Crac First Brands, la mina che rischia di far esplodere la prossima crisi finanziaria?

Laura Naka Antonelli

17/10/2025

Una crisi finanziaria è alle porte? Ieri il panico a Wall Street, con una raffica di selle sulle azioni delle banche che ha infettato anche l’Europa e il mondo intero.

Crac First Brands, la mina che rischia di far esplodere la prossima crisi finanziaria?

È da ricondursi al crac di First Brands l’origine della raffica di sell che, partendo da Wall Street, oggi ha messo KO le azioni delle banche di tutto il mondo.

Ormai ex azienda americana attiva nel settore della componenstica auto, First Brands è andata in bancarotta più di un mese fa, quando ha annunciato passività per un valore superiore ai 10 miliardi di dollari, mandando nel panico i suoi creditori. Un vero e proprio trauma per diverse banche regionali USA, le cui azioni hanno finito per collassare nella seduta di ieri di Wall Street, travolte da una valanga di sell.

Crac First Brands, la paura NPL si abbatte su Wall Street. E contagia il mondo

Quegli smobilizzi hanno travalicato i confini della borsa USA per abbattersi oggi, venerdì 17 ottobre 2025, sui titoli delle banche di tutto il mondo, sulla scia di una paura che si può riassumere nell’acronimo NPL, che sta per Non Performing Loans, ovvero crediti non performanti e/o crediti deteriorati: un problema che le banche italiane conoscono bene, visto che la spina delle sofferenze e dei crediti deteriorati è rimasta conficcata nei loro bilanci per diversi anni, prima di essere estratta in modo graduale grazie al grande processo di risanamento che gli istituti hanno portato avanti, ripulendosi dai cosiddetti bad loans, crediti cattivi.

Gli NPL sono conseguenza diretta di due fattori: il credito facile che in alcuni casi le banche di tutto il mondo erogano, senza vagliare in via preventiva il merito creditizio dei loro clienti; e la comparsa di fenomeni improvvisi che scatenano una crisi economica tale da rendere più faticosa e, nei casi più gravi, impossibile la restituzione da parte di imprese e famiglie di quei prestiti ricevuti in precedenza dalle banche.

Più grande è l’azienda incapace di rimborsare i prestiti, più alta è la probabilità che le banche creditrici soffrano perdite sui crediti erogati, a danno dei loro bilanci.

Il crac di First Brands ha alimentato proprio questa grande paura, dal momento che diverse sono le banche americane (ma non solo) che hanno erogato prestiti a questa azienda che ha fatto crac.

Si tratta di banche regionali, ma anche dell’investment bank Jefferies, che ieri ha assistito al tracollo delle sue azioni dopo la notizia dell’esposizione verso First Brands, calcolata in una cifra di $715 milioni.

A rischio di non rivedere più i prestiti erogati anche il gigante svizzero UBS, che ha una esposizione nei confronti di First Brands pari a $500 milioni.

La domanda è stata dunque, e subito, la seguente: nel riaccendere sui mercati la paura di un’impennata dei crediti deteriorati, NPL, nei bilanci delle banche di tutto il mondo, il crac di First Brands è per caso la mina che rischia di far esplodere la prossima crisi finanziaria mondiale?

Di fatto, il motivo per cui oggi i titoli bancari sono stati bersagliati daglo smobizzi è stato rappresentato dalla paura di un deterioramento dei bilanci degli istituti a causa della loro esposizione verso aziende in difficoltà, a rischio di fare crac come è accaduto a First Brands.

First Brands non è un caso isolato, crac anche per Tricolor. La perdita di JPMorgan mentre Dimon lancia alert scarafaggi

Quello di First Brands non è un caso isolato. Anche un altro gruppo americano è finito recentemente in bancarotta.

Si tratta di Tricolor Holdings, gruppo specializzato nell’erogazione di prestiti a clienti con bassi meriti creditizi, che ha fatto crac a settembre, e gruppo verso cui era esposto il colosso di Wall Street e banca numero uno degli Stati Uniti JPMorgan.

Non per niente, nel corso della conference call indetta per commentare i conti del terzo trimestre annunciati qualche giorno fa, il gigante USA ha rivelato di avere sofferto una perdita di 170 milioni di dollari legata alla fine dell’azienda.

