Il titolare del MEF ha rassicurato gli italiani: “quest’anno non serve nessuna manovra correttiva”, grazie ai conti pubblici. Ma c’è “nuova variabile, imponderabile e detestabile”.
Da un lato, nel corso del suo intervento al Forum Ambrosetti che si è tenuto come ogni anno a Cernobbio, il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti ha rassicurato gli italiani sul fatto che non ci sarà alcuna manovra correttiva di bilancio. Dall’altro lato, pur mostrandosi fiero delle condizioni in cui versano i conti pubblici italiani, (così come dello spread nei giorni precedenti), il titolare del Tesoro ha mostrato qualche motivo di preoccupazione riguardo a un fattore che potrebbe ostacolare il processo di risanamento delle finanze dello Stato, che il governo Meloni ha tutta l’intenzione di portare avanti.
“Diversamente da quello a cui eravamo abituati, come manovre correttive e sacrifici per gli italiani, quest’anno non serve nessuna manovra correttiva, perché i conti stanno andando come previsto”.
Salta subito all’occhio la parola sacrifici, che Giorgetti aveva chiesto l’anno scorso, nelle settimane in cui il MEF era al lavoro sulla manovra finanziaria per il 2025. Sacrifici che avevano fatto saltare subito sulla sedia i cittadini, prima che Giorgetti stesso chiarisse che i destinatari dei sacrifici sarebbero state le banche, non gli italiani. E sacrifici che hanno preso infine la forma del cosiddetto contributo di solidarietà, e dunque non di un bis della tassa sugli extraprofitti, ideata nell’estate nel 2023, che tra l’altro era stata già del tutto azzoppata, anche e se anche oggi si parla tuttora di mosse del governo Meloni contro le banche, come hanno dimostrato le voci su una presunta tassa sui buyback delle banche italiane, e le parole proferite giorni fa dallo stesso Giorgetti, che ha parlato di pizzocotto alle banche.
Davanti alla nutrita platea di Cernobbio, stavolta Giorgetti si è mostrato più sereno, ribadendo anche le previsioni del governo Meloni sul PIL dell’Italia che, a suo avviso, segnerà quest’anno un ritmo di espansione pari al +0,6%, a dispetto del segno meno che lo ha accompagnato nel secondo trimestre dell’anno: “L’economia ha subito qualche rallentamento, ma anche di questo ne avevamo tenuto conto e ci aveva consigliato di ridimensionare la crescita allo 0,6%: ritengo che le nostre previsioni potranno essere accolte”.
Ribadita la necessità di mantenere un approccio prudente sui conti pubblici: “Come abbiamo sempre fatto in questi tre anni, lavoro in modo serio e pragmatico sulla base dei dati disponibili: abbiamo adottato un metodo della serietà e della prudenza, che sta pagando un dividendo importante anche per le imprese e le aziende di credito, chiamiamole così per non fare polemiche”.
In qualche modo, riguardo al timore che gli italiani possano comunque fare sacrifici, Giorgetti non ha dato garanzie piene, ricordando la necessità di rispettare il Patto di Stabilità e di crescita. “Abbiamo ridotto misure insostenibili come superbonus e reddito di cittadinanza, ma abbiamo anche sostenuto i redditi più bassi. Restano margini per interventi fiscali a favore delle famiglie, compatibilmente con i vincoli europei”. Di fatto, “il Patto di stabilità si può derogare solo per le spese militari, non per altri investimenti”.
Motivo per cui “continueremo su questa strada”.
Tuttavia, qualcosa che preoccupa Giorgetti c’è, in vista della legge di bilancio per il 2026 che sarà il grande dossier su cui il governo Meloni lavorerà durante l’autunno, e porta proprio il nome di spese per la difesa.
Nel videocollegamento con il Forum Ambrosetti, il ministro ha ricordato come sui conti pubblici si sia “aggiunta una nuova variabile, imponderabile e detestabile”.Giorgetti ha citato “l’escalation della guerra in Ucraina e le decisioni di incrementare le spese per la Difesa”.
Si tratta, ha riconosciuto il ministro, di “un fatto nuovo (per l’Italia) che implica una diversa proiezione sui conti pubblici”; praticamente di “un elemento su cui dobbiamo confrontarci”, nella speranza che ciò “non comprometta gli obiettivi che ci siamo fissati in termini di politica economica o politici in senso lato”.
L’appello non è mancato. Il titolare del Tesoro, che ha tenuto a sottolinea come l’aumento delle spese per la Difesa sia comunque “un dovere assunto dal governo”, debba essere affiancato “uno sforzo significativo rispetto all’industria della difesa nazionale”.
L’industria della difesa deve insomma “fare uno sforzo per partecipare a questa fase altrimenti è un aggravio per la finanza pubblica senza nemmeno un ritorno industriale e in termini di occupati in Italia”.
Lo scorso 29 agosto il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha diramato una nota facendo notare come, dal 2022 al 2025 lo spread abbia “rappresentato un indicatore chiave della solidità italiana, con benefici evidenti per imprese, famiglie e finanza”.
“Il differenziale di rendimento tra i titoli di stato decennali italiani (Btp) e quelli tedeschi (Bund), considerati un punto di riferimento per l’affidabilità di un Paese, ha accompagnato l’Italia in un triennio di consolidamento economico, con ricadute favorevoli su tutti i principali attori del sistema. Lo spread che a settembre 2022 – poco prima dell’insediamento del ministro dell’economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti – aveva raggiunto i 251 punti base, ha toccato i 71 punti base il 15 agosto 2025. Il 27 agosto anche il differenziale tra Oat francesi e BTP italiani si è assottigliato al minimo storico a circa 5,5 punti base. Un effetto visibile e misurabile del lavoro responsabile svolto dall’esecutivo in questi primi 3 anni”.
“Se all’inizio della legislatura le tensioni internazionali e le preoccupazioni legate alla crisi energetica e alla guerra in Ucraina, insieme alla politica monetaria con gli aumenti dei tassi di interesse da parte della BCE, hanno tenuto lo spread su livelli relativamente alti”, ha spiegato il Ministero dell’Economia e delle Finanze guidato da Giorgetti - “le politiche di bilancio prudenti e il rispetto degli impegni con l’UE hanno contribuito a rassicurare i mercati”.
Il MEF ha rimarcato come la relativa stabilità dello spread, e il suo posizionarsi ai “valori inferiori rispetto ai livelli visti durante i periodi di massima tensione” siano il frutto di “segnali di una crescita economica stabile dell’Italia” e dell’“attenzione del governo al contenimento del debito e al rispetto delle regole di bilancio europee. Tutti fattori visti positivamente dai mercati e dalle agenzie di rating che hanno premiato la traiettoria di crescita e consolidamento fiscale del Paese”.
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