Il referendum dell’8 e 9 giugno avrà molte conseguenze sui rapporti di lavoro: ecco quali sono le ragioni del Sì e del No e cosa può cambiare a seconda degli scenari.
Questo weekend si vota per il referendum sul lavoro e cittadinanza dove se vince il Sì vengono introdotte diverse novità per chi lavora, in particolare per i dipendenti (come pure per le aziende).
A tal proposito, se hai un contratto di lavoro non dovresti sottovalutare l’idea di andare a votare l’8 e 9 giugno, o perlomeno dovresti informarti su cosa può cambiare nel caso di vittoria del Sì. Ben 4 quesiti su 5, infatti, possono avere conseguenze sul tuo impiego, sia su quello attuale che su eventuali futuri.
In caso di vittoria del No, oppure laddove non venisse raggiunto il quorum per il referendum abrogativo, allora le norme attualmente in vigore resteranno valide. Non cambierà nulla, il che non è detto che sia un male ovviamente.
In questo articolo, infatti, non vogliamo convincerti nell’andare o meno a votare, né tantomeno su cosa scegliere tra Sì e No: quel che ci preme fare è informarvi su quali sono le ragioni che muovono l’uno e l’altro fronte (quello di chi è favorevole all’abrogazione delle norme rispetto ai contrari), così che possiate prendere una decisione indipendente ma consapevole.
I quesiti del referendum, cosa cambia per i lavoratori?
Come anticipato, almeno 4 dei 5 quesiti del referendum interessano chi ha - o comunque avrà - un lavoro. La posta in gioco è alta, e riguarda milioni di lavoratori, precari, dipendenti di piccole imprese, stranieri residenti e vittime di infortuni sul lavoro.
A tal proposito, ecco una spiegazione di questi quesiti, ricordando che bisognerà scegliere se mantenere lo status quo - e in quel caso sarà necessario votare No oppure non presentarsi alle urne così da sperare che non venga raggiunto il quorum - oppure se abrogare alcune norme del nostro ordinamento così da tornare a quanto era previsto prima della loro approvazione (votando quindi Sì).
1. Stop ai licenziamenti illegittimi: ritorna il reintegro
Oggi, chi è assunto con un contratto a tutele crescenti (introdotto dal Jobs Act nel 2015) e viene licenziato ingiustamente non ha diritto al reintegro, ma solo a un’indennità economica calcolata in base all’anzianità. Se vince il Sì, questa norma sarà abrogata: si tornerebbe al sistema precedente, che prevedeva il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa.
Una vittoria del Sì darebbe quindi più garanzie per i lavoratori assunti dopo il 2015, che riacquisterebbero il diritto a tornare al proprio posto in caso di licenziamento illegittimo.
D’altra parte, chi invece è contrario all’abrogazione del decreto legislativo 23/2015 sostiene che il contratto a tutele crescenti ha reso il mercato del lavoro più flessibile e attrattivo per le imprese, incentivando le assunzioni a tempo indeterminato dopo anni di blocco. Introdurre nuovamente l’obbligo di reintegro renderebbe più costoso e rischioso assumere, soprattutto per le piccole e medie imprese, con il possibile effetto di frenare l’occupazione: un ritorno al passato, quindi, viene visto come un deterrente per nuove assunzioni e un ritorno a un modello rigido e poco competitivo.
2. Più tutele per chi lavora nelle piccole imprese
Nelle aziende con meno di 16 dipendenti, oggi il risarcimento per un licenziamento illegittimo è limitato a un massimo di 6 mensilità. Il referendum propone di eliminare questo tetto, lasciando al giudice la possibilità di decidere l’importo in base al singolo caso. In tal caso, i lavoratori delle piccole imprese (che rappresentano oltre il 90% delle aziende italiane) avrebbero diritto a un risarcimento maggiormente proporzionato al danno subito.
I contrari sostengono però che eliminare il tetto massimo all’indennizzo per i licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese aumenterebbe il rischio di contenziosi e costi imprevedibili per realtà economiche fragili. Le microimprese, spesso a conduzione familiare, non hanno le stesse capacità economiche delle grandi aziende: un risarcimento troppo alto potrebbe metterne a rischio la sopravvivenza.
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3. Meno contratti precari: obbligo di causale fin da subito
Attualmente, un contratto a termine può durare fino a 12 mesi senza motivazioni (“causali”) da parte del datore di lavoro. Il quesito propone di abrogare questa possibilità, imponendo che ogni contratto a termine, anche di pochi mesi, sia giustificato da esigenze oggettive.
Le aziende non potranno più assumere liberamente a tempo determinato senza motivazione, il che potrebbe ridurre la precarietà e incentivare contratti stabili; per quanto non sia da escludere l’effetto opposto, in quanto reintrodurre l’obbligo di causale sin dall’inizio renderebbe più burocratico e difficile stipulare contratti, con il rischio che le aziende ricorrano ad altre forme contrattuali più precarie o meno tutelate.
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4. Più sicurezza negli appalti: corresponsabilità del committente
Nel quadro normativo attuale, se un lavoratore si infortuna in un appalto, il committente principale non è responsabile se il danno deriva da un rischio tipico dell’attività dell’appaltatore. Il referendum chiede di abrogare questa norma, rendendo il committente solidalmente responsabile. Le imprese principali avrebbero quindi maggiore responsabilità anche per la sicurezza dei lavoratori di ditte appaltatrici e subappaltatrici, favorendo scelte più rigorose e sicure.
5. Cittadinanza più accessibile: bastano 5 anni di residenza
Concludiamo con l’ultimo quesito che per quanto non riguardi direttamente il lavoro è quello che molto probabilmente sta avendo maggiore interesse tra gli elettori. Ci riferiamo alla cittadinanza italiana per gli stranieri extracomunitari: oggi servono 10 anni di residenza continuativa per fare domanda, mentre il referendum propone di riportare il limite a 5 anni.
In questo modo milioni di persone residenti in Italia da più di 5e anni, molte delle quali lavoratrici e contribuenti, potrebbero quindi accelerare il percorso verso la piena integrazione, ottenendo diritti civili e politici prima. D’altra parte, ridurre il tempo rischia di rendere troppo facile l’accesso a un diritto che comporta doveri importanti, anche in termini di fedeltà alla Costituzione e conoscenza delle leggi italiane.
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