Esportazioni affossare con dazi di Trump. La verità su PIL Italia orfano di PNRR del Centro Studi di Confindustria, con analisi che contiene anche previsioni su debito-deficit.
Ma quale sarebbe la crescita del PIL dell’Italia, di per sé già pari allo zero virgola, se non ci fosse la leva del PNRR?
La risposta è nei numeri che sono stati appena annunciati dal Centro Studi di Confindustria, che ha pubblicato oggi, giovedì 2 ottobre 2025, l’analisi “ Rapporti di Previsione. Investimenti per muovere l’Italia ”.
Sulla base delle informazioni ottenute dal rapporto appena reso noto, viene chiedersi che fine farà il PIL dell’Italia nel momento in cui il Paese rimarrà orfano del PNRR.
PIL Italia, il trend nel 2025 (con segno meno) e nel 2026 se non ci fosse la leva del PNRR
Il CSC lo scrive infatti chiaramente:
“Secondo una simulazione del CSC, l’effetto positivo del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) sul PIL è stimato in un +0,8% nel 2025 e un +0,6% nel 2026, rispetto alla variazione nello scenario base (+1,4% cumulato nei due anni). Questo significa che la dinamica del PIL italiano in assenza di PNRR sarebbe di -0,3% nel 2025 e di +0,1% nel 2026 (-0,2% nel biennio): non ci sarebbe crescita, ma una stagnazione”.
Si assisterebbe dunque a un trend del PIL dell’Italia addirittura negativo nel corso di quest’anno, pari per l’appunto a una contrazione dello 0,3%, in assenza del PIL.
In generale, con la pubblicazione delle sue nuove proiezioni economiche, il Centro Studi di Confindustria ha annunciato di avere rivisto al ribasso le previsioni sul PIL dell’Italia relative al 2025 di 0,1 punti rispetto alle stime comunicate ad aprile, spiegando che “la dinamica annua dell’economia è frenata dalla battuta d’arresto nel secondo trimestre 2025, quando il PIL italiano è diminuito di 0,1%, a causa della caduta delle esportazioni ”.
L’outlook aggiornato punta a un ritmo di espansione del prodotto interno lordo italiano, nel 2025, pari a +0,5%, e di una accelerazione, nel 2026, pari a +0,7%, “tornando sui ritmi del 2024”.
Gli esperti hanno dato inoltre una scossa all’Italia per quanto concerne l’attuazione del PNRR:
Se è vero che “ l’implementazione del PNRR, che include investimenti pubblici, riforme, incentivi, avrà un impatto molto positivo sulla crescita del PIL nel biennio di previsione”, visto che tra il 2025 e il 2026 “le risorse programmate ammontano a circa 130 miliardi”, è altrettanto vero che “ l’ipotesi dello scenario CSC è che venga spesa la metà delle risorse disponibili, circa 65 miliardi; sono inclusi circa 11 miliardi, pari alla metà delle risorse non spese nel 2024, che slittano al 2026”.
Il ritratto che il CSC ha fatto dell’Italia, in sostanza, non rispecchia molto l’ottimismo che il governo Meloni continua a manifestare, sia in relazione alla crescita del PIL dell’Italia, che dell’attuazione del PNRR e, anche, del trend dei conti pubblici. Detto questo, alcuni progressi sono stati certificati dagli stessi mercati, come dimostra l’upgrade del rating sul debito pubblico, dunque sui BTP e Titoli di Stato italiani in generali, arrivato da Fitch.
Crescita Italia “anemica”. Deficit-PIL atteso sotto 3% in 2026 ma debito-PIL in salita
Già prima di indicare quale sarebbe il trend del PIL dell’Italia se fosse orfano del PNRR, gli economisti di Confindustria hanno fatto riferimento, in generale, a “una crescita anemica del PIL attesa quest’anno e il prossimo”, lanciando l’auspicio: l’Italia, in poche parole, deve darsi una mossa.
E’ praticamente “ necessario muovere l’Italia, intervenendo con le leve più efficaci a disposizione, anche sbloccando la ricchezza finanziaria dal parcheggio in depositi bancari improduttivi ”.
Il messaggio non dà spazio a dubbi: “All’impatto molto positivo del PNRR, che è già all’opera ma che si concluderà nei primi mesi del prossimo anno, va affiancata una manovra di bilancio che sapientemente prosegua sulla strada dello stimolo agli investimenti produttivi ”.
