immagine di leader coerente, e l’ascesa a Palazzo Chigi ha confermato la sua centralità. Eppure, anche Fratelli d’Italia non è riuscito a intercettare in modo significativo l’area di chi si tiene lontano dalle urne: un bacino di milioni di persone che non si riconoscono più in nessuna proposta politica.
L’astensionismo, dunque, è l’espressione di un malessere democratico che attraversa l’Italia e gran parte d’Europa. È il sintomo di una distanza crescente tra cittadini e istituzioni, alimentata dalla discontinuità dei progetti politici e da narrazioni incapaci di durare nel tempo. Per invertire questa tendenza non bastano slogan o campagne lampo: serve un racconto politico credibile, coerente e di lungo respiro. Solo così il partito del non-voto potrebbe smettere di essere il più grande del Paese.
© RIPRODUZIONE RISERVATA