Resa nota la prima lettura del PIL USA relativo al primo trimestre del 2025. Fed, sui tassi Powell snobberà ancora Trump?
Una buona notizia, relativa al PIL USA, c’è. Dalla prima revisione del dato market mover, annunciata dal dipartimento del Commercio degli Stati Uniti è emerso infatti che, nel corso del primo trimestre del 2025, il prodotto interno lordo americano ha segnato un calo dello 0,2%, ritmo inferiore rispetto alla contrazione pari a -0,3%, resa nota qualche settimana fa con la lettura preliminare dell’indicatore.
Il PIL USA è sceso anche meno delle attese del consensus degli economisti, che avevano previsto una flessione pari a -0,3%.
Detto questo, il segno meno per l’economia degli States è rimasto, e l’interrogativo è se Jerome Powell, presidente della Federal Reserve, continuerà a snobbare gli appelli (offese) del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, e delle colombe, che lo incitano a muoversi per tagliare i tassi.
La risposta è scritta nelle minute relative all’ultima riunione di politica monetaria della Banca centrale americana che sono state pubblicate nella serata di ieri, e che hanno confermato come Powell continui a temere il ritorno di un possibile scatto dell’inflazione, negli States.
La possibilità che si manifesti anche un rallentamento dell’economia che finisca con il provocare una recessione è stata, tuttavia, menzionata anch’essa.
Dunque? E cosa dicono per la precisione i numeri relativi al PIL USA?
PIL con segno meno e inflazione con (molto) segno più. Il dato post minute Fed
Occhio intanto alle indicazioni relative al trend dell’inflazione headline diffuse con la pubblicazione dell’indicatore: il dato ha confermato il trend su base annua, pari a +3,7%, come da attese e come emerso dalla lettura preliminare.
Guardando all’indice dei prezzi PCE, c’è la consolazione (decisamente magra) della componente core, al netto dei prezzi dei beni alimentari, dei prezzi energetici e anche dei costi per le abitazioni, che è salita nel primo trimestre di questo anno al ritmo annuo inferiore a quello inizialmente reso noto, pari a +3,4%, riportando un rialzo del 3,3%.
Ma si tratta di un numero decisamente più alto rispetto al target di inflazione messo nel mirino da Powell & Co., pari al 2%.
E che dire della performance dell’indice PCE core al netto dei prezzi dei beni energetici e dei costi delle abitazioni (che include dunque i prezzi dei beni alimentari), salito del 4,1% su base annua? Il fatto che ci sia stata una lieve retromarcia rispetto al +4,2% reso noto con la lettura preliminare del PIL non sarà stato certo sufficiente a sedare l’ansia per l’inflazione di Jerome Powell.
Allo stesso tempo, non sono mancati i messaggi arrivati dalle componenti del dato relativo al PIL delle vendite e dei consumi, che hanno avallato la paura di un indebolimento dei fondamentali USA: le vendite sono scese del 2,9%, più del -2,5% inizialmente reso noto, mentre le spese per consumi sono salite dell’1,2%, a un ritmo inferiore rispetto al +1,8% annunciato con il dato preliminare.
I contributi positivi e negativi delle componenti al PIL USA
Vale la pena riassumere i contributi positivi e/o negativi che le varie componenti hanno dato al PIL degli Stati Uniti.
Tutto sommato, un’incidenza positiva è arrivata dalle spese per i consumi, anche se il ritmo di crescita ha fatto un pesante dietrofront rispetto al +4% del quarto trimestre del 2024): la componente ha inciso infatti per 1,2 punti percentuali sul trend del prodotto interno lordo degli Stati Uniti.
A dispetto inoltre di chi teme un forte peggioramento dell’economia degli States, va segnalato il trend degli investimenti delle aziende, che sono schizzati del 9,8%, sulla scia di un aumento degli investimenti per le attrezzature, pari a +22,5%. Da questa componente è derivato un contributo positivo al prodotto interno lordo pari a 1 punto percentuale.
A zavorrare il PIL USA, come emerso già dalla lettura preliminare, è stato il forte balzo delle importazioni che, a fronte del rialzo delle esportazioni pari soltanto a +1,8%, ha portato la componente netta del commercio a incidere negativamente sul PIL per ben 4,8 punti percentuali.
Tarlo inflazione, minute confermano attendismo Fed sui tassi
Tutto, a fronte del tarlo dell’inflazione, confermato da quei numeri relativi al trend del PCE. Su base headline, l’indice PCE è salito inoltre al ritmo annualizzato del 3,6%, in deciso rialzo rispetto al +2,4% del quarto trimestre, confermando la persistenza delle pressioni inflazionistiche. Tanto che oggi l’esperto di Goldman Sachs Roger Kaplan, ex presidente della Federal Reserve Bank di Dallas, ha detto chiaramente di non credere che la Fed toccherà i tassi a giugno, così come anche a luglio.
Il messaggio che arriva dalle minute relative all’ultimo meeting del FOMC del 6-7 maggio è chiaro.
Gli esponenti del braccio di politica monetaria della Federal Reserve hanno concordato sul fatto che la banca centrale USA “è ben posizionata per aspettare di avere maggiore chiarezza sull’outlook”.
Gli stessi hanno sottolineato che “i rischi di una inflazione più alta”, ma anche “di una disoccupazione più elevata”, sono aumentati.
Ma il desiderio di prendere tempo per capire quali saranno gli effetti che i dazi di Trump infliggeranno alla crescita del PIL e dell’inflazione USA è tutto scritto nero su bianco nei verbali, laddove si parla di “incertezze sull’outlook in aumento” e del fatto che “è appropriato adottare un approccio prudente nei confronti della politica monetaria”.
D’altronde, “quasi tutti i partecipanti hanno rilasciato commenti sul rischio che l’inflazione si confermi più persistente delle attese ”.
Continua a essere molto probabile che la Fed continuerà a lasciare i tassi sui fed funds inchiodati all’interno del range compreso tra il 4,25% e il 4,5% per ancora molto tempo.
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