A commentare la perdita è stato lo stesso Jamie Dimon, il CEO di JPMorgan, che no ha usato mezzi termini per spiegare la sua delusione: “Mi si drizzano le antenne quando accadono cose del genere”, lanciando anche un attenti: “Probabilmente non dovrei dirlo ma, quando si vede uno scarafaggio, è probabile che ce ne siano altri ”, intendendo per scarafaggi gli effetti negativi che le crisi aziendali potrebbero star già producendo nei bilanci di alcune banche, aumentando la presenza degli NPL nei loro bilanci.

Il timore che altri scheletri nell’armadio possano saltare fuori e che le banche americane finiscano con l’essere costrette ad annunciare perdite di bilanci ha affossato ieri a Wall Street, oltre a Jefferies - esposta per l’appunto al caso First Brands, attraverso la divisione Leucadia Asset Management - anche altre azioni, in particolare i titoli di alcune banche regionali che erano state grandi protagoniste della crisi finanziaria esplosa l’ultima volta negli Stati Uniti nel marzo del 2023, e che venne scatenata dalla notizia del fallimento di SVB -Silicon Valley Bank.

Ieri a Wall Street una raffica di vendite si è abbattuta soprattutto sulle azioni Zions Bancorporation, che hanno sofferto un crollo superiore a -13% e sui titoli di Western Alliance Bancorp, affondati di oltre il 10%.

Zions Bancorporation ha in particolare annunciato di aver perso $50 milioni a causa dell’impattto degli NPL sul suo bilancio, per la mancata restituzione di due prestiti commerciali che aveva precedentemente stanziato.

Le vendite sulle azioni delle banche regionali USA sono state tali da portare l’indice di riferimento del comparto, l’SPDR S&P Regional Banking ETF (KRE), a scivolare di più del 6%.

Oggi a Wall Street torna la calma, dopo un iniziale calo delle azioni delle banche USA in premercato che aveva fatto temere il peggio anche per la sessione di odierna.

Le borse europee hanno ridotto di conseguenza le perdite, con l’indice Ftse Mib di Piazza Affari che, dopo aver perso più del 2% nei minimi intraday della seduta, è riuscito a limitare i danni, segnando una flessione pari a -1,45%, a quota 41.758,11 punti.

Pur rimanendo sotto pressione, confermandosi tra le peggiori del listino, anche a causa della tassa che il governo Meloni sarebbe pronto a sferrare contro gli intermediari finanziari e le compagnie assicurative, le azioni delle banche italiane hanno limato le flessioni.

Crac First Brands, pericolo crisi finanziaria? La reazione degli investitori mentre l’FMI non vede in giro “molti scarafaggi”

Diversi sono comunque gli analisti che si chiedono quali potranno essere gli effetti del crac di First Brands non solo per l’esposizione che altri istituti potrebbero avere nei suoi confronti, ma anche per l’impatto che la paura di un aumento degli NPL nei bilanci delle banche, in generale, potrebbe avere sul sentiment degli operatori di mercato.

Russ Mould, direttore degli investimenti di AJ Bell, ha commentato l’effetto domino che i cali delle azioni delle banche USA hanno avuto sui titoli delle banche europee spiegando che “gli investitori hanno iniziato a chiedersi perché si siano manifestati così tanti problemi in un arco temporale così breve e se ciò indichi la presenza di una cattiva gestione del rischio e di standard di concessione del credito troppo permissivi ”.

Mould ha ammesso che nel Regno Unito “ gli investitori si sono spaventati e hanno iniziato a ridurre le loro posizioni nel settore, optando probabilmente per una minore esposizione, pensando all’emergere di una possibile crisi”. Sebbene non ci siano infatti prove di problemi che riguardano “ le banche più importanti quotate a Londra, gli investitori tendono spesso a reagire d’istinto quando emergono difficoltà in qualsiasi parte del settore”, ha aggiunto l’esperto.

Ma la domanda che assilla gli investitori in queste ore è se la reazione dell’azionario sia stata davvero esagerata, o se in giro circolino altri “ scarafaggi ”, così come li ha chiamati Jamie Dimon di JPMorgan.

Il timore, insomma, è che una crisi finanziaria possa essere alle porte dopo che i mercati azionari si sono ’ubriacati’ di buy, a dispetto delle incertezze che assillano i fondamentali economici di tutto il mondo, alla mercé dei dazi di Trump.

