Effetto Draghi, turismo e Bce: perché il Pil italiano va meglio di Francia e Germania e perché la crescita può finire in autunno

Giacomo Andreoli

17/08/2022

18/08/2022 - 09:25

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Il nostro Pil continua a crescere più di Germania, Francia e altri paesi Ue. Abbiamo chiesto ai docenti Messori (Luiss) e Altomonte (Bocconi) per quale motivo e cosa dobbiamo attenderci in futuro.

Effetto Draghi, turismo e Bce: perché il Pil italiano va meglio di Francia e Germania e perché la crescita può finire in autunno

Il Pil italiano continua a correre e lo fa sopra la media dei paesi europei. Secondo Eurostat nel secondo trimestre di quest’anno la crescita del nostro prodotto interno lordo, che conteggia il valore totale di beni e servizi prodotti (compresi quelli finanziari), è stata dell’1% rispetto allo 0,1% dei tre mesi precedenti. La media nella zona euro e nell’Ue è stata invece rispettivamente dello 0,6% e dello 0,3%.

L’Italia fa dunque meglio della media europea e in particolare della Germania (a Pil invariato) e della Francia (che segna un aumento dello 0,5%), andando allo stesso ritmo della Spagna (+1,1% nei tre mesi). Meglio di noi nell’ultimo periodo hanno fatto solo i Paesi Bassi (+2,6%, dopo +0,5% nel primo trimestre), seguiti da Romania (+2,1% dopo il progresso dello 5,1% nel primo trimestre) e Svezia (+1,4% dopo il calo dello 0,7% nel primo trimestre).

Ma da cosa deriva questo rafforzamento dell’economia italiana? Beneficiamo davvero ancora del cosiddetto “effetto Draghi”? E quali prospettive ci attendono nei prossimi mesi dopo le elezioni anticipate del 25 settembre? Lo abbiamo chiesto a Carlo Altomonte, professore di politica economica europea dell’università Bocconi, e a Marcello Messori, docente di economia politica dell’università Luiss.

Pil italiano trainato da manifattura e turismo

Secondo Messori quello segnalato da Eurostat “è un dato importante e superiore alle aspettative, perché nella prima metà del 2020 l’economia italiana aveva sofferto una delle depressioni più gravi al livello internazionale tra le economie avanzate. Il forte rimbalzo c’era già stato nel 2021 e sta proseguendo, seppur a ritmo inferiore, nel 2022”.

Il motivo principale, secondo il docente, è stata la “reazione positiva del settore manifatturiero e di alcuni settori del comparto dei servizi”, che hanno mostrato “una forte capacità di adattamento alla situazione post-pandemica e al nuovo shock della guerra in Ucraina, soddisfacendo una domanda sempre più elevata”.

Le imprese italiane, per il professore della Luiss, “hanno sfruttato opportunità di nicchia”, anche sull’export, ma in particolare si è registrata una ripresa del turismo sopra ogni previsione. Questo rilancio si è visto già dall’inizio della primavera, ma soprattutto in questa estate (con i dati che si vedranno in autunno). Quelli registrati sono“numeri mai visti da due anni a questa parte”, che “hanno portato a un abbondante recupero nel settore rispetto al calo fortissimo che si era visto nel 2020 e alla lieve ripresa del 2021”.

L’effetto Draghi

Secondo Altomonte altro motivo del boom del Pil è stato lo stimolo fiscale del governo Draghi: sia in termini di attuazione del Pnrr, sia tramite investimenti di sostegno ai redditi di famiglie (soprattutto più deboli) e imprese, sfruttando il fatto che abbiamo risparmiato un po’ di debito grazie all’inflazione.

Tutte le manovre anti inflazione dell’esecutivo - ricorda- sono valse quest’anno oltre 40 miliardi, una cifra un più più alta rispetto agli altri paesi Ue”. “Sicuramente - aggiunge Messori- i miliardi del Recovery sono stati ottenuti dal governo Conte II, ma l’investimento che gli Stati membri e le istituzioni europee sono stati disposti a fare sull’economia italiana quando il piano è entrato in funzione è dovuto in gran parte alla credibilità del governo Draghi e del suo presidente del Consiglio.

Insomma, non è stato decisivo, ma “un certo effetto Draghi c’è stato: ha portato più coesione con i partner europei e più stabilità sui mercati finanziari”.

