Ticket licenziamento 2023, quanto costa al datore di lavoro licenziare un dipendente?

Simone Micocci

28 Marzo 2023 - 17:07

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Ticket di licenziamento, importi aggiornati al 2023: ecco cosa cambia e quando va pagato dal datore in caso d’interruzione anticipata di un rapporto di lavoro.

Ticket licenziamento 2023, quanto costa al datore di lavoro licenziare un dipendente?

Per effetto della rivalutazione cambia l’importo del ticket di licenziamento, il contributo che viene richiesto al datore di lavoro per ogni cessazione di un rapporto di lavoro dipendente per una delle casistiche che possono dar luogo all’indennità di disoccupazione Naspi.

L’importo del ticket è legato al trattamento di disoccupazione: quindi, così come quest’ultimo, è annualmente soggetto a rivalutazione in base all’inflazione. In particolare l’aumento dei prezzi rilevato nel 2022 ha comportato un notevole incremento per la Naspi e di conseguenza anche del ticket in oggetto: da quest’anno diventa quindi più caro il costo da sostenere per licenziare uno o più dipendenti.

Ma d’altronde lo scopo del ticket di licenziamento è proprio quello di disincentivare i licenziamenti, oltre che a contribuire alla spesa di cui si fa carico lo Stato per il pagamento delle relative indennità di disoccupazione. Ed è per questo motivo che il ticket di licenziamento va pagato in ogni caso di cessazione di un rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato che dà diritto alla Naspi.

Tenendo conto delle ultime novità in materia, come disciplinate dalla circolare Inps n. 14 del 3 febbraio 2023, ecco una guida aggiornata sul ticket di licenziamento: dai casi in cui va pagato alle informazioni su quanto costa a un’azienda licenziare uno o più dipendenti nel corso del 2023.

Cos’è

Il ticket licenziamento è quel contributo a carico delle aziende e dei datori di lavoro introdotto dalla cosiddetta Riforma Fornero (legge 92/2012). È dovuto in tutti i casi in cui c’è un’interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, a eccezione di quando è il lavoratore a presentare le dimissioni. L’impresa non è dovuta al pagamento del ticket per il licenziamento neppure nel caso di risoluzione consensuale del contratto di lavoro.

Questo ha preso il posto dell’indennità di mobilità dal 1°gennaio 2017 ed ha un duplice obiettivo:

  • finanziare la Naspi, l’indennità di disoccupazione che l’Inps, salvo eccezioni, riconosce a chi perde il proprio lavoro;
  • scoraggiare i licenziamenti.

Il datore di lavoro quindi non ha più l’obbligo di pagare la tassa per l’iscrizione del dipendente che ha perso il lavoro, ma deve versare all’Inps un contributo per finanziare una eventuale indennità di disoccupazione - Naspi - spettante al neo disoccupato.

Contributo che va pagato con modello F24 in un’unica soluzione entro il 16° giorno del secondo mese successivo all’interruzione del rapporto lavorativo con un importo variabile - come vedremo meglio di seguito - in base all’anzianità di servizio del dipendente.

Quando si paga

Il ticket di licenziamento va pagato quando il dipendente licenziato ha diritto all’indennità Naspi.

Ricordiamo che questa spetta ai lavoratori che perdono il loro impiego per cause esterne alla loro volontà; non hanno diritto all’indennità di disoccupazione quindi coloro che si dimettono dal lavoro, a eccezione che si tratti di dimissioni per giusta causa.

Nel dettaglio, i datori di lavoro sono obbligati a pagare questo contributo nei seguenti casi:

È bene precisare che la riforma Fornero stabilisce che il datore di lavoro ha il dovere di versare il ticket di licenziamento nei casi appena indicati, indipendentemente dal fatto che il dipendente poi usufruisca o meno della Naspi.

Ma il ticket di licenziamento non è sempre dovuto. Ad esempio, non va versato quando si licenzia un collaboratore domestico, un operaio agricolo o un operaio extracomunitario stagionale. I datori di lavoro sono esenti dal versamento di questo contributo anche qualora sia il lavoratore a dimettersi, oppure se la fine del rapporto lavorativo avviene per la scadenza di un contratto a tempo determinato. Non è dovuto neppure nel caso di decesso del dipendente. Infine, l’esenzione riguarda anche i licenziamenti avvenuti per cambio d’appalto (ad esempio per le imprese di polizia) e per fine cantiere nel settore edile.

Calcolo e importi 2023

Così come l’indennità di disoccupazione Naspi, anche per il calcolo del ticket di licenziamento bisogna fare riferimento all’anzianità.

L’attuale normativa confermata per il 2023 prevede che il datore di lavoro debba pagare il 41% del massimale mensile Naspi per ogni 12 mesi di anzianità del dipendente negli ultimi 3 anni.

Quindi, considerando che il massimale Naspi, come indicato dalla circolare Inps n. 14/2023, per l’anno corrente è pari a 1.470,99 euro, il contributo dovuto dal datore di lavoro è di 603,10 euro per gli ultimi 12 mesi di impiego, per un importo massimo - per i rapporti lavorativi pari o superiori ai 36 mesi -di 1.809,31 euro.

Qualora la durata del rapporto fosse inferiore a un anno, il contributo dovuto viene rideterminato. Nel dettaglio, bisogna pagare 50,25 euro mensili, moltiplicati ovviamente per il numero di mesi in cui ha avuto luogo il rapporto di lavoro. A tal proposito, va detto che affinché si possa considerare come un mese di lavoro è necessario che il rapporto si sia protratto per almeno 15 giorni.

Non va invece rideterminato il contributo di licenziamento nel caso dei lavoratori impiegati con orario part-time: in questo caso, infatti, le regole per il calcolo sono le stesse previste per i lavoratori full-time e dunque il datore di lavoro deve farsi carico del contributo pieno.

Per il licenziamento collettivo da parte delle aziende rientranti nella Cigs l’importo del ticket anche nel 2023 va calcolato con un’aliquota maggiorata dell’82% (1.206,21 euro per le prime 12 mensilità, 3.618,63 euro per 3 anni). Inoltre, in mancanza di un accordo sindacale questo va moltiplicato per 3; quindi, in tal caso per i 36 mesi l’importo massimo è di 10.855,90 euro per ciascun lavoratore.

Come specificato dall’Inps nella circolare 44/2013, però, se un lavoratore ha un’anzianità aziendale differente da 12, 24 e 36 mesi il contributo va rideterminato in maniera proporzionale al numero di mesi di servizio.

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