Insomma: “ Gli investimenti sono necessari per rilanciare la crescita del Paese e gli incentivi possono funzionare efficacemente per stimolarli, anche nel Mezzogiorno, come si è visto negli ultimi anni”.
Sul fronte dei conti pubblici, il trend discendente del deficit-PIL, sbandierato più volte dal ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti e in generale dagli esponenti del governo Meloni, a fronte tuttavia del trend ascendente (ancora) del debito-PIL, è stato confermato dagli esperti:
“Nello scenario del CSC, il deficit pubblico è in calo, sotto la soglia UE del 3,0% del PIL nel 2026, creando le condizioni per l’uscita dalla procedura per disavanzo eccessivo. Il debito, però, continua a salire, a causa della spesa per interessi e degli ulteriori effetti contabili del Superbonus”.
Esportazioni Italia ai tempi dei dazi di Trump. “Da export netto contributo molto negativo a variazione PIL”
Lato commerciale, lo scenario per le esportazioni italiane, a causa dei dazi di Trump, è alquanto deprimente.
Le esportazioni, di fatto, rappresentano “la componente più debole della domanda in Italia” tanto che, “nello scenario CSC, la crescita dell’export di beni e servizi, già molto debole nel 2023-2024, si attesterà su ritmi vicini allo zero nel 2025-2026”, con “le vendite di beni” che “sono previste in calo”.
Il trend delle esportazioni nette sarà tra l’altro esacerbato dalla performance delle importazioni che, “invece, saranno in aumento”.
Ciò significa che, “di conseguenza l’export netto offrirà un contributo molto negativo alla variazione del PIL”.
Ancora il Centro Studi Confindustria:
“Il profilo dell’export è rivisto significativamente al ribasso rispetto al rapporto di aprile, a causa del balzo delle barriere tariffarie USA sui prodotti europei e dell’inasprirsi delle tensioni geopolitiche mondiali. L’export di beni, inoltre, perde terreno anche rispetto al commercio mondiale, perché è ancora debole la domanda in Europa (principale destinazione dei prodotti italiani) e perché l’euro forte penalizza la competitività dei prodotti di tutta l’Eurozona. Le prospettive non sono buone, visto che l’attività industriale europea è attesa risalire solo gradualmente e i freni protezionistici e geopolitici appaiono duraturi. In positivo, la ratifica dell’accordo UE-Mercosur aprirebbe importanti mercati di sbocco, a parziale compensazione delle barriere sul mercato USA”.
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Il punto e le previsioni del CSC sui tassi BCE
Diverse le componenti dell’economia italiana che sono state esaminate dal Centro Studi di Confindustria, che ha sottolineato anche che la fase di allentamento monetario inaugurata dalla BCE di Christine Lagarde è giunta, a quanto pare, al capolinea.
Gli economisti della Confederazione generale dell’industria italiana hanno scritto infatti nero su bianco che la Banca centrale europea “ha completato il taglio dei tassi” ricordando che, nell’ultima riunione dello scorso 11 settembre 2025, i tassi sui depositi sono stati lasciati “ fermi al 2,00%, dopo un rapido percorso di otto tagli di un quarto di punto ciascuno da giugno 2024 a giugno 2025, partendo da un picco del 4,00%”. In evidenza la serie totale delle riduzioni dei tassi da parte dell’Eurotower, nell’arco di un anno, che è stata pari a -200 punti.
Il motivo per cui ora la BCE può rimanere con le mani in mano è stato così spiegato: “La BCE può contare su un’inflazione stabile negli ultimi mesi, vicino all’obiettivo del +2,0% e anche le aspettative di inflazione nell’area sono stabili, sebbene restino numerosi rischi nello scenario, in particolare sui prezzi delle commodity”, dunque delle materie prime.
Per non parlare del rischio di una crisi finanziaria sempre alle porte, con una bolla speculativa in particolare che spaventa la numero uno dell’istituzione, Christine Lagarde.
Il contesto, hanno spiegato ancora da Confindustria, è di una politica monetaria che, “grazie ai tagli, non è più restrittiva e le condizioni di finanziamento sul canale bancario sono divenute più favorevoli”.