Perchè l’Italia cresce più dei grandi paesi Ue

Ma grandi paesi come Francia e Germania nel 2022 hanno fatto peggio di noi solo perché hanno dato meno a famiglie e imprese? Altomonte ricorda innanzitutto come queste nazioni avevano subito un calo del Pil molto meno intenso per la pandemia nel 2020: mentre l’Italia perdeva quasi il 9%, Parigi scendeva dell’8% e Berlino del 5%. Il nostro rimbalzo del 2021 ha quindi portato a “una crescita acquisita che gli altri non avevano, perché avevano perso meno”.

Secondo Messori, poi, le nostre piccole e medie imprese hanno reagito leggermente meglio alle difficoltà delle catene internazionali del valore rispetto alla Francia, mentre per Altomonte oltre ai minori stimoli fiscali c’è stata una ripresa meno forte dei servizi e del turismo. Quanto al paragone con la Germania, invece, da noi si è saputo affrontare in modo più efficace la riduzione dei cosiddetti “colli di bottiglia” per la guerra in Ucraina, almeno nel breve periodo, a partire dai beni energetici e dal settore automobilistico.

Berlino, per Altomonte, ha visto andare in crisi il suo modello economico basato sull’importazione dell’energia a basso costo dalla Russia e la totale apertura al mercato globale, soprattutto verso la Cina. “Ora- dice-sono a rischio recessione nel medio periodo e il loro schema economico ora va completamente ripensato”. “Le imprese tedesche - aggiunge Messori- sono vicine ai mercati finali e quando le cose vanno male, vanno peggio degli altri. Il caso più emblematico è l’automotive: quando c’è una crisi energetica e tu sei molto dipendente da Mosca, devi ristrutturare un intero settore e chi è più forte vista la specializzazione produttiva ne subisce le maggiori conseguenze”.

Le prospettive sul Pil dopo le elezioni

Ma cosa succederà ora, con le elezioni del prossimo 25 settembre e il passaggio di consegne tra Draghi e il nuovo governo? Nelle previsioni internazionali l’economia italiana - spiega Messori- tornerà a una crescita più bassa della media europea nel 2023. Non solo: le politiche monetarie, data l’inflazione molto alta, saranno sempre meno favorevoli e questo peserà su Paesi ad alto debito pubblico come il nostro, riducendo gli spazi di politica fiscale nazionale. A pesare, poi, saranno le continue tensioni sul lato energetico, con i segnali che arrivano da Mosca soprattutto sul gas che creano allarme.

L’unica speranza di continuare a crescere a questi livelli, quindi, è per il docente della Luiss la realizzazione “di successo” del Pnrr, tale da alleviare i problemi di fondi della nostra economia, che sono “un forte ritardo dal punto dell’innovazione tecnica in gran parte dei settori produttivi, la carenza di personale specializzato e una struttura d’impresa che rimane schiacciata sulle piccolissime dimensioni”.

Dopo le elezioni - rincara la dose Altomonte- il rischio è proprio che si interrompa il percorso di riforme legate al Piano di ripresa e resilienza. Non credo che, chiunque vinca tra i maggiori schieramenti, devieremo in modo consistente dalla direzione europea ed atlantica, ma piuttosto ho paura che tra possibili ritardi dovuti alla formazione dell’esecutivo e la litigiosità delle nuove forze di maggioranza, non si porti a termine quell’85% di riforme calendarizzate entro fine anno”.

Per il professore di certo l’occhio di Bruxelles sui conti italiani e l’agenda economica del Paese sarà più rigido e attento. Poi, se arriva il segnale che siamo inadempienti nel realizzare le riforme, “siamo nei guai, perché perderemmo lo scudo anti-spread della Bce e lì vedremmo una tempesta perfetta sul Pil”.

Perché la flat tax rischia di ridurre la crescita

Il docente della Bocconi è poi scettico sull’utilità della flat tax per rafforzare la crescita. “Anche con il gioco delle esenzioni che recupera la progressività e la rende costituzionale - argomenta- rimane il problema delle coperture da trovare, inoltre il meccanismo delle detrazioni sarebbe così complicato da generare effetti controproducenti sulla crescita: non è un caso che nessun grande paese nel mondo, viste le disparità territoriali, adotti questo modello”.

L’unico modo per evitare un effetto paradossalmente negativo della misura sul Pil, per Altomonte, sarebbe investire prima pesantemente sui big data, incrociando tutti i dati pubblici e le banche dati, restringendo l’uso del contante e combattendo meglio l’elusione e l’evasione fiscale. Solo a quel punto si potrebbero avere i soldi per coprire la misura (probabilmente nella versione di Forza Italia al 23%), che potrebbe essere accompagnata da “un sistema di individualizzazione nell’accesso alle detrazioni, legato alla capacità contributiva personale: tecnicamente fattibile, meno dal punto di vista politico” .

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