I verbali della Fed illustrano nel dettaglio le reazioni dei membri del FOMC all’elezione di Trump e alle prospettive di politica monetaria per il 2017. Vediamo come.
Appena pubblicati gli attesi verbali della Fed in riferimento all’ultimo meeting di dicembre, quando è stata presa la decisione di rialzare i tassi di interesse di 25 punti base.
Capire nel dettaglio quali siano i pensieri della banca centrale americana su Trump o, in maniera indiretta, sugli scenari che si aprono con il nuovo anno erano le ambizioni di molti operatori di mercato per questo primo grande appuntamento del 2017.
Il trend che sostiene l’andamento del dollaro, al netto della virata ribassista di oggi, sembra continuare, così come l’ottimismo diffuso sui maggiori listini azionari mondiali.
La promessa celata di effettuare altri tre rialzi dei tassi di interesse nei prossimi 12 mesi è ciò che ora il mercato si attende e ogni indizio di conferma o di smentita di queste intenzioni è un possibile segnale operativo.
Il cambio euro-dollaro è riuscito oggi a distanziarsi dai suoi minimi storici e tra i verbali del FOMC di oggi e i Non Farm Payrolls di venerdì definirà i suoi primi importanti movimenti del 2017.
Entriamo quindi nel merito dei verbali Fed e vediamo di capire quali informazioni aggiungono all’esito dell’ultima riunione.
Verbali FOMC: Trump chiama, Fed risponde. Rialzo tassi per trattenere inflazione
Nei verbali Fed dell’ultimo meeting viene dato risalto alle potenzialità dello stimolo fiscale proposto da Trump, con la relativa preoccupazione che la banca centrale americana possa trovarsi costretta ad accelerare il percorso di rialzo dei tassi di interesse per contenere l’effetto che si avrebbe sull’inflazione.
L’ultimo meeting ha visto la tanto anticipata decisione di rialzare i tassi di interesse di 25 punti base, intervento che è stato accompagnato da parole cariche di ottimismo da parte della Yellen in vista del 2017.
L’elezione di Trump non è passata inosservata neanche tra i membri del FOMC e l’idea che vengano attuate nei prossimi mesi le politiche avanzate dal neo eletto, in particolare modo quelle fiscali, tiene viva la possibilità di utilizzare lo strumento dei tassi di interesse per contenere altrimenti inevitabili variazioni sul livello dei prezzi.
La revisione al rialzo delle stime per la crescita economica del prossimo anno ha quindi messo in allarme i membri del FOMC, per quanto rimanga diffusa l’idea che un “graduale” aumento dei tassi sia il percorso che era e rimane il più consigliato.
Trump ha promesso investimenti sulle infrastruttre, tagli alla tassazione e riforme in diversi settori atte ad intervenire sulla regolamentazione, tutte iniziative delle quali però non ha fornito ulteriori dettagli , dopo la sua elezione dell’8 novembre.
L’atteggiamento della Fed è quindi quello di dare credito alle parole del nuovo inquilino della Casa Bianca senza però ricorrere ancora a cambi repentiti nei loro piani, almeno fino a quando non se ne saprà di più, ovvero dopo il giorno del suo insediamento previsto per il 20 gennaio:
“I membri del consiglio sottolineano l’incertezza sulle tempistiche, l’ammontare e la composizione delle iniziative politiche e fiscali proposte dal nuovo presidente, così come il loro impatto sulla domanda e sull’offerta aggregate. ”
Segnali discordi sono inoltre giunti sull’andamento del tasso di disoccupazione, con la previsione prevalente che vede un suo ribasso al di sotto delle aspettative nel prossimo futuro, oltre che su quanto l’inflazione possa essere penalizzata dalla risalita del dollaro USA, costante dall’inizio di novembre.
Il rafforzamento eccessivo del biglietto verde ha infatti la conseguenza di ridurre la competitività dell’export a stelle e strisce e quindi di danneggiare per vie traverse il percorso di crescita anticipato.
La reazione immediata dei mercati vede l’indice spot del dollaro in leggero recupero, ma sempre con il segno rosso, e il cambio euro-dollaro venir giù deciso dalle soglie di quota 1,05.
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