Lavorare gratis mette in allerta il Fisco: la Cassazione avvisa i liberi professionisti

Simone Micocci

16 Marzo 2018 - 11:15

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Lavorando gratis per aiutare gli amici si rischia di mettere in allarme il Fisco; la Cassazione che giustifica i controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate in caso di una mancata correlazione tra prestazioni effettuate e fatture emesse.

Lavorare gratis mette in allerta il Fisco: la Cassazione avvisa i liberi professionisti

Il libero professionista che lavora gratis - ad esempio per fare un favore ad un amico o ad un parente - rischia di essere controllato dal Fisco.

Ciò non significa che la prestazione gratuita viene sanzionata, ma solo che questa giustifica un controllo da parte dell’Agenzia delle Entrate con il quale verrà accertato il motivo per cui il numero delle prestazioni effettuate dal professionista non equivale a quello delle fatture emesse. Quindi il controllo del Fisco è finalizzato ad accertare un’eventuale evasione fiscale da parte del libero professionista.

D’altronde nessuno si augura di subire un controllo da parte dell’Agenzia delle Entrate ecco perché è bene limitare le prestazioni professionali gratuite. Più si lavora gratis, infatti, e maggiore è il rischio di mettere in allarme il Fisco; è quanto si deduce da una recente sentenza della Corte di Cassazione - la n°6215/2018 - con la quale gli ermellini hanno giustificato il controllo dell’Agenzia delle Entrate ai danni del professionista che lavora tanto ma fattura poco.

Il caso di specie

I giudici di Palazzo di Giustizia con la sentenza 6215/2018 si sono pronunciati sul ricorso presentato da un avvocato campano che per il periodo 2007-2009 ha ricevuto un accertamento del Fisco ai fini Irpef, Irap e Iva; secondo l’Agenzia delle Entrate, infatti, nel suddetto periodo il legale ha lavorato più di quanto effettivamente guadagnato (e fatturato), come dimostrato dalla quantità di prestazioni rese. La Corte d’Appello ha concordato con il Fisco, confermando i dubbi in merito all’evasione fiscale da parte dell’avvocato.

Questo ha provato a discolparsi dichiarando che la mancanza di correlazione tra prestazioni rese e fatture emesse dipende dal fatto che in molti casi ha lavorato gratis per favorire i clienti, alcuni dei quali sono stati chiamati anche a testimoniare.

Secondo la Cassazione, però, il numero ristretto di fatture - correlato ad un esiguo fatturato annuo - a fronte di una mole di lavoro consistente contrasta “con le più elementari regole di ragionevolezza”; insomma, non è stata ritenuta sufficiente come prova la testimonianza degli assistiti gratuitamente dal legale per discolparlo della presunzione di evasione mossa dall’Agenzia delle Entrate.

Lavorare gratis è sempre punito?

Naturalmente nel caso di specie non è il lavoro gratuito ad essere sanzionato, bensì la totale mancanza di correlazione che c’è tra le fatture emesse e il lavoro prestato.

Riassumendo; lavorare gratis si può, ma senza esagerare.

Esagerando, infatti, si rischia di non far quadrare la contabilità mettendo in allarme il Fisco; e questo vale anche quando il reddito dichiarato sia consono alla propria posizione.

In questo caso l’Agenzia delle Entrate potrebbe pensare che non siete dei “benefattori”, bensì che accettate di ricevere i compensi in nero contrariamente a quanto previsto dalla normativa vigente, e per questo sarà giustificata ad avviare un accertamento analitico-induttivo per l’eventuale evasione fiscale.

Dopo aver rilevato una mancanza di correlazione tra i compensi presunti e le prestazioni eseguite allora l’Agenzia potrebbe applicare le sanzioni previste per infedele dichiarazione e per l’omessa fatturazione.

Un avvertimento che riguarda non solo i liberi professionisti iscritti agli albi - avvocati, notai e commercialisti - ma tutti i lavoratori autonomi; per loro lavorare gratis per parenti e amici è possibile, ma solo quando si tratta di una “prestazione piuttosto semplice” (sentenza della Corte di Cassazione n°21972/2015) e quando queste sono di un “numero verosimile”.

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