Rimarcato così fatto che “dai documenti ufficiali BCE si ricava il messaggio che in assenza di altri shock (di cui tra l’altro la stessa Lagarde ha parlato appena qualche giorno fa), la correzione di politica monetaria è sufficiente per il momento” e che “le attese dei mercati finanziari sono coerenti con tassi fermi nell’orizzonte di previsione ”.
Di conseguenza, “lo scenario CSC ipotizza che non ci saranno ulteriori tagli dei tassi, anche se resta una probabilità positiva che la BCE decida, invece, di riprendere nei prossimi mesi il percorso dei tagli, per sostenere la debole crescita europea”.
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Il punto (e le previsioni) su investimenti, consumi, redditi, inflazione, occupazione in Italia
Tornando all’Italia e ai suoi punti di forza e di debolezza, dal rapporto di Confindustria sono emersi i seguenti fenomeni chiave e alcune previsioni elaborate dagli economisti del Centro Studi della confederazione degli industriali:
- La componente di domanda più robusta in Italia sono gli investimenti fissi. Dopo il rallentamento nel 2024 (+0,5%), la loro dinamica è tornata a rafforzarsi tra fine anno scorso e prima metà del 2025. Sono attesi rimanere in espansione nella seconda parte di quest’anno (+3,0% in media) e rallentare il prossimo (+1,9%).
- I consumi delle famiglie italiane hanno frenato nella prima metà del 2025, in particolare la domanda di beni, mentre la spesa per servizi è cresciuta a ritmi moderati. Nello scenario previsivo del CSC, i consumi sono attesi avere una crescita modesta anche nei prossimi trimestri, arrivando a +0,5% nella media del 2025 e a +0,7% nel 2026.
- Dal lato dell’offerta, l’industria italiana, dopo la buona ripartenza del 1° trimestre 2025 in termini di produzione, ha rallentato già nel 2°. (..) Nello scenario del CSC, elaborato in termini di valore aggiunto, l’industria è prevista recuperare nel 2025 (+1,0%), ma rallentare il prossimo anno (+0,4%), quando si esauriranno gli effetti degli incentivi agli investimenti e si attenuerà l’impatto positivo dei minori tassi.
- Nel 2025 l’occupazione continua a crescere più del PIL (+0,9% le ULA, già largamente acquisito al 2° trimestre), ma rallenterà nel 2026 (+0,5%), favorendo un primo recupero della produttività del lavoro.
- La prolungata e ampia ripresa occupazionale post-pandemia ha ridotto il tasso di disoccupazione dal 10,2% di aprile 2021 al 5,9% di luglio 2025, minimo dal 2007; il tasso è atteso al 6,0% in media nel 2025 e al 5,8% nel 2026.
- La dinamica delle retribuzioni di fatto pro-capite nell’intera economia italiana ha accelerato al +2,9% nel 2024 (dal +1,8% nel 2023) e al +3,1% nel 1° semestre 2025, ritmo su cui è prevista rimanere in media quest’anno (+3,2%), per decelerare solo lievemente l’anno prossimo (+2,7%). Grazie a una dinamica retributiva che rimarrà sopra all’inflazione, proseguirà il lento recupero delle retribuzioni reali, che avanzeranno del +2,3% cumulato nel biennio 2025-2026.
- L’inflazione in Italia è abbastanza stabile, grazie alla flessione dei prezzi energetici che sta compensando l’accelerazione dei prezzi alimentari. In prospettiva, è attesa rimanere intorno ai valori correnti, in media al +1,8% sia quest’anno che nel 2026, ovvero sui livelli su cui si è assestata di recente la core inflation. (occhio agli ultimi numeri relativi all’inflazione in Italia).
- Dopo decenni di divergenza rispetto al Centro Nord, dal 2020 la crescita del PIL nelle regioni meridionali ha superato quella del resto del Paese: tra il 2020 e il 2023, +7,1% cumulato, più del Nord (+5,1%) e del Centro (+2,8%). Senza il Mezzogiorno, la crescita sarebbe stata più bassa di mezzo punto cumulato in tale periodo. Dal pre-pandemia al 2024, oltre il 40% dell’aumento degli occupati in Italia si è concentrato nel Sud: 355mila, su 823mila. L’export del Mezzogiorno è cresciuto dal 2019 al 2024 di circa il 30% e dal 2022 ha superato la dinamica di quello del Centro Nord.
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