Un operaio ha ricevuto per errore un ricco stipendio dalla sua azienda, che era destinato a pagare altri 34 dipendenti e si è rifiutato di restituire il denaro.
Lo scorso gennaio un’azienda russa con sede a Khanty-Mansiysk si preparava a elargire ai propri dipendenti un premio per le ferie pari a circa 500 euro, ma un fortunato lavoratore ricevette uno stipendio di 7 milioni di rubli, pari a circa 74.000 euro. Consapevole del premio aziendale in arrivo, il responsabile del magazzino rimase piacevolmente stupito dell’ingente somma di denaro che era arrivata sul suo conto corrente.
Non passò molto tempo prima che la segreteria aziendale si rese conto dell’errore e chiedesse la restituzione del denaro al lavoratore. Quest’ultimo, piacevolmente sorpreso e contento della somma ricevuta e inconsapevole dell’errore tecnico, non aveva alcuna intenzione di restituire il denaro.
Iniziò quindi una lunga fase di contrattazione e di minacce tra il lavoratore e l’azienda, che accompagnò il fortunato operaio in una lunga vicenda giudiziaria, oltre a costringerlo a “scappare” in un altro Paese spendendo i soldi ricevuti “per errore”. Cosa dice la legge e che cosa rischia il lavoratore?
Riceve lo stipendio di 34 dipendenti e non vuole restituirlo
“I soldi non fanno la felicità” ma sicuramente un bonifico da 74.000 euro potrebbe migliorare una giornata storta: lo sa bene un lavoratore russo che, lo scorso gennaio, ha ricevuto un premio aziendale ricchissimo “per errore” e si è trovato catapultato in una lunghissima vicenda giudiziaria.
Il responsabile di magazzino - che in quel periodo era a capo del dipartimento di Severavtodor, nonché in congedo non retribuito di cinque giorni - attendeva, insieme ai colleghi, l’erogazione di un premio per le ferie il cui importo si ipotizzava tra i 400 e i 500 euro. Sul conto corrente del fortunato lavoratore, invece, era stato effettuato un bonifico di importo molto più elevato, che avrebbe dovuto coprire lo stipendio di altri 34 dipendenti dello stabilimento.
La segreteria aziendale, accortasi dell’errore effettuato, ha immediatamente ricontattato il responsabile chiedendo l’immediata restituzione del denaro percepito indebitamente. Il lavoratore rifiutò la richiesta e iniziò a contrattare con l’azienda: propose infatti di tenere il denaro e farsi detrarre il 20% del suo reddito mensile per i mesi successivi. Ma l’offerta venne rifiutata.
Cosa prevede la legge
Nel frattempo, il fortunato lavoratore iniziò a fare delle ricerche sul web per capire se la legge prevedesse qualche normativa sul caso specifico, in modo da capire se effettivamente avrebbe dovuto restituire il denaro percepito.
Dopo un’accurata ricerca, il lavoratore scoprì che la normativa prevedeva due situazioni:
- se si trattava di un errore tecnico, avrebbe potuto restituire il denaro;
- se si trattava di un errore di fatturazione, era obbligato a restituirlo.
Il diretto interessato ritenne quindi che si trattasse di un errore tecnico e dunque avesse tutto il diritto di tenere i soldi ricevuti. Inoltre, il lavoratore sottolineava il fatto di aver ricevuto un bonifico con causale «stipendio» e quindi di avere effettivamente diritto a quei soldi, nonostante l’errore.
L’azienda, invece, giustificò l’errore parlando di un problema di software e invitò nuovamente il lavoratore a restituire il denaro.
Cosa rischia il lavoratore
Dopo una serie di contrattazioni, l’azienda decise di fare causa al lavoratore ricorrendo al giudizio della Corte Suprema. Il fortunato lavoratore confessò che le richieste rimborso si trasformarono presto in ricatti e minacce, che lo costrinsero a spendere i soldi ottenuti. Si comprò quindi una nuova auto, decise di cambiare numero di telefono e di trasferirsi in un’altra città insieme alla famiglia.
Nel frattempo venne effettuata una denuncia nei suoi confronti, i conti correnti a suo nome vennero congelati e il lavoratore venne accusato di frode economica. In seguito, tutte queste accuse vennero respinte per mancanza di prove.
In un primo momento, quindi, i tribunali di primo e di secondo grado diedero ragione al lavoratore, ma l’azienda presentò l’ennesimo ricorso. Se il lavoratore dovesse perdere la causa, rischierebbe fino a dieci anni di carcere.
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