Licenziamento, la guida completa: tipologie, motivazioni e procedure

Redazione Lavoro

3 Marzo 2022 - 11:13

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Licenziamento del lavoratore dipendente: in quali casi è consentito? Ecco tutte le motivazioni che rendono il licenziamento legittimo, così come le procedure e gli obblighi a cui attenersi.

Licenziamento, la guida completa: tipologie, motivazioni e procedure

Il licenziamento è l’atto con cui il datore di lavoro mette fine a uno o più rapporti di lavoro. Il licenziamento, infatti, può essere individuale o collettivo, a seconda di quanti sono i soggetti per i quali si va a risolvere il contratto di lavoro.

Chi si sta chiedendo come fare per licenziare un dipendente, deve sapere che sono diverse le norme che regolano il licenziamento, stabilendo diritti e doveri del datore di lavoro, il quale è importante che sia ben informato su quando questo è uno strumento legittimo e quando invece si rischia una contestazione da parte del lavoratore licenziato.

Tra i diritti del datore di lavoro, ad esempio, figura la possibilità di procedere con il licenziamento sia quando è la condotta del dipendente - il quale potrebbe aver fatto qualcosa di molto sbagliato, oppure semplicemente ha uno scarso rendimento sul lavoro - a giustificare un tale atto, sia quando è l’azienda a vivere una situazione di difficoltà economica. Tra i suoi doveri, invece, c’è quello che obbliga il datore di lavoro a comunicare il licenziamento secondo le norme stabilite dalla legge, dando al lavoratore il giusto preavviso. E ancora: in alcuni casi per il datore di lavoro vi è l’obbligo di dover pagare un indennizzo - conosciuto come ticket di licenziamento o ticket Naspi - direttamente allo Stato, per il licenziamento.

Rispettando tutte le regole, dunque, non c’è alcun rischio riguardo alla possibilità che il licenziamento possa essere illegittimo, anche se esiste comunque il pericolo che il lavoratore non accetti una tale decisione decidendo così d’impugnare il licenziamento davanti al giudice.

L’importante, dunque, è muoversi all’interno dei confini delineati dalla legge. A tal proposito, ecco tutto quello che c’è da sapere sul licenziamento, mettendo in risalto diritti e doveri del datore di lavoro, nonché quali sono i casi in cui solitamente è consentito risolvere anticipatamente un rapporto di lavoro.

Licenziamento del dipendente: il fondamento nell’art. 2118 Codice Civile

In linea generale, possiamo affermare che il lavoratore dipendente con contratto a tempo indeterminato può essere licenziato se si verificano delle particolari situazioni che attengono da una parte alla condotta del lavoratore e dall’altra alla situazione in cui si trova l’azienda o datore di lavoro.

Norma di riferimento è quella di cui all’art. 2118 del Codice Civile, che riportiamo qui nei primi commi:

Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità. In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l’altra parte a un’indennità equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.

ll datore di lavoro deve rispettare una procedura ad hoc per il licenziamento, che comporta essenzialmente:

  • l’invio di una lettera (motivata o preceduta da una contestazione dettagliata);
  • il rispetto dei termini previsti dalla legge o dal contratto, il cosiddetto preavviso di licenziamento In caso di mancata osservazione di tale obbligo, il datore di lavoro dovrà farsi carico dell’indennità di mancato preavviso.

Come vedremo meglio più avanti, in base alle norme vigenti, si può licenziare un dipendente a tempo indeterminato in due specifiche circostanze, ossia per giusta causa e per giustificato motivo.

Licenziamento dipendente: che cos’è e come va comunicato?

Dal punto di vista tecnico, il licenziamento consiste nell’atto con il quale il datore di lavoro termina anzitempo il rapporto lavorativo con il dipendente e di fatto è una delle cause di estinzione del rapporto lavorativo.

Nel dettaglio, il licenziamento è da considerarsi un atto unilaterale recettizio, giacché la dichiarazione del datore di recedere dal rapporto di lavoro comporta i suoi tipici effetti soltanto una volta arrivata a conoscenza del lavoratore.

Inoltre, la comunicazione del recesso unilaterale in oggetto deve provenire unicamente dal datore di lavoro o da un suo legale rappresentante. Nelle circostanze in cui il datore di lavoro coincida con una persona giuridica, il licenziamento deve essere reso noto al dipendente dalla persona o dall’organo dotato dei poteri per il compimento dell’atto in questione.

