Dopodomani, 30 luglio, l’annuncio sui tassi della Fed di Jerome Powell. Donald Trump e le colombe ancora a bocca asciutta?
La nuova settimana di trading sui mercati finanziari vede protagonista il market mover della decisione sui tassi che sarà annunciata dalla Fed dopodomani, mercoledì 30 luglio.
Dopo il verdetto di giovedì scorso della BCE, che ha deciso di lasciare invariati i tassi dell’Eurozona, interrompendo il ciclo dei tagli avviato nel giugno del 2024 - che ha fatto scendere il tasso sui depositi fino al 2% -, questa settimana tocca alla Federal Reserve guidata dal presidente Jerome Powell comunicare ai mercati le proprie decisioni di politica monetaria.
Il primo taglio dei tassi di questo anno rimane una chimera: finora il FOMC, il braccio di politica monetaria della Banca centrale americana, ha confermato continuamente lo status quo dall’inizio del 2025, indispettendo ogni volta il presidente americano Donald Trump. Donald Trump che, fino a pochi giorni fa, ha insultato con toni più o meno minacciosi il timoniere della Fed, portando i mercati a paventare anche un imminente licenziamento del banchiere centrale.
Tassi Fed mai tagliati nel 2025 con timori Powell, l’ira di Trump
Peccato che proprio la nuova politica commerciale inaugurata dalla seconda era di Trump sia il vero motivo che ha convinto Powell a non fare nulla, lasciando i tassi invariati all’interno della forchetta compresa tra il 4,25% e il 4,5%.
Di fatto, la paura che Powell non ha mai nascosto di nutrire è che i dazi che l’amministrazione USA ha deciso di sferrare contro i principali partner commerciali degli States finiscano per riaccendere l’inflazione, in un contesto in cui l’economia americana non dà segnali tali da richiedere un pronto intervento.
Inutili le invettive, le accuse, i rimproveri lanciati ripetutamente contro Powell da Trump, dal suo ritorno alla Casa Bianca, spesso in modo anche delirante. (“un idiota, ma mi piace molto”)
Powell è rimasto fermo, senza mai cedere, consapevole tra l’altro del fatto che cedere avrebbe significato alimentare a Wall Street il dubbio che la Banca centrale americana stesse per abdicare alla sua indipendenza. Dubbio che già assilla, in realtà, Wall Street e il mondo intero.
Dal canto suo, il presidente americano non ha mai smesso di assediare il tycoon, tornando alla carica contro l’intera Federal Reserve, oltre che sulla questione tassi, anche per le presunte spese folli che avrebbe fatto per ristrutturare il suo quartiene generale di Washington, per poi essere tra l’altro smentito in modo piuttosto imbarazzante dallo stesso Powell.
Mercati prezzano taglio tassi luglio con probabilità zero. Le previsioni per settembre
Detto questo, per ora la verità è che il primo taglio dei tassi sui fed funds USA da parte della Fed in questo anno 2025 rimane praticamente una utopia.
A dirlo sono gli stessi mercati, per la precisione i futures sui fed funds che, stando a quanto riportato da Reuters, prezzano almeno nel brevissimo termine, dunque per l’imminente riunione di dopodomani 30 luglio 2025 una probabilità pari praticamente a zero di una riduzione del costo del denaro.
Sarà invece settembre, per caso, il mese in cui finalmente per molti Powell deciderà di muoversi?
Neanche su questo vi è alcuna certezza: le probabilità di una sforbiciata dopo la pausa estiva sono alte, sì, pari al 70%, ma non puntano ad alcun dado che sia stato già tratto. Tra l’altro, precisa Reuters, i mercati neanche sono più convinti del fatto che quest’anno si paleseranno due riduzioni dei tassi, mettendo praticamente in dubbio quanto è emerso dallo stesso dot plot che la Fed ha pubblicato al termine della riunione del FOMC di giugno.
D’altronde, spiega un articolo della Reuters che porta la firma di Mike Dolan, ci sono segnali sufficienti che indicano che dazi sulle importazioni USA si confermeranno più alti di quanto pronosticato negli scenari migliori possibili.
Va fatto notare, nel caso dell’Europa che, sebbene molto al di sotto del 50% minacciato da Trump, i dazi che gli Stati Uniti hanno deciso di imporre sui beni importati dall’UE a partire dal prossimo 1° agosto, sono comunque più alti del 10% inciso nel best case scenario.
C’è poi un altro fattore di per sé inflazionistico per l’economia degli Stati Uniti: il dollaro più debole, a causa della crisi di fiducia che ha colpito la valuta americana a partire da quel ben noto Liberation Day.
A parlare sono gli stessi dati macro, visto che l’inflazione USA rimane ben al di sopra del target del 2% e che le aspettative sull’inflazione di lungo termine, le più alte ora rispetto a qualsiasi altro Paese del G7, sono anch’esse al di sopra di quell’obiettivo.
Nel mese di giugno, l’indice dei prezzi al consumo degli Stati Uniti, tra i termometri più importanti che monitorano il trend dell’inflazione, è salito di fatto del 2,7%, accelerando il passo rispetto al +2,4% di maggio. L’indice CPI core, che esclude le componenti più volatili rappresentate dai prezzi dei beni alimentari ed energetici, è salita del 2,9% su base annua, rafforzandosi anch’essa rispetto al mese precedente, quando era avanzata al ritmo del 2,8%.
