Pressioni invisibili, cicli che si incrinano, segnali contrari. Ecco perché il mercato potrebbe non essere pronto al prossimo scossone.
Ci sono tre elementi che passano in sordina in un mercato abituato a un cieco buy the dip. Elementi che non fanno rumore finché improvvisamente iniziano a suonare più forte, creando quell’inquietudine tipica dei momenti in cui qualcosa non torna. E se questa volta il mercato avesse davvero troppa paura per seguire lo schema meccanico del buy the dip?
1) La bolla AI non è ciò che pensi
C’è una distorsione percettiva evidente. Siamo convinti che la narrativa sulla bolla AI sia stata “disinnescata” dagli ultimi risultati di NVIDIA, con ricavi e utili in crescita superiore al 60% YoY. Ma il punto tecnico spesso ignorato è che questi numeri non sono il risultato di una domanda esterna, diffusa, macro. Sono l’effetto di un circuito chiuso.
La pipeline dei ricavi nasce dal CAPEX record delle big tech che stanno investendo in GPU, data center e infrastrutture AI. Un circolo che si autoalimenta: Big Tech investono, NVIDIA incassa, il mercato si tranquillizza. Ma questo meccanismo ha due vulnerabilità.
La prima vulnerabilità riguarda l’inevitabile saturazione: cosa succede quando questo CAPEX rallenterà, perché i management inizieranno a chiedere ritorni concreti invece di espansione fine a sé stessa? Un CAPEX così aggressivo non può essere perpetuo, storicamente non lo è mai stato, e ogni volta che rallenta il circuito interno si affievolisce.
La seconda è ancora più sottile: il settore semiconduttori è ciclico. Nonostante l’euforia, non è diverso da altri comparti ad alta esposizione macro. Una rotazione ciclica, un semplice ribilanciamento della domanda, può sgonfiare la narrativa in modo rapido e violento. E a quel punto, se la crescita dei ricavi dipende dal CAPEX e non dalla domanda finale, il repricing diventa inevitabile.
E poi c’è una domanda finale che nessuno vuole affrontare: ha senso immaginare le big tech trasformarsi in strutture CAPEX heavy, simili ai colossi energetici? Storicamente i settori ad alto CAPEX tendono a sovraperformare meno l’indice S&P 500 nel lungo periodo. Il mercato ha ignorato questo punto, ma rimane tecnicamente rilevante.
2) Il vero nodo è la Fed, non gli utili
Il secondo campanello d’allarme riguarda la politica monetaria. Si parla spesso di tagli dei tassi, si guarda il FedWatch tool come se fosse una bussola infallibile. Eppure, le probabilità di taglio cambiano continuamente perché c’è una paura che nessuno vuole pronunciare apertamente: l’inflazione sopra il 3% potrebbe essere più resiliente del previsto.
Le politiche economiche di Trump rischiano di introdurre nuova pressione inflattiva tramite dazi, reshoring e stimoli pro-crescita che impattano sui prezzi. In parallelo, l’effetto dell’automazione spinta può creare una dinamica ambigua sul mercato del lavoro: la disoccupazione potrebbe scendere per ragioni sbagliate, non per espansione economica, ma per sostituzione tecnologica.
Qui entra in gioco un punto tecnico che pochi seguono: la divergenza fra il Leading Economic Index (LEI) e il Coincident Economic Index (CEI). Storicamente, quando il LEI scende e il CEI tiene, la probabilità di contrazione futura dell’economia aumenta. È uno schema che ricorda da vicino le dinamiche degli anni ‘70.
E se la Fed si trovasse davanti a un’economia che rallenta, un mercato del lavoro che si irrigidisce e un’inflazione che resta troppo alta? Una parola sola: stagflazione. Uno scenario che i mercati non stanno prezzando adeguatamente, perché implica rendimenti obbligazionari più vischiosi e multipli azionari compressi.
3) Sentiment fragile e mercati illiquidi
Terzo motivo, e probabilmente il più sottovalutato: il sentiment.
Il CNN Fear & Greed Index è entrato in pieno extreme fear. In passato non era un problema, perché l’abbondanza di liquidità permetteva al mercato di assorbire gli shock. Oggi invece i flussi nel mercato dei futures sull’S&P 500 mini, secondo i dati del CME, stanno mostrando una riduzione di liquidità in entrata. Un mercato liquido assorbe. Un mercato illiquido amplifica.
A questo si aggiunge un altro segnale spesso ignorato: l’aumento dell’indice SOFR, proxy della tensione nel mercato interbancario. Quando il costo del funding interbancario sale, il rischio percepito dalle istituzioni aumenta. È un segnale di stress sistemico anticipato.
E qui entra in scena un altro fattore delicato: le valutazioni. Il P/E dell’indice resta sopra la media storica. In un contesto di potenziali shock macro, un mercato con multipli elevati è più vulnerabile, perché non ha “cuscinetto” per assorbire cattive notizie.
E quindi l’effetto combinato diventa esplosivo: sentiment fragile, meno liquidità e valutazioni elevate. È un terreno perfetto perché anche notizie lievemente negative generino movimenti amplificati.
Quindi?
Questi non sono segnali di fine del mondo, ma campanelli d’allarme. Gli stessi che il mercato preferisce ignorare fino ad oggi. Serve contestualizzazione, lucidità e capacità di accettare che non tutti gli asset si comporteranno allo stesso modo. Alcuni soffriranno, altri potrebbero sorprendere. E allo stesso tempo, ogni ribasso potrebbe diventare, e sottolineo potrebbe, un’opportunità, qualora queste tre paure dovessero rivelarsi infondate. L’importante è non dare nulla per scontato, nemmeno il buy the dip.
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