Lo stress da lavoro può diventare una malattia. In questi casi hai diritto all’assenza retribuita. Ecco quanti giorni puoi richiedere e come.
Lo stress da lavoro può trasformarsi in una vera e propria malattia, limitando il dipendente nelle attività quotidiane e impedendogli anche di lavorare. Quando questa incapacità temporanea viene attestata dal medico, il lavoratore ha diritto all’assenza per malattia per riposarsi e recuperare le energie psicofisiche.
A seconda della causa dei livelli di stress eccessivo possono poi essere adottati strumenti di tutela più incisivi, fino alle dimissioni per giusta causa e alla richiesta di risarcimento al datore di lavoro.
Ciò è possibile soltanto in caso di responsabilità dell’azienda, ma anche la sola malattia per stress da lavoro è subordinata ad alcuni requisiti. Non basta, infatti, essere stanchi o demotivati per giustificare un’assenza per malattia.
Malattia per stress da lavoro, quando è possibile
Lo stress da lavoro non è di per sé una malattia, ma anzi una risposta del tutto normale e fisiologica alle sfide quotidiane. Entro una certa misura, lo stress è anche positivo - si parla in proposito di eustress - perché consente di aumentare la produttività e raggiungere gli obiettivi, migliorando la concentrazione e le prestazioni. In queste situazioni, la persona stressata riesce a rispondere positivamente agli stimoli attingendo alle proprie risorse. Tuttavia, lo stress è positivo soltanto quando limitato, non solo come livello ma anche e soprattutto come durata.
Ciò che caratterizza l’eustress è proprio il fatto di essere temporaneo, per esempio in vista della presentazione di un progetto importante o del colloquio per una promozione. Al contrario, lo stress prolungato e superiore alla norma è negativo (si parla di “distress”) e debilitante per la persona. In questi casi, il livello di pressione sul lavoratore è costantemente alto, eccessivo anche rispetto ai compiti, e non si riesce a reagire efficacemente. Proprio questo genere di stress nell’ambiente di lavoro può sfociare, prima o dopo, in vere e proprie malattie. Quella più tipica è la cosiddetta sindrome da burnout, riconosciuta dall’Oms come fenomeno occupazionale legato allo stress cronico nel luogo di lavoro.
Tra i sintomi si trovano i disturbi gastrointestinali, l’insonnia, il mal di testa e i dolori muscolari ma anche la stanchezza cronica e la perdita di motivazione. Il burnout può poi associarsi (o causare) condizioni ancora più invalidanti, di tipo psicologico e psichiatrico ma anche patologie di origine psicosomatica. Non si tratta quindi di una normale condizione di stress che può accadere in contesti normali, ma di un carico eccessivo di pressione che demoralizza il lavoratore.
Quanti giorni si possono chiedere e come
Per ottenere la malattia per stress da lavoro bisogna seguire la prassi ordinaria, quindi avvisare tempestivamente il datore di lavoro rispettando le tempistiche previste dai contratti e ottenere il certificato dal proprio medico curante. Quest’ultimo dovrà infatti trasmettere il certificato medico, dopo aver valutato le condizioni psicofisiche del lavoratore, richiedendo eventualmente ulteriori accertamenti per approfondire la malattia.
I giorni di malattia dipendono dalla prognosi del medico, eventualmente modificata da successive visite specialistiche o da quelle fiscali. Il lavoratore in mutua a causa dello stress deve infatti rispettare la reperibilità per i controlli e in linea generale anche il massimo di mutua corrispondente al periodo di comporto. Lo stress causato dall’ambiente di lavoro deve inoltre essere segnalato al datore, che deve agire entro le proprie possibilità per rendere il luogo di lavoro sicuro anche dal punto di vista psicologico.
L’inadempienza può essere oggetto di contestazioni, come anche nel caso in cui il datore di lavoro sia causa della malattia. Si pensi per esempio al mobbing, a carichi di lavoro eccessivi, al demansionamento e così via. In queste ipotesi il dipendente può anche avanzare una richiesta di risarcimento dei danni subiti e nei casi peggiori le dimissioni per giusta causa, come confermato dalla Cassazione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA