BCE, il punto su PIL, inflazione, debito euro con terremoto dazi Trump e più spese difesa

Laura Naka Antonelli

02/05/2025

Pubblicato dalla BCE il terzo bollettino economico del 2025. Occhio ai rischi che incombono sul PIL, sull’inflazione e sul debito a causa dazi Trump e più spese difesa.

BCE, il punto su PIL, inflazione, debito euro con terremoto dazi Trump e più spese difesa

Diversi i temi che la BCE, Banca centrale europea, ha affrontato nel suo terzo bollettino economico del 2025, pubblicato oggi, venerdì 2 maggio.

In evidenza il trend del PIL e dell’inflazione dell’area euro stimati, tenendo in considerazione il terremoto dei dazi annunciati dal presidente americano Donald Trump, come anche l’impatto che le spese per la difesa su cui punta l’Unione europea avrebbero sui livelli del debito pubblico e sullo stesso livello dell’inflazione.

Tutto questo, all’interno di un quadro macroeconomico destinato a farsi più incerto, sebbene le stime attuali per ora puntino a un PIL dell’area euro che abbia continuato a “ crescere moderatamente nel primo trimestre del 2025 ”.

BCE, alert incertezza, ma area euro ha acquisito una certa capacità di tenuta di fronte agli shock

Così il bollettino economico della BCE riassume le proprie considerazioni sul trend del PIL alle prese con la nuova era di Trump caratterizzata da tensioni commerciali crescenti:

“Le prospettive economiche per l’area dell’euro sono caratterizzate da un livello eccezionalmente alto di incertezza. Gli esportatori dell’area si trovano ad affrontare nuove barriere agli scambi, la cui portata resta tuttavia poco chiara. Lo sconvolgimento nel commercio internazionale, le tensioni nei mercati finanziari e l’incertezza geopolitica gravano sugli investimenti delle imprese. Anche i consumatori, divenendo più cauti riguardo al futuro, potrebbero contenere la spesa. Al tempo stesso, l’economia dell’area dell’euro ha acquisito una certa capacità di tenuta a fronte degli shock mondiali. La crescita dovrebbe essere sorretta da un mercato del lavoro solido, da redditi reali più elevati e da un credito gradualmente più conveniente, che dovrebbe sostenere i consumi. Inoltre, le importanti iniziative politiche adottate a livello nazionale e dell’UE al fine di
incrementare la spesa per la difesa e gli investimenti in infrastrutture dovrebbero sostenere in particolare l’attività manifatturiera
”.

Rischi al ribasso per la crescita del PIL aumentati, occhio a investimenti e consumi

Il quadro non è dunque disperato, se si mette in evidenza la capacità di tenuta di fronte agli shock mondiali di cui il PIL dell’area euro ha dato e sta dando prova.

La Banca centrale europea ha tuttavia avvertito nel suo bollettino economico che “ i rischi al ribasso per la crescita economica sono aumentati ”, facendo riferimento al “considerevole acuirsi delle tensioni commerciali su scala mondiale” e alle incertezze a queste associate, che “probabilmente indeboliranno la crescita dell’area dell’euro frenando le esportazioni” e che “potrebbero comprimere gli investimenti e i consumi”.

Tra i rischi sono stati menzionati anche possibili nuove turbolenze sui mercati finanziari che potrebbero tradursi in “condizioni di finanziamento più stringenti, accentuare l’avversione al rischio e ridurre la propensione di imprese e famiglie agli investimenti e ai consumi ”.

Non è inoltre mancato l’alert della BCE sulle conseguenze delle “tensioni geopolitiche, come la guerra ingiustificata della Russia contro l’Ucraina e il tragico conflitto in Medio Oriente, rimangono fra le principali fonti di incertezza”.

Spese difesa e infrastrutture UE, effetto positivo su PIL, ma anche rischio più inflazione

Effetti positivi potrebbero essere trasmessi invece sul PIL dell’area euro da un aumento delle spese per la difesa e dall’incremento degli investimenti per le infrastrutture.

Allo stesso tempo, l’Eurotower ha ricordato anche che, nel favorire la crescita, questi fattori potrebbero mettere i bastoni tra le ruote al processo di disinflazione tuttora in atto nell’Eurozona, ed erodere ovviamente i debiti pubblici delle economie del blocco.

Per quanto riguarda l’inflazione, la BCE ha certificato che “la maggior parte delle misure dell’inflazione di fondo segnala un ritorno durevole dell’inflazione all’obiettivo del 2 per cento a medio termine previsto dal Consiglio direttivo”, che “l’inflazione interna è diminuita dalla fine del 2024” e che “i salari mostrano una graduale moderazione”.

Dunque il processo di disinflazione, nell’area euro, va avanti, almeno per ora, fattore che ha consentito ai mercati finanziari di continuare a scommettere sull’arrivo di altri tagli dei tassi da parte della BCE di Christine Lagarde, e che ha contribuito, insieme al fattore negativo, legato ai timori sull’arrivo di un rallentamento dei fondamentali economici a causa delle tariffe di Trump, a esercitare una pressione ribassista sui rendimenti dei Titoli di Stato. Fermo restando che non solo i Titoli di Stato, ma tutti gli asset finanziari dell’area euro, nel periodo in esame compreso tra il 6 marzo e il 16 aprile 2025, sono stati fortemente influenzati dai cambiamenti delle politiche commerciali annunciata da Trump, come si legge nel bollettino economico della Banca centrale europea:

L’annuncio del 2 aprile “da parte dell’amministrazione americana di dazi di ampia portata ha condotto alla più drastica ridefinizione dei prezzi delle attività finanziarie registrata sin dalla pandemia, in un contesto di accresciuta volatilità ” e la “successiva sospensione di 90 giorni dei dazi nei confronti della maggior parte dei partner commerciali degli Stati Uniti ha rappresentato un alleviamento solo parziale ”.

Da segnalare tra l’altro la pessima notizia arrivata oggi dal fronte macroeconomico dell’area euro, con la pubblicazione del dato relativo all’inflazione del blocco, che ha affossato le scommesse super dovish sui tassi di interesse dell’area euro decisi dalla BCE.

Focus Titoli di Stato euro, cosa è successo con trauma dazi Trump. Occhio anche ad attese tassi BCE

Nel caso dei Titoli di Stato (BTP & Co.), il risultato è che “la curva a termine del tasso privo di rischio a breve termine in euro si è spostata verso il basso”, a fronte di mercati che alla fine del periodo in esame “stavano incorporando nei prezzi riduzioni cumulate dei tassi di interesse nell’area dell’euro pari a circa 85 punti base entro la fine del 2025 ”. (occhio all’ultimo taglio dei tassi annunciato alla metà di aprile dalla Banca centrale europea).

A puntare verso il basso sono stati anche i rendimenti dei titoli di Stato a lungo termine di diversi Paesi dell’area euro (BTP, Bund & Co), in misura anche più importante.

La conseguenza è stata che “alla fine del periodo preso in considerazione dalla BCE il rendimento ponderato per il PIL dei titoli di Stato decennali dell’area dell’euro si è collocato al 3 per cento, in calo di 31 punti base rispetto al livello registrato all’inizio del periodo, a fronte di un differenziale relativo al tasso OIS che si è ristretto di circa 15 punti base ”.

La BCE ha così riassunto quanto avvenuto nel mercato dei Titoli di Stato dell’area euro, così come anche dei Titoli di Stato USA e del Regno Unito facendo notare come il trend discendente dei rendimenti si fosse in realtà palesato anche prima del Liberation Day degli Stati Uniti dello scorso 2 aprile, così come è stato battezzato dal presidente americano Donald Trump quel giorno in cui c’è stato il grande annuncio delle tariffe USA.

Gli annunci di quei dazi reciproci hanno acuito la fase discendente dei rendimenti dei bond sovrani, ma non in modo omogeneo, visto che diversi sono stati gli investitori che hanno deciso di privilegiare i Titoli di Stato dei Paesi caratterizzati da livelli più contenuti dei debiti pubblici.

Tra i bond dell’area euro, i buy hanno interessato infatti soprattutto i Bund, a discapito dei BTP, provocando nel caso dell’Italia, come si ricorda, il balzo dello spread BTP-Bund a 10 anni.

“I differenziali sui titoli di Stato si sono perlopiù ristretti prima dell’annuncio sui dazi da parte dell’amministrazione statunitense il 2 aprile, con variazioni che hanno mostrato un andamento sostanzialmente uniforme tra i vari paesi. Successivamente, l’acuirsi delle tensioni commerciali a livello internazionale ha determinato un lieve aumento della dispersione dei rendimenti dei titoli di Stato dell’area dell’euro, nel contesto di una ricomposizione dei portafogli degli investitori verso attività più sicure. A livello internazionale, il rendimento dei titoli del Tesoro statunitense a dieci anni ha mostrato notevoli fluttuazioni, con una crescita di circa 5 punti base che lo ha portato al 4,3 per cento alla fine del periodo in esame, mentre quello dei titoli di Stato decennali del Regno Unito ha registrato un calo di 7 punti base e ha chiuso il periodo di riferimento al 4,6 per cento”.

Vero è che, i BTP hanno continuato a essere continuamente richiesti, come è emerso dagli ultimi numeri che sono stati resi noti dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, in vista tra l’altro della grande novità in arrivo del BTP Italia. Ottime anche le ultime indicazioni arrivate dalle aste, in particolare di BTP e di CCTeu mentre sul mercato secondario, lo spread BTP-Bund a 10 anni è tornato in area 110 punti base circa, dopo la fiammata successiva agli annunci dei dazi di Trump.

Alert dazi Trump su inflazione con frammentazione catene di approviggionamento mondiali

Il continuo ribasso dei rendimenti è tutto fuorchè scontato, vista l’incertezza sulla performance dell’inflazione che, se da un lato potrebbe continuare a scendere, dall’altro lato potrebbe tornare a rafforzarsi, oltre che a causa dell’impatto positivo sulla crescita del PIL delle spese per la difesa e per le infrastrutture, anche per altri elementi meno positivi che i dazi di Trump potrebbero provocare.

Si legge infatti nel bollettino della BCE che “ la frammentazione delle catene di approvvigionamento mondiali potrebbe determinare un’ascesa dell’inflazione spingendo al rialzo i prezzi all’importazione. Anche un incremento della spesa per la difesa e le infrastrutture potrebbe far aumentare l’inflazione nel medio termine. I fenomeni meteorologici estremi, e più in generale il dispiegarsi della crisi climatica, potrebbero far salire i prezzi dei beni alimentari oltre le aspettative ”.

E sulla spesa per la difesa, l’avvertimento viene ribadito più volte:

“La potenziale ulteriore spesa per la difesa consentita dalle norme nel contesto di accresciute tensioni geopolitiche ha incrementato l’incertezza circa le prospettive di crescita economica e di inflazione nell’area dell’euro. Un incremento della spesa per la difesa e le infrastrutture potrebbe contribuire alla crescita e far
anche aumentare l’inflazione tramite gli effetti sulla domanda aggregata”.

Spese per la difesa e infrastrutture, impatti su PIL e debito euro

Nel suo bollettino economico la BCE ha affrontato anche la questione dei conti pubblici dei vari Paesi dell’area euro, lanciando un monito agli Stati membri che si trovano ad affrontare rischi elevati per la
sostenibilità del debito, affinché pianifichino “ tassi di crescita della spesa netta in media inferiori, anche perché i loro rapporti tra spesa primaria e PIL sono relativamente elevati”.

