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di Redazione Orbetech

Realtà virtuale

Redazione Orbetech

3 novembre 2021

Realtà virtuale

La visione di un film, la lettura di un libro o un’opera d’arte sono in grado di trasportarci in un mondo piacevole. La realtà virtuale è in grado di trasportarci in una simulazione esistenziale.

Articolo di Antonio Martone

Il cervello si adatta all’ambiente in cui viene immerso. E così, seduti comodamente sul divano, possiamo indossare un visore che ci trasporta negli ambienti più disparati. Assai rapidamente, siamo in grado di ritrovarci in un luogo oscuro e pericoloso, ricco di insidie e di incertezze, oppure possiamo lasciarci trasportare in un mondo piacevole che ci faccia sentire a nostro agio e che, magari, ci colmi di sensazioni belle e positive.

Del resto, il principio che alimenta questo tipo di “spaesamento” non è nuovo, né va attribuito totalmente all’ambito della cosiddetta realtà virtuale. Anche la visione di un film, quella di un’opera d’arte, la lettura d’un semplice fumetto e perfino l’ascolto del racconto di un amico possono trasportarci all’interno d’una realtà immaginaria. Tuttavia, la tecnologia del virtualismo contemporaneo, strettamente inteso, va ben oltre. Essa è in grado di rilevare fedelmente i movimenti del nostro corpo e le reazioni della nostra mente; può ridurre al minimo la nostra capacità di immaginare e quasi cancellare il nostro legame con il corpo e con la nostra disposizione spazio-temporale.

La realtà virtuale è in grado di porre un essere umano all’interno d’una vera e propria “simulazione esistenziale. Grazie a essa, l’individuo è in grado di interagire con altri mondi che coinvolgono sinestesicamente tutti i sensi del soggetto. Questo è uno degli elementi cardine della sua efficacia nel trattamento di patologie diverse fra cui molte fobie. È chiaro che un processo simile deve essere guidato da un terapista e svolto all’interno di strutture specificamente progettate per un lavoro terapeutico. La cosiddetta Virtual Reality Exposure Therapy (VRET) ha dimostrato la sua efficacia allorquando si sono somministrati stimoli di paura o situazioni di stress in un ambiente sicuro dove le reazioni fisiologiche e psicologiche possano essere gestite dal terapista.

L’estrema problematicità che scaturisce dalla realtà virtuale sorge nel momento in cui, invece di essere opportunamente dosata in un ambiente medico, essa si presenta (e ciò accade nella maggior parte dei casi) senza alcuna limitazione possibile, esponendo in tal modo il corpo a una pressione insostenibile. Tutto ciò rende l’illusione virtualistica molto più potente e invasiva di quanto non fosse quando ci si limitava a dosarne l’impatto per scopi terapeutici. Il fatto è che la tecnica offre possibilità illimitate mentre il corpo umano, e così pure la mente che lo guida, ha limiti molto precisi. Nello scontro fra la realtà del corpo fenomenico e quella virtuale, si assiste a un corto circuito in cui non è mai il corpo a prevalere.

Prima dell’avvento della sfera della virtualità, comprendendo in questa l’immersione nella cybercomunicazione attraverso Internet, vigeva un approccio al reale che si è sgretolato sotto la spinta delle tecnologie: da una parte c’era il mondo reale, e dall’altra l’irrealtà, ossia l’immaginario e il sogno. Il reale è il linguaggio, è il progetto esistenziale e umano e si regge su di un confronto incessante fra passato e futuro. Tale confronto si svolge nel nostro presente e si sviluppa su un piano storico-relazionale. In questo spazio aperto di esperienza, veniamo continuamente invitati a inventare combinazioni nuove tali da spezzare le vecchie abitudini, in vista di una vita diversa nella cui costruzione investiamo la nostra libertà.

Nella dimensione virtuale, molto diversamente, si tende a cancellare l’immaginazione così com’era intesa tradizionalmente: l’ambiente a noi circostante viene assimilato in egual misura e quindi realizzato, anzi iper-realizzato. La realtà in quanto esperienza del mondo perde ogni senso. La nostra vita penetra in una programmazione universale, ossia un algoritmo, che tutto gestisce e promuove.

In questo senso, la realtà virtuale segna la soppressione del confronto con la realtà. Il reale era costituito da un oggetto posto davanti alla coscienza, laddove il virtuale annulla il soggetto in quanto coscienza. Perdono di senso le contrapposizioni fra il vero è il falso, fra la realtà e l’immaginazione: tutto è vero e falso, reale e immaginario in egual misura. Si entra in una città elettronica (ECity), ossia uno spazio di iper-realtà, che pone tutto sul medesimo piano ed espelle da sé ciò che in essa non può, non vuole entrare (NoCity). Nella ECity il soggetto e l’oggetto diventano elementi interattivi in cui sono ambedue gestiti dalla tecnica (ho approfondito tali nozioni nel mio ultimo libro: NoCity. Paura e democrazia nell’età globale, Castelvecchi 2021).

Nel virtuale ci si immerge totalmente ed esso è sempre lì pronto ad accoglierci a condizione che si accettino le sue regole. Lo schermo nero (black mirror) ci consente sì interattività, ma ci nega lo “sguardo oggettivo”, ossia la contraddizione e il negativo che sono propri della realtà. Quest’ultima era un universo composito, ricco di pieghe, di anfratti e di punti oscuri che richiedevano l’intervento attivo del soggetto. La realtà virtuale è invece un universo compatto e integrato. Bisogna concluderne, pertanto, che la realtà vissuta secondo livelli di percezione artificiali - nel suo essere alterata secondo criteri e format macchinali - comporta necessariamente la distruzione del soggetto percipiente in quanto individuo umano.

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