Centinaia, se non migliaia di dipendenti di queste banche stanno per essere messi alla porta. Coinvolta anche l’Italia.
Un periodo d’oro in arrivo negli States, come promette da mesi il presidente degli Stati Uniti? Non proprio. Nella costa nordorientale degli Stati Uniti, precisamente nel mondo dell’alta finanza di New York e negli uffici situati nello stato del New Jersey, è da un po’ che i dipendenti delle grandi banche USA hanno i nervi a fior di pelle, atterriti dalla paura che i loro nomi finiscano per rendere più alta la pila delle lettere di licenziamenti che stazionano negli uffici HR.
Goldman Sachs, JPMorgan e Morgan Stanley, le stesse banche che insieme ad altri player illustri compongono il firmamento di Wall Street, stanno per mettere alla porta centinaia, se non migliaia, di dipendenti.
Goldman Sachs, JPMorgan, Morgan Stanley & Co. Tagli non solo negli USA?
E a tremare, a quanto pare, non sono “solo” i dipendenti americani, visto che dalle indiscrezioni di Bloomberg emergono piani, firmati da questi giganti made in USA, volti a mandare a casa migliaia di lavoratori di tutto il mondo: si parla di tagli, pari al 3-5% della forza lavoro complessiva di Goldman Sachs, e di licenziamenti potenziali di 2000 unità negli uffici di Morgan Stanley.
Dai piani alti delle dirette interessate arrivano commenti per ora gelidi. “ Rivediamo regolarmente le nostre esigenze di business e apportiamo di conseguenza aggiustamenti al nostro staff, creando nuove posizioni dove ne intravediamo la necessità e riducendole laddove crediamo che sia appropriato”, ha commentato un portavoce di JPMorgan Chase, interpellato dal The Daily Upside.
Nello spiegare la raffica di tagli che le banche americane stanno portando avanti, l’articolo ha menzionato tuttavia altri fattori. Tra questi, la debolezza del mercato azionario seguita all’annuncio dei dazi di Trump e il maggiore utilizzo dell’AI, ergo dell’intelligenza artificiale, che potrebbe rendere presto obsolete alcune mansioni di back office che finora richiedevano la presenza di dipendenti in carne e ossa.
Risultato, così come il dramma viene riassunto, e solo nell’immediato:
- Goldman Sachs licenzierà a partire dal prossimo 22 giugno 310 dipendenti che lavorano al momento nel suo quartiere generale di New York.
- I tagli di Morgan Stanley, escludendo quelli che colpiranno i consulenti finanziari, saranno 230, e colpiranno sette degli uffici del gigante situati a New York, a partire dal prossimo 17 giugno.
- JPMorgan Chase passerà dalle lettere di licenziamento ai fatti, dando il benservito a 145 persone, che lasceranno i suoi uffici del New Jersey il prossimo 23 giugno.
Per molti addetti ai lavori, i licenziamenti previsti sono una notizia che non sciocca neanche più di tanto, visto che l’arrivo dei tagli era stato preventivato già da un po’.
Era dagli inizi di febbraio, per esempio, che circolavano rumor sul rischio che JPMorgan mollasse 1.000 dipendenti circa, anche dopo aver annunciato una trimestrale record.
Barron’s, per la precisione, aveva parlato di una strategia impostata dal colosso americano - la banca numero uno degli Stati Uniti - volta a liberarsi dei dipendenti in diversi round: alla metà di marzo, a maggio, a giugno, ad agosto e a settembre.
E’ dunque molto probabile che i licenziamenti del gigante, così come quelli diverse altre banche americane, non si concludano a giugno.
Ieri, l’altra notizia shock arrivata dall’altro titano di Wall Street, ovvero da Citi, che ha comunicato la decisione di sforbiciare il numero di dipendenti che lavorano in due dei suoi centri IT dislocati in Cina. Obiettivo: migliorare la gestione del rischio e dei dati.
Lo staff di Citi in Cina sarà composto ancora da 2.000 dipendenti a seguito dei tagli appena annunciati, che sono contemplati nell’ambito di un maxi piano di ristrutturazione che il gigante guidato dalla CEO Jane Fraser porta avanti da qualche anno, e che si è già tradotto in licenziamenti del personale negli Stati Uniti, così come in Indonesia, nelle Filippine e in Polonia. Piano annunciato agli inizi di gennaio del 2024, che prevede tagli monstre di ben 20.000 dipendenti nell’arco di due anni, per la precisione nel 2025 e 2026.