Le norme vigenti impongono che l’obbligo di comunicazione del licenziamento sia adempiuto in forma scritta, altrimenti il recesso del datore è da ritenersi in ogni caso privo di effetti.

Dal lato del lavoratore, la forma scritta rappresenta una garanzia, in quanto gli permette di controllare che il datore di lavoro abbia rispettato i due requisiti essenziali ulteriori della necessaria giustificazione e del preavviso.

In particolare, la legge 11 maggio 1990, n.108 disciplina i licenziamenti individuali e all’ art. 2 prevede l’obbligo per il datore di lavoro di rendere nota la volontà del recesso, indipendentemente dalla tipologia del licenziamento, tramite la forma scritta. Si legge che:

Il datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro.

La previsione è da intendersi ad substantiam perché senza la comunicazione il licenziamento è considerato come “inefficace” (comma 3 dello stesso articolo).

In particolare, la lettera di licenziamento deve includere i dettagli circa i motivi che hanno prodotto il recesso del datore di lavoro. Ciò è molto semplice da spiegare: infatti, nel nostro ordinamento, è imposto che il licenziamento del dipendente sia motivato, ossia caratterizzato da una ragione giustificatrice, la quale può coincidere con la giusta causa, oppure con il giustificato motivo soggettivo o oggettivo di licenziamento. Approfondiremo ora questi concetti chiave in materia di licenziamento del dipendente.

Licenziamento del dipendente per giusta causa: come funziona?

Laddove il licenziamento del dipendente sia fondato su un fatto così grave da non permettere la continuazione del rapporto di lavoro, neanche in via provvisoria, abbiamo innanzi al licenziamento per giusta causa.

Le norme vigenti non ci dicono in dettaglio quali sono i motivi concreti di licenziamento; semplicemente indicano che deve trattarsi di un comportamento grave e tale dunque da rompere il rapporto di fiducia con l’azienda. Sarà insomma compito del datore decidere, di volta in volta, se la condotta del lavoratore ha davvero compromesso il rapporto di lavoro in modo irreparabile.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha tuttavia indicato nei suoi provvedimenti elementi che sono alla base di un legittimo licenziamento per giusta causa. Eccone alcuni di seguito:

  • l’intenzionalità della condotta del dipendente;
  • il danno concretamente patito dall’azienda;
  • la cd. ’recidiva’, ossia la sussistenza di anteriori contestazioni disciplinari al dipendente, con l’irrogazione di sanzioni;
  • il livello del dipendente rispetto alla condotta inadempiente, vale a dire il grado di affidamento richiesto in rapporto alle mansioni di cui al contratto di lavoro.

Attraverso la giurisprudenza e l’esame delle sentenze della Cassazione, si può dunque elencare una serie di esempi di situazioni pratiche che sono alla base della giusta causa di licenziamento. Tra le altre, citiamo qui:

  • gli atti di diffamazione dell’azienda, anche via web;
  • la presenza sul posto di lavoro in stato di alterazione psichica, legata all’assunzione di droghe o alcol;
  • la condotta violenta al lavoro, con minacce o aggressioni vere e proprie ai danni dei colleghi o dello stesso datore di lavoro;
  • le condanne penali, che possano arrecare un danno d’immagine all’azienda;
  • i furti o prelievi non autorizzati dalla cassa dell’azienda;
  • assenza ingiustificata;
  • l’abbandono senza giustificazione del luogo di lavoro e assenze ingiustificate.

Si tratta obiettivamente di situazioni che minano il rapporto di fiducia dipendente-azienda in modo irreparabile, tanto da impedire la prosecuzione del rapporto anche per un solo giorno. In questi casi, si parla infatti di licenziamento in tronco, vale a dire senza preavviso. Ed infatti non è dovuta alcuna indennità di preavviso.

Il licenziamento del dipendente per giustificato motivo soggettivo: come funziona?

In base alle norme vigenti in materia, un motivo di licenziamento del dipendente, per essere “giustificato” deve essere incuso in una delle seguenti due ipotesi:

Il giustificato motivo soggettivo si riferisce ad un comportamento del lavoratore meno grave di quelli relativi al licenziamento per giusta causa. In detta ipotesi il licenziamento si compie concedendo il cd. preavviso alla controparte. Quest’ultimo si rivela essenziale perché consente al lavoratore di prepararsi alle conseguenze del recesso datoriale.