Tuttavia, occhio anche alla presenza di alcune colombe che iniziano a scalpitare da un po’.
Il commento di PIMCO su direzione tassi Fed e minaccia licenziamento di Powell da Trump
Ma cosa dicono, oltre ai mercati, gli esperti? Tra i commenti e le previsioni degli economisti sull’esito della riunione del FOMC ormai alle porte - che inizierà domani, 29 luglio, per concludersi il 30 luglio -, spicca quello di Tiffany Wilding, economista di PIMCO che, con il contributo di Libby Cantrill, Head of Public Policy di PIMCO, ha dedicato un’analisi alle prospettive dei tassi USA e anche sulla Fed post Powell sottolineando che, a suo avviso, “nonostante l’intensificarsi delle polemiche politiche intorno alla Federal Reserve”, non ci saranno “cambiamenti radicali nella politica monetaria, indipendentemente da chi sarà confermato come prossimo presidente”.
E questo perché, “sebbene i candidati di Trump alla presidenza della Fed sarebbero probabilmente favorevoli a un ritmo più rapido di tagli dei tassi, le previsioni ottimistiche dell’amministrazione in materia di crescita limitano le ragioni a favore di un orientamento al di sotto della neutralità o dell’adozione di una stima del tasso neutrale molto più bassa rispetto all’attuale consenso del FOMC”.
PIMCO ritiene inoltre “altamente improbabile che Trump licenzi il presidente della Fed Jerome Powell prima della scadenza del suo mandato nel maggio 2026”, in quanto “licenziare Powell potrebbe rivelarsi controproducente sotto diversi aspetti e, inoltre, le ripercussioni legali, politiche ed economiche sarebbero troppo rilevanti ”.
Riguardo alla politica monetaria in senso stretto, Tiffany Wilding crede che “un percorso ragionevole da seguire, alla luce delle nostre prospettive economiche, sia quello di tornare a un orientamento neutrale entro la fine del 2026, con tassi di interesse che si attestano intorno al punto mediano dell’intervallo neutrale stimato dalla Fed, compreso tra il 2,6% e il 3,6% (in calo rispetto all’attuale livello del 4,25-4,5%)”.
Una forchetta, fa notare l’esperta, che corrisponde a “ un valore inferiore alla proiezione mediana del 3,6% contenuta nell’attuale Summary of Economic Projections del FOMC per il 2026, ma che rimane comunque all’interno dell’intervallo di tendenza centrale”.
In evidenza anche il fatto che “gli adeguamenti dei prezzi al consumo derivanti dall’aumento dei dazi sono stati modesti” e che “se questa tendenza dovesse continuare, ci sarebbero ottime ragioni per cui il FOMC guidato da Powell potrebbe riprendere la normalizzazione dei tassi nel corso dell’anno ”.
Questo, mentre i “ recenti dati economici rafforzano le ragioni a favore di un taglio dei tassi ”, considerato che “lo slancio economico statunitense ha subìto un rallentamento rispetto allo scorso anno”, come dimostrato dai dati del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, che indicano che, “nella prima metà del 2025, la crescita reale dei consumi è stata pari a circa l’1%, in netto calo rispetto al 4% registrato nella seconda metà dello scorso anno”.
Va inoltre riconosciuto che “ anche le pressioni inflazionistiche sono state più moderate del previsto , in parte perché i dazi stanno impiegando tempo per riflettersi sui prezzi al consumo” tanto che “alcuni policymaker, tra cui il governatore della Fed Christopher Waller, hanno sostenuto la necessità di un intervento anticipato a luglio, mentre 10 membri del FOMC prevedono due o più tagli di 25 punti base entro la fine dell’anno ”.
In generale, secondo PIMCO, “nei prossimi anni, a meno di shock economici negativi imprevisti o di pressioni inflazionistiche sottostanti più preoccupanti, prevediamo un ritorno graduale a un orientamento neutrale della politica monetaria, prima sotto la guida di Powell fino a maggio, poi sotto il prossimo presidente della Fed ”.
Inflazione USA riaccelererà in modo significativo, no taglio tassi per tutto il 2025?
Gli esperti che ritengono che la Fed non toccherà tuttavia i tassi per tutto il 2025 rimangono.
Tra questi, interpellato da Reuters, il responsabile strategist di mercato di Lazard Ron Temple, che ritiene che non ci sarà alcun taglio quest’anno.
Il motivo sarà rappresentato proprio da quanto teme Powell, ovvero il fatto che “ l’inflazione probabilmente riaccelererà in modo significativo ”.
Ai dazi si aggiunge il fatto che anche “ le restrizioni più severe sull’immigrazione creeranno probabilmente un’altra forza inflazionistica” dal momento, ha continuato Temple, che l’aumento delle deportazioni dei lavoratori potrebbe far salire l’inflazione attraverso i salari, mantenendo stabile la disoccupazione. “Uno scenario che non avalla la prospettiva di tagli dei tassi da parte della Fed”, ha spiegato Temple. A quanto pare per tutto l’anno.
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