Ticket licenziamento 2025, ecco quanto costa oggi licenziare un dipendente

Simone Micocci

31 Luglio 2025 - 15:13

Quanto costa licenziare un dipendente quest’anno? Aumenta il valore del ticket di licenziamento da versare all’Inps, ecco gli importi aggiornati al 2025.

Ticket licenziamento 2025, ecco quanto costa oggi licenziare un dipendente

Nel 2025 licenziare un dipendente costa di più.

Ogni licenziamento ha un impatto economico diretto sull’azienda: oltre al Tfr e agli eventuali compensi arretrati, in molti casi il datore di lavoro deve versare all’Inps il cosiddetto ticket di licenziamento, un contributo obbligatorio introdotto dalla legge Fornero e aggiornato ogni anno.

Nel 2025, a causa della rivalutazione della Naspi, è aumentato anche l’importo del ticket licenziamento: il contributo base per 12 mesi di anzianità è salito a 640,76 euro, fino a un massimo quindi di 1.922,28 euro per rapporti di durata pari o superiore a 36 mesi. E non solo, perché in caso di licenziamenti collettivi senza accordo sindacale, il costo può arrivare a superare gli 11.000 euro per ciascun lavoratore.

Ricordiamo che il ticket di licenziamento, anche nel 2025, si applica in tutte le ipotesi in cui il lavoratore ha potenzialmente diritto all’indennità di disoccupazione: dai licenziamenti per giustificato motivo o giusta causa, alle risoluzioni consensuali con conciliazione, fino alle dimissioni per giusta causa. Non si paga, invece, in caso di dimissioni volontarie, scadenza di contratto a termine, decesso del dipendente o alcune casistiche particolari previste dalla normativa.

Che cos’è il ticket di licenziamento?

Prima di capire quanto costa al datore di lavoro licenziare un dipendente nel 2025, è importante chiarire cosa si intende per ticket di licenziamento.

Si tratta di un contributo obbligatorio introdotto dalla legge Fornero (legge 92/2012), che le aziende sono tenute a versare ogni volta che si verifica un’interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato imputabile al datore, con alcune eccezioni come le dimissioni volontarie o le risoluzioni consensuali non soggette a conciliazione.

Il ticket di licenziamento ha sostituito, a partire dal 2017, il vecchio contributo d’ingresso alla mobilità previsto dai contratti collettivi e rappresenta oggi un costo fisso che si applica a ogni cessazione che può dare accesso alla disoccupazione. La sua funzione è duplice: da un lato, serve a finanziare la Naspi, dall’altro ha uno scopo dissuasivo in quanto mira a scoraggiare i licenziamenti, rendendoli economicamente meno vantaggiosi per le aziende.

Quando si paga

Per capire quanto può costare il licenziamento di un dipendente a un datore di lavoro bisogna però prima specificare che il contributo a carico dell’azienda non è dovuto per tutte le tipologie di rapporti di lavoro.

L’azienda o il datore di lavoro sono tenuti al pagamento del ticket di licenziamento per l’interruzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, o nel caso di un apprendistato interrotto alla fine del periodo di formazione.

Non è dovuto nessun contributo, invece, per la cessazione del rapporto a seguito di scadenza di un contratto di lavoro a tempo determinato o nel caso di decesso del dipendente. Niente ticket qualora sia il lavoratore a dimettersi, neppure per le dimissioni per giusta causa (che però danno diritto alla Naspi).

Esclusi dal contributo sono anche i licenziamenti di un collaboratore domestico, di un operaio agricolo o un operaio extracomunitario stagionale.

Come si calcola il contributo di licenziamento?

Dopo aver visto quando il datore di lavoro è tenuto al versamento del contributo di licenziamento, è bene ora capire come calcolare tale somma.

Di norma, il datore di lavoro, a seguito di licenziamento, è tenuto a versare un contributo commisurato al massimale mensile della Naspi che per l’anno 2025 è pari a 1.562,82 euro.

A partire dal 1° gennaio 2018, tale contributo di licenziamento è stato raddoppiato per le imprese che rientrano nell’ambito di applicazione della cassa Integrazione guadagni straordinaria (Cigs) e che fanno ricorso ai licenziamenti collettivi.
In particolare, le imprese coinvolte che licenziano un dipendente assunto con contratto a tempo indeterminato devono versare un contributo maggiorato: l’aliquota percentuale dovuta è infatti innalzata all’82%, mentre l’importo può essere triplicato qualora il licenziamento avvenga senza il previo raggiungimento di un accordo sindacale. L’aliquota rimane invece ferma al 41% (e non è soggetta a tali maggiorazioni) negli altri casi e per i licenziamenti collettivi avviati entro il 20 ottobre 2017.

Nel dettaglio, il contributo si calcola in proporzione ai mesi di anzianità aziendale, senza alcuna distinzione tra lavoro a tempo pieno e part-time. Si considerano solo i mesi di lavoro in cui il dipendente ha prestato servizio per almeno 15 giorni. Per il 2025, la quota mensile è pari a 53,40 euro.

Quanto costa il licenziamento di un dipendente al datore di lavoro?

Tenendo presente quanto visto finora e facendo i calcoli, dunque, emerge che il licenziamento di un dipendente nel 2025 ha i seguenti costi per un datore di lavoro (secondo quanto indicato dall’Inps con la circolare n. 25 del 29 gennaio 2025):

  • in caso di licenziamento individuale, si calcola il 41% del massimale mensile Naspi per ogni 12 mesi di anzianità del dipendente negli ultimi 3 anni. Considerato che il massimale per il 2025 è pari a 1.562,82 euro, il contributo dovuto dal datore di lavoro per i primi 12 mesi di rapporto è di 640,76 euro. Per rapporti lavorativi pari o superiori a 36 mesi, l’importo massimo da versare arriva a 1.922,28 euro.
  • per i licenziamenti collettivi da parte delle aziende rientranti nella Cigs, il calcolo segue regole diverse: come anticipato, l’aliquota si innalza all’82% del massimale, raddoppiando quindi l’importo. Nel 2025 equivale a 1.281,51 euro per i primi 12 mesi di anzianità e 3.844,53 euro per 3 anni. Se il licenziamento collettivo avviene senza un accordo sindacale, l’importo va triplicato, arrivando fino a 11.533,59 euro per ciascun lavoratore.

Come recuperare il ticket di licenziamento dai compensi di fine rapporto dovuti al dipendente

All’esborso dovuto per il ticket di licenziamento vanno aggiunti poi i compensi di fine rapporto spettanti al dipendente. Va detto, però, che proprio da questi, in alcuni casi, è possibile sottrarre il costo sostenuto per il ticket di licenziamento: è così quando il licenziamento è dovuto a un grave inadempimento da parte del lavoratore, ad esempio nei casi di reiterata assenza ingiustificata dal lavoro.

Anche a seguito di licenziamento per giusta causa, d’altronde, il dipendente ha diritto alla Naspi e di conseguenza il datore di lavoro è soggetto al pagamento del suddetto ticket. Tuttavia, diversi giudici hanno ritenuto che in questo caso l’azienda può rifarsi direttamente sul dipendente trattenendo dalle competenze di fine rapporto l’equivalente del ticket di licenziamento.

Ovviamente non si tratta di un processo automatico, in quanto deve essere un giudice - a cui può rivolgersi direttamente l’azienda per far causa al dipendente - a dover autorizzare il recupero delle somme esborsate a titolo di ticket di licenziamento.

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