In particolare, durante il periodo di preavviso il lavoratore può continuare a lavorare ed essere retribuito. Ma sia il datore di lavoro che il lavoratore subordinato possono escludere il preavviso. In ipotesi di rinuncia, chi domanda l’immediata risoluzione del rapporto dovrà versare all’altro la cd. indennità sostitutiva del preavviso.

Anche alla luce della copiosa giurisprudenza in materia, possiamo citare alcuni esempi di giustificato motivo soggettivo:

  • negligenza del dipendente;
  • scarse performance sul luogo di lavoro;
  • mancata osservanza degli ordini datoriali;

In estrema sintesi, va altresì rimarcato che il datore di lavoro, laddove licenzi per giustificato motivo soggettivo, deve rispettare una procedura formale ad hoc. Di solito si trasmette una contestazione scritta ben circostanziata, e si concede al lavoratore un termine per rispondere. Di seguito, si può procedere con il licenziamento del dipendente.

Attenzione però: nel caso in cui l’azienda non rispetti l’accennato iter, il rischio concreto è che il licenziamento del dipendente possa essere dichiarato illegittimo (con annessa possibilità per il lavoratore di ottenere un risarcimento).

Licenziamento del dipendente per giustificato motivo oggettivo: come funziona?

Il concetto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo rileva laddove vi siano ragioni che non attengono al comportamento del dipendente. Semplicemente, la causa è correlata a motivi di ambito interno all’azienda. Pensiamo ad esempio ad un momento di crisi dell’attività di produzione, per il quale si renda necessario tagliare alcuni comparti, sedi o ruoli.

In buona sostanza, in dette circostanze, il licenziamento è fondato su una situazione oggettiva di difficoltà economica e/o strutturale. La giurisprudenza in materia ci indica che questo tipo di scelte, pur essendo in linea generale insindacabili dal magistrato, sono comunque sanzionate nei casi pratici in cui il datore di lavoro cela dietro motivi solo in superficie oggettivi, scelte di licenziamento che intendono far fuori lavoratori sgraditi (ad esempio per motivi di incompatibilità caratteriale).

Pertanto, un licenziamento di questo tipo è legittimo se ne viene di fatto soppressa la funzione. Altrimenti, se il datore di lavoro assume un altro lavoratore con lo stesso ruolo si paleserebbe l’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Concludendo, una sentenza della Cassazione di qualche anno fa ha dato utili chiarimenti su questa tipologia di licenziamento, stabilendo che è legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, anche se non è in gioco una crisi aziendale, in quanto è pur sempre diritto del datore di lavoro di operare una ristrutturazione aziendale per ottimizzare i propri fattori di produzione. In concreto, il licenziamento del dipendente è ammesso anche laddove la mansione affidata al lavoratore non sia più considerata utile.

Ma attenzione: l’azienda dovrà comunque valutare se è possibile collocare il lavoratore in un ruolo che prevede mansioni diverse, anche di livello inferiore. Si tratta del ripescaggio o repechage (Cass. civ. Sez. lavoro, 12/04/2018, n. 9127).

Licenziamento ad nutum

Esiste una tipologia di licenziamento che richiede un ulteriore approfondimento. Ci riferiamo al licenziamento ad nutum, espressione latina che può essere tradotta con “secondo la volontà”, stando così a identificare quella forma di licenziamento che non obbliga il datore di lavoro a fornire in forma scritta le motivazioni per il licenziamento.

Tendenzialmente questa regola vale per:

  • i lavoratori durante il periodo prova
  • collaboratori domestici o apprendisti;
  • dirigenti
  • sportivi professionisti;
  • lavoratori che hanno raggiunto l’età pensionabile.

Licenziamento: contestazione e conciliazione

Non è detto, ovviamente, che il lavoratore possa accettare di buon grado la decisione dell’azienda. Può succedere, infatti, che questo decida di fare contestare il licenziamento, cominciando dall’invio di una lettera di contestazione con la quale viene manifestato il dissenso per tale decisione, con la richiesta all’azienda di un risarcimento o di un indennizzo. Contestazione che, di norma, deve avvenire entro 60 giorni dal momento in cui si è venuti a conoscenza formale del licenziamento.

Qualora tale lettera non dovesse portare a nulla, in mancanza dunque di un accordo tra azienda e lavoratore, quest’ultimo potrà anche decidere di impugnare il licenziamento facendo ricorso in tribunale. Tale strumento è consentito entro 180 giorni dal licenziamento. In alternativa, per il lavoratore c’è anche la possibilità di ricorrere al tentativo di conciliazione presso l’Ispettorato territoriale del Lavoro.

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