Taglio tassi di 50 punti base da parte della Fed a settembre? Sì, per il segretario al Tesoro USA Scott Bessent, che presenta il tasso perfetto.
“Esiste una buona probabilità che la Fed tagli i tassi di 50 punti base”, anche perché “i tassi dovrebbero essere inferiori rispetto al livello attuale di 150-175 punti base”. Così il segretario al Tesoro USA Scott Bessent, a seguito della pubblicazione del dato relativo all’inflazione USA nella giornata di ieri, che ha portato i mercati a scommettere su un taglio dei tassi da parte della Fed nella imminente riunione di settembre con una probabilità pari a ben 98%.
Sui tassi il segretario al Tesoro USA Bessent “doppia” le scommesse dei mercati
Ma se i mercati intravedono la grande possibilità che la Fed di Jerome Powell riduca i tassi (per la prima volta nel 2025) a settembre, con un taglio limitato a -25 punti base, il numero uno del Tesoro americano Scott Bessent scommette su una vittoria delle colombe più grande, ovvero su un taglio di ben 50 punti base.
Non manca tra l’altro il tono di polemica: “Se i dati sono accurati, significa che probabilmente la Fed avrebbe dovuto tagliare prima ”.
In ogni caso, “credo che potremmo andare verso una serie di tagli dei tassi”, ha continuato il titolare del dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, a fronte di mercati che, tuttavia, per ora scommettono su una sforbiciata dei tassi di interesse da parte della Fed di 50 punti base con una probabilità pari a zero, puntando piuttosto su una riduzione di 25 punti base.
L’alert di Barclays ai mercati, attenti al rischio repricing post Jackson Hole
Nel frattempo, la divisione di ricerca di Barclays ha avvertito che aspettative troppo dovish da parte dei mercati sulle future mosse sui tassi da parte della Fed potrebbero essere soggette a un brusco repricing, a seguito delle dichiarazioni che il presidente della Federal Reserve Jerome Powell rilascerà in occasione del simposio di Jackson Hole, il Jackson Hole Economic Symposium, ormai alle porte (occhio alle date X).
Le aspettative tradite da Powell potrebbero scatenare di fatto un pesante sell off, nel caso in cui il banchiere centrale timoniere della Banca centrale americana rimarcasse di non avere alcuna fretta di tagliare i tassi: “Un segnale che indicasse tagli dei tassi meno certi, o rischi di un’inflazione superiori alle preoccupazioni sulla crescita (del PIL)”, ha scritto in particolare lo strategist di Barclays Stefano Pascale, “potrebbe scatenare una correzione nell’azionario ”.
Di conseguenza, Pascale è stato chiaro: “ Lanciamo un avvertimento a chi sottovaluta questo rischio , con la storia che dimostra che la sensibilità degli asset a Jackson Hole è aumentata in modo notevole dal 2017, in particolare da parte delle small cap USA, dell’oro e del dollaro”.
Tornando alle dichiarazioni rilasciate da Scott Bessent, il segretario al Tesoro USA ha affermato, guardando al trend dei rendimenti dei Treasury a 30 anni, che l’amministrazione Trump è impegnata a mantenere basse le aspettative sull’inflazione, aggiungendo che “i rendimenti mostrano che c’è credibilità”.
Bessent ha aggiunto allo stesso tempo di non ritenere che la Fed debba tornare a lanciare acquisti di asset su larga scala, dunque a risfoderare il QE-Quantitative easing, programma andato in pensione da un po’ di tempo.
L’avvertimento di Barclays arriva in un momento in cui altri analisti hanno fatto notare come i record che Wall Street continua a inanellare siano bizzarri, viste le sfide di natura economica e geopolitica a cui fa fronte l’economia mondiale (leggi soprattutto, ma non solo, l’impatto dei dazi decisi dal presidente americano Donald Trump).
C’è chi ha già parlato di valori, in Borsa, da lotteria, paventando l’esplosione di una possibile bolla speculativa, e chi ha addirittura fatto un paragone con le condizioni in cui versava Wall Street prima del terribile Black Monday del 1987.
Inflazione USA e tassi Fed, il commento di Pimco. Cosa accadrà ora
Intanto così Tiffany Wilding, economista di “PIMCO”, ha riassunto e commentato quanto è emerso con la pubblicazione, nella giornata di ieri, dell’indice CPI, tra i termometri più importanti per monitorare il trend dell’inflazione:
Wilding ha fatto notare che “l’inflazione negli Stati Uniti, misurata dall’indice dei prezzi al consumo (CPI) core e headline per il mese di luglio, è risultata sostanzialmente in linea con le nostre aspettative”, con “l’inflazione core mensile aumentata dello 0,3%, con una leggera sorpresa al rialzo attribuibile alla volatilità dei servizi del settore viaggi ” e il tasso di inflazione core su base annua “salito dal 2,9% al 3,1%”.
Indicazioni che portano Pimco a continuare a stimare che il tasso di inflazione core degli Stati Uniti “ raggiungerà un picco del 3,4% entro la fine dell’anno, man mano che i costi legati ai dazi saranno trasferiti sui consumatori”.
Cosa significa? Significa per l’economista di Pimco che “ il trasferimento dei costi derivanti dai dazi è stato finora lento e irregolare, con le aziende che hanno assorbito in gran parte questi aumenti di prezzo”.
Dunque, significa che “riteniamo che ci siano buone ragioni a favore di un trasferimento graduale dei prezzi ai consumatori, tra cui 1) margini aziendali iniziali sani, 2) consumatori più sensibili ai prezzi e 3) compensazioni fiscali per le imprese nella recente legislazione”.
A questo punto, alla domanda su cosa accadrà, l’esperta ha così risposto:
“Questi dati, insieme alle recenti indagini sui consumatori, mostrano un moderamento delle aspettative di inflazione e un rallentamento della dinamica del mercato del lavoro, fornendo un contesto ragionevole per la Federal Reserve per iniziare la normalizzazione dei tassi a settembre, anche se l’inflazione su base annua rimane al di sopra dell’obiettivo. Continuiamo a prevedere due tagli di 25 punti base nella seconda metà dell’anno, seguiti da ulteriori tagli di 50 punti base nel 2026”.
La view di Pimco è dunque dovish, ma certo non dovish come quella del segretario al Tesoro americano Scott Bessent, che spera in una mossa nel breve della Fed che tagli i tassi di ben 50 punti base.
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