Il mondo si sta dirigendo lentamente (ma inesorabilmente) verso la prossima crisi finanziaria

Donato De Angelis

27 Ottobre 2025 - 07:52

I numeri parlano chiaro, ignorare i segnali non serve più. Il mondo si sta dirigendo lentamente ma inesorabilmente verso la prossima crisi finanziaria.

Il mondo si sta dirigendo lentamente (ma inesorabilmente) verso la prossima crisi finanziaria

L’economia mondiale viaggia su un sentiero che molti economisti definiscono ormai inevitabile - quello verso una nuova crisi del debito. Negli ultimi quindici anni, la crescita globale è stata alimentata più dal credito che dalla produttività. Le economie hanno imparato a sopravvivere – e in alcuni casi prosperare – a colpi di debito pubblico, finanziamenti agevolati e tassi d’interesse artificialmente bassi.

Ma questa dipendenza dal debito, una volta considerata sostenibile, sta diventando il punto più vulnerabile del sistema.

L’ammontare complessivo del debito mondiale, secondo i dati dell’Institute of International Finance, ha superato i 315 trilioni di dollari, pari a oltre il 330% del PIL globale. È una cifra senza precedenti, che mostra come il mondo intero, lentamente ma con costanza, si stia potenzialmente dirigendo verso una nuova tempesta finanziaria.

Il debito come carburante esausto della crescita

Negli Stati Uniti, la potenza economica più indebitata del pianeta in termini assoluti, il debito federale ha superato la soglia dei 38.000 miliardi di dollari. E l’Europa non è da meno. L’Italia ha stabilmente un debito superiore al 140% del PIL, la Francia si muove sopra il 110%, la Germania – un tempo simbolo di rigore – ha infranto la soglia del 70%.

In Giappone, la situazione è ancora più estrema, con un debito che supera il 250% del PIL, un equilibrio che può reggere solo grazie a tassi d’interesse quasi nulli e a una domanda interna stabile. Persino la Cina, che per anni ha goduto di una reputazione legata alla sua ben nota prudenza fiscale, ha ormai accumulato un debito totale che sfiora il 290% del PIL, se si considerano anche le passività delle amministrazioni locali e delle imprese di Stato.

Il debito, insomma, non è più una misura straordinaria per stimolare la crescita. È diventato la linfa vitale del sistema economico contemporaneo. Ma una linfa che si sta esaurendo.

Un rischio globale, non più circoscritto

Le crisi del passato – dal default argentino del 2001 alla crisi del debito europeo del 2010 – avevano un carattere localizzato: colpivano un Paese o un’area geografica specifica, ma lasciavano il resto del mondo relativamente stabile. Oggi lo scenario è diverso. Il rischio è sistemico, diffuso e simultaneo.

Tutti gli attori – governi, imprese, famiglie – sono esposti. Le banche centrali, dopo anni di politiche monetarie ultra-espansive, si trovano ora in un vicolo cieco. Perché? Se aumentano i tassi per contenere l’inflazione, rischiano di mettere in ginocchio i bilanci pubblici, ma se li mantengono troppo bassi, alimentano nuove bolle speculative nei mercati immobiliari e finanziari. Il margine d’azione si è ristretto drasticamente, e con esso anche la fiducia degli investitori.

Le faglie invisibili del sistema finanziario

Dietro l’apparente calma (o addirittura prosperità) dei mercati si nascondono crepe profonde. I rendimenti obbligazionari sono tornati a salire, e questo rende più oneroso il rifinanziamento dei debiti pubblici.

In parallelo, la crescita economica rallenta. La domanda globale mostra segni di debolezza, i consumi in Europa e negli Stati Uniti faticano a riprendersi dai colpi dell’inflazione. In molti Paesi, la spesa pubblica resta gonfiata da anni di sostegni straordinari e i governi hanno poche risorse per fronteggiare un eventuale nuovo shock.

Il rischio è quello di entrare in una fase di “crisi lenta”, dove la pressione del debito cresce gradualmente ed erode la stabilità finanziaria senza un evento traumatico immediato, ma con effetti cumulativi potenzialmente devastanti.

Il debito come minaccia geopolitica

Non si tratta solo di un problema economico, ma anche politico.

I livelli di indebitamento determinano ormai gli equilibri geopolitici. Gli Stati Uniti restano dipendenti dall’acquisto di titoli di Stato da parte di investitori esteri, in particolare dalla Cina e dal Giappone. Allo stesso tempo, molti Paesi emergenti, dall’Africa all’America Latina, si trovano schiacciati da un debito denominato in dollari. In questa dinamica, il rischio di nuovi default sovrani non è remoto, basti pensare alla crisi recente dello Sri Lanka o alle tensioni in Argentina.

Gli economisti più pessimisti parlano di un’“era del debito permanente”, in cui la crescita è costantemente sostenuta da politiche fiscali espansive e dove il rischio di recessione è sempre dietro l’angolo. Le banche centrali, consapevoli della delicatezza del momento, cercano di bilanciare la necessità di combattere l’inflazione con quella di evitare una stretta eccessiva che metterebbe in ginocchio governi e imprese. Ma il risultato è una stagnazione di lungo periodo, dove il debito non viene ridotto, ma semplicemente spostato in avanti, come un grande macigno che continua a rotolare giù per la discesa.

Il mondo, oggi, non si sta muovendo verso una crisi esplosiva e improvvisa, ma verso un logoramento costante. Il debito è diventato la forza invisibile che tiene insieme il sistema economico, ma anche la minaccia che lo mina dall’interno. Ogni nuovo ciclo di crescita è costruito sulle fondamenta del precedente, mai davvero risanato.

La sensazione oggi è che la prossima crisi non arriverà come un fulmine a ciel sereno, ma come una marea che sale lentamente, capace di travolgere senza rumore le certezze su cui l’economia globale ha vissuto per decenni.

Meglio prepararsi.

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