Gli annunci di tagli fioccano anche in Europa. Le banche che stanno dando il benservito
Ma i licenziamenti non si stanno confermando di certo un fenomeno che interessa solo Wall Street. Tutt’altro: gli annunci stanno fioccando anche in Europa.
Commerzbank, per esempio, la seconda banca in Germania messa nel mirino da UniCredit, ha annunciato di avere raggiunto un accordo per tagliare qualcosa come 3.900 dipendenti entro il 2028, in linea con un piano volto a centrare target di redditività più ambiziosi.
HSBC si prepara a sforbiciare 348 posti di lavoro in Francia attraverso un programma che, secondo l’agenzia di stampa Reuters, colpirà il 10% dei dipendenti della banca attivi nel Paese.
Il caso UBS (ma non solo) in Italia, cosa sta succedendo
E c’è una notizia che riguarda in modo specifico l’Italia. Lo scorso 1° aprile UBS, la banca numero uno della Svizzera, ha informato i sindacati italiani di un piano volto a mettere alla porta 180 posti di lavoro, un terzo dello staff presente in Italia, come è stato comunicato lo stesso giorno dal sindacato First Cisl:
“In data odierna abbiamo ricevuto dall’azienda la lettera di avvio della procedura di riorganizzazione che comporta ricadute sul personale per un numero di 180 suddivisi tra 18 dipendenti di Ubs Fiduciaria e 162 dipendenti di Ubs Ese. Seppure consapevoli che processi di fusione e trasformazione come quello avvenuto fra Ubs Ese e CS comportano assestamenti nei modelli di organizzazione del lavoro, non può essere sempre la riduzione del personale la soluzione che le aziende scelgono di adottare. E ancor di meno di questa dimensione: rinunciare a 180 fra lavoratrici e lavoratori è non considerare che le persone rappresentano la vera forza ed il vero motore di una società, è non riconoscere il ruolo sociale che ogni azienda ha nel territorio, nel contesto economico e geografico in cui opera”.
Così come è stato reso nelle settimane successive, UBS ha poi siglato un accordo con i sindacati FABI, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca, Unisin, che prevede 179 uscite volontarie su un totale di 600 dipendenti in Italia. Si parla di una bozza che, come riportato da Il Corriere della Sera, “prevede che le adesioni alle uscite vengano raccolte entro la fine di giugno”.
Per la precisione, “chi maturerà i requisiti per andare in pensione di qui a cinque anni potrà lasciare la banca in anticipo garantito dal fondo esuberi bancari, che permetterà di ricevere circa l’80% dello stipendio mensile mentre i contributi previdenziali verranno versati in toto. Chi invece ha un orizzonte pensionistico differente potrà godere dello scivolo dell’esodo incentivato ”.
Per restare in tema, attenzione alle indiscrezioni che sono state riportate nelle ultime settimane dall’agenzia di stampa Reuters che, citando alcuni documenti che ha avuto modo di visionare, ha riportato che la divisione italiana del gigante del risparmio gestito Amundi starebbe valutando l’opzione di intavolare trattative con i sindacati, in Italia, per tagliare il numero dei dipendenti e i costi, entro la fine del 2025.
Una fonte vicina al dossier ha riferito in particolare che la riorganizzazione della divisione italiana di Amundi potrebbe tradursi in una riduzione della forza lavoro attiva nel Paese compresa tra il 14% e il 17%.
A dire la sua anche un portavoce del gruppo, che ha riferito che Amundi ha fissato un target di risparmi, per il prossimo anno, compreso tra 30 milioni e 40 milioni di euro.
Il rischio di licenziamenti, è stato spiegato, avrebbe a che fare con le prossime decisioni strategiche che saranno adottate da UniCredit, la banca italiana guidata da Andrea Orcel: la stessa grande e costante protagonista di Piazza Affari di cui si sta parlando continuamente da mesi, a causa della tripla scommessa lanciata su tre grandi nomi della finanza italiana e non solo: Commerzbank, Assicurazioni Generali e, soprattutto nell’ultimo periodo, Banco BPM.
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