Arriva intanto il nuovo attacco del presidente americano Donald Trump contro il numero uno della Fed Powell. Il post e
Non solo la BCE. Anche la Fed di Jerome Powell è sotto il radar degli operatori di mercato, in attesa di conoscere la decisione sui tassi che arriverà la prossima settimana, mercoledì 17 settembre 2025, esattamente sei giorni dopo l’annuncio che sarà diramato domani, giovedì 11 settembre, dalla Banca centrale europea (BCE).
Le aspettative di una Federal Reserve costretta ormai a intervenire e ad annunciare un taglio dei tassi, il primo dell’anno che finora non si è ancora palesato, erano già aumentate nelle ultime sedute. Ma i dati macro annunciati ieri sono stati tali da aver reso la prima sforbiciata dei tassi USA da parte di Powell ancora più urgente.
La sveglia alla Fed di Powell suonata dalla revisione shock dei Non Farm Payrolls
La sveglia, a Powell, era stata già suonata venerdì scorso, con la pubblicazione del report occupazionale degli Stati Uniti relativo al mese di agosto che, nel mettere in evidenza una crescita dei Non Farm Payrolls (NFP) di appena 22.000 unità, aveva dipinto un quadro del mercato del lavoro decisamente fosco.
Ieri, un nuovo shock, arrivato ancora dal mercato del lavoro degli Stati Uniti: l’annuncio da parte dell’Ufficio USA delle statistiche sul lavoro, lo US Bureau of Labor Statistics, della revisione annuale che ha avuto per oggetto i numeri relativi ai Non Farm Payrolls dell’anno terminato nel marzo del 2025: praticamente, un disastro.
Il numero delle buste paga del periodo è stato infatti rivisto al ribasso di ben 911.000 unità, o dello 0,6%. Questo significa che negli Stati Uniti, nell’anno terminato a marzo 2025, le buste paga sono aumentate a una quantità inferiore di 911.000 unità rispetto a quanto emerso dalla somma dei dati mensili.
La revisione è stata più ampia delle attese del consensus, che aveva previsto un downgrade di 682.000 NFP (le stime oscillavano tra una sforbiciata di 200.000 buste paga e di 900.000). Inoltre mai in questi ultimi 20 anni della storia degli Stati Uniti, una revisione dei Non Farm Payrolls era stata tanto significativa.
Guardando ai diversi settori, i downgrade più importanti hanno interessato il commercio, i trasporti e le utility (-226.000). In generale, non c’è stata nessuna revisione al rialzo degli NFP.
Ma il mandato della Fed prevede anche l’inflazione al 2%. Domani l’altro momento della verità
Il mercato del lavoro made in USA, dunque, ha chiaramente lanciato un segnale di alert. Tuttavia, il mandato della Fed è doppio: oltre ad assicurare la piena occupazione (che, comunque, al momento di certo non esiste), la Banca centrale americana deve far sì che l’inflazione USA centri il target del 2%. E questo target si sta rivelando una missione quasi impossibile per Powell & Co.
Una nuova indicazione cruciale arriverà nella giornata di domani, 11 settembre 2025, con la pubblicazione dell’indice dei pezzi al consumo (CPI), tra i parametri più importanti per monitorare il trend dell’inflazione, relativo al mese di agosto.
Il punto è che l’inflazione CPI core è attesa rimanere ancora al 3,1%, a fronte di una performance del PCE core, il dato preferito dalla Fed per valutare lo stato dell’inflazione, che è salito del 2,9% di luglio. In poche parole, le pressioni inflazionistiche rimangono troppo elevate, tanto che alcuni analisti avvertono che tagliare i tassi in una situazione in cui l’accelerazione dei prezzi rimane così distante dall’obiettivo della Fed, sarebbe qualcosa di piuttosto raro.
La Fed di Powell, messa continuamente sotto pressione dagli attacchi-insulti del presidente americano Donald Trump, che da mesi chiede alla Banca centrale americana di intervenire riducendo i tassi, non può però neanche più ignorare l’erosione del mercato del lavoro.
C’è così chi sottolinea, come ha fatto lo strategist Jim Paulsen citato da Reuters, che il target dell’inflazione del 2% è diventato ormai “un delirio”, ricordando che il CPI headline è avanzato in media del 2,9% nel corso degli ultimi due anni e che ora è pari al 2,7%.
E c’è chi dice basta con il delirio del target dell’inflazione al 2%
Soprattutto, Paulsen ha ricordato che, nel periodo compreso tra il 1992 e il 1999, periodo definito spesso di “ nirvana economico ”, l’indice dei prezzi al consumo headline ha messo a segno una crescita del 2,6%.
In poche parole, il messaggio dello strategist è che “ è arrivato il momento di mandare in pensione il target del 2% dell’inflazione ”.
I mercati monetari, dal canto loro, hanno già deciso. Dopo quei numeri pessimi relativi al mercato del lavoro degli Stati Uniti, i trader scommettono su tre tagli dei tassi da parte di Powell nel corso del 2025, ognuno nei prossimi meeting dell’istituzione, di settembre, ottobre e dicembre, per un totale di 75 punti base, rispetto all’attuale livello compreso tra il 4,25% e il 4,5%, che è stato confermato a luglio per la quinta volta consecutiva dall’inizio del 2025.
Trump torna ad attaccare Powell sui tassi dopo dato macro. “Nessuna inflazione!”
Per la prossima riunione del 17 settembre, le probabilità di un intervento maxi da parte di Powell, ovvero di una riduzione dei tassi di 50 punti base, rimangono contenute, pari ad appena il 10%, mentre una sforbiciata di 25 punti base viene data praticamente come certa.
Nel frattempo, a una settimana dal Fed Day, non poteva mancare la nuova sferzata di Trump contro Powell: “Nessuna inflazione! Too Late deve abbassare i tassi, e molto, in questo preciso momento. Powell è un disastro totale, che non ha alcuna idea!!!”
La dichiarazione di Trump è stata rilasciata dopo la pubblicazione, avvenuta oggi, dell’indice dei prezzi alla produzione degli Stati Uniti, altro dato che monitora il trend dell’inflazione, (indice PPI) e che è sceso su base mensile dello 0,1%, rispetto al +0,3% previsto dal consensus, registrando la prima flessione mensile dal mese di aprile.
Su base annua, il trend è stato di un aumento del 2,6%, decisamente al di sotto del +3,3% previsto dal consensus degli analisti e rispetto sempre al +3,3% del mese precedente. Tutto, mentre dal mercato del lavoro degli Stati Uniti qualche segnale di SOS alla Fed è stato già lanciato da un po’.
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