Interpellato dall’agenzia di stampa Reuters, l’analista di Morningstar Kenneth Lamont ha avvertito che, “sebbene un rischio di contagio più ampio appaia al momento contenuto, una perdita di fiducia potrebbe scatenare uno stress significativo ”.

Sul caso First Brands si è espressa anche la direttrice del Fondo Monetario Internazionale (FMI) Kristalina Georgieva, in occasione delle riunioni autunnali dell’istituzione e della Banca Mondiale, in corso in questi giorni, affermando che, sebbene l’attenzione sugli sviluppi sia massima dopo i casi di bancorotte del gruppo, così come di Tricolor, non ci troviamo nella stessa situazione che ha creato la grande crisi finanziaria (quella del 2008). Georgieva ha anche detto che, a suo avviso, “ in giro non ci sono molti scarafaggi ”.

First Brands, lo sconcerto del creditore, “svaniti $2,3 miliardi”. Il profilo dell’azienda USA

Nel frattempo, First Brands è finita nel mirino del dipartimento di Giustizia USA, che ha deciso di far luce sui motivi che hanno provocato il suo collasso.

In evidenza, tra i creditori, la società finanziaria Raistone, che ha chiesto a un tribunale di nominare un funzionario indipendente dopo aver constatato che una somma di ben $2,3 miliardi “ è semplicemente svanita ”.

Fondata nel 2014 e di proprietà dell’investitore Patrick James, nato a Singapore, First Brands è cresciuta rapidamente rilevando altre aziende di componentistica automobilistica attive negli Stati Uniti.

La sua espansione è stata sostenuta soprattutto dal ricorso al debito e da finanziamenti bancari sindacati su larga scala, così come da strutture di crediti non tradizionali, che hanno coinvolto veicoli societari dedicati (SPV) e obbligazioni garantite da prestiti (CLO).

Il gruppo – le cui divisioni producevano candele, tergicristalli, filtri, componenti dei freni e altri pezzi di ricambio per il settore auto– ha presentato istanza di fallimento ricorrendo al Chapter 11 il 28 settembre scorso.

In un momento in cui la stessa presidente della BCE Christine Lagarde - pur affermando che i tassi di interesse dell’Eurozona viaggiano a un livello che si può considerare appropriato - ripete più volte la parola “shock”, dopo aver lanciato tra l’altro giorni fa anche un alert su quella bolla che di più la spaventa, la preoccupazione degli investitori è che il crac di First Brands abbia appena scoperchiato il vaso di Pandora degli NPL.

Crisi finanziaria alle porte? Il gestore rassicura, First Brands caso idiosincratico, niente bis crisi banche 2023

Non è così pessimista David Barker, gestore degli investimenti del team azionario europeo di GAM, che gestisce i fondi GAM Star European Equity e Star Continental European Equity e che, interpellato oggi dalla CNBC, ha detto che al momento non ci sono prove di problemi strutturali profondi nel credito:

“Il problema principale sembra riguardare l’integrità delle garanzie, con collateral impegnati due volte o falsificati. Questo suggerirebbe che le perdite siano di natura idiosincratica e che, per ora, non ci siano ulteriori segnali di criticità”.

Il gestore ha spiegato la reazione delle azioni delle banche europee e delle assicurazioni con l’allineamento dei titoli ai cali che hanno colpito ieri Wall Street, aggiungendo che, ad amplificare le perdite odierne, è stata la sovraperformance del comparto finanziario nel corso del 2025 rispetto al mercato.

Il sottoindice del settore bancario è schizzato infatti di oltre il 50% nel corso dell’anno.

Nessuna paura insomma di un effetto contagio protratto nel tempo, ha rassicurato Barker: “In generale, riteniamo che le banche europee siano ben capitalizzate e abbiano ridotto in modo significativo i rischi nei propri bilanci negli ultimi dieci anni”.

Il gestore di GAM ha precisato infine che “non pensiamo che la situazione sia paragonabile al panico del marzo 2023, quando le banche regionali statunitensi, come SVB e First Republic, iniziarono a vacillare”.

In ogni caso, anche allora “le (azioni delle) banche europee soffrirono un sell-off di breve durata prima di recuperare terreno ”.

E la view, anche stavolta, è di un calo delle azioni che dovrebbe confermarsi “temporaneo, a meno che non si verifichino nuovi shock”.

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