Da un lato, riferendosi in generale all’effetto di più spese da parte dei Paesi membri dell’Unione europea per le infrastrutture e la difesa, la Banca centrale europea ha precisato che i maggiori investimenti “potrebbero sostenere il clima di fiducia e l’attività nel settore manifatturiero ”, aggiungendo che è tuttavia “ improbabile che gli effetti positivi si manifestino già nel secondo trimestre ”.

Dall’altro lato, l’Eurotower ha segnalato che “le società interpellate dalla BCE operanti nel settore manifatturiero hanno indicato che la ricostituzione delle scorte e l’adattamento della capacità per la produzione futura nel settore della difesa potrebbero già contribuire a sostenere l’attività nel 2025”.

Ma quale sarà l’impatto delle maggiori spese sui conti pubblici dei Paesi UE?

La BCE ha ricordato che, nel mese di marzo, la Commissione europea ha proposto l’attivazione coordinata della clausola di salvaguardia nazionale nell’ambito del Patto di Stabilità e di Crescita (PSC), in linea con il piano ReArm Europe/Preparati per il 2030 della Commissione europea, come annunciato il 19 marzo 2025, facendo notare che all’inizio di marzo i leader dell’UE hanno accolto con favore l’intenzione, espressa dalla Commissione, di raccomandare al Consiglio di attivare in odo coordinato la clausola di salvaguardia nazionale prevista dal PSC.

La Commissione è stata inoltre invitata a valutare ulteriori misure per agevolare una spesa significativa per la difesa a livello nazionale in tutti gli Stati membri, garantendo nel contempo la sostenibilità del debito ”, ha ricordato ancora Francoforte.

A tal proposito, va segnalato che sono in tutto 12 i Paesi UE che hanno chiesto alla Commissione di attivare le deroghe sui vincoli del Patto di Stabilità con la clausola nazionale di salvaguardia per aumentare le spese nella difesa.

I dodici Paesi sono Lettonia, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Ungheria.

In un’analisi ad hoc che è stata inclusa nel bollettino economico pubblicato oggi, la BCE è andata più in là, presentando i risultati di alcune simulazioni che ha effettuato, nel considerare in che modo le traiettorie del debito pubblico dei Paesi cambierebbero, considerando diversi scenari e diversi rischi, rispetto a quanto è stato stabilito con i Piani strutturali di bilancio di medio termine (Medium-term Fiscal Structural Plan, MFSP) che sono stati già presentati alla Commissione.

In particolare l’Eurotower ha studiato come l’attivazione della clausola di salvaguardia nazionale potrebbe incidere sulla traiettoria del debito delle economie più indebitate.

Nel considerare uno scenario preciso, che ipotizza che tutti i paesi attivino la clausola di salvaguardia nazionale per quattro anni, programmando una spesa aggiuntiva graduale e lineare fino a raggiungere il massimale dell’’1,5 per cento del PIL entro la fine del periodo, la BCE ha fatto notare che in questo caso il risanamento complessivo dei conti pubblici degli Stati alle prese con un elevato livello di debito verrebbe ridotto di circa 1,7 punti percentuali rispetto ai piani di bilancio di medio termine concordati.

Il che significa che, almeno inizialmente, si verificherebbe un peggioramento della dinamica del debito.

Successivamente, tuttavia, ha spiegato la BCE, anche se la clausola di salvaguardia fosse pienamente utilizzata, la prevista piena conformità ai requisiti del Patto di stabilità e crescita nel secondo periodo di pianificazione, a partire dal 2029, assicurerebbe il ritorno del debito su un percorso discendente.

La precisazione della Banca centrale europea non è però mancata: “Questo scenario e le sue implicazioni per il debito restano puramente indicativi, poiché poggiano su due forti supposizioni. In primo luogo, si ipotizza un’attivazione coordinata della clausola di salvaguardia nazionale e il graduale e lineare finanziamento di spese supplementari per la difesa pari all’1,5 per cento del PIL nel periodo 2025-2028. In secondo luogo, si suppone che tutto il finanziamento avvenga mediante l’emissione di debito pubblico nazionale”.

A tal proposito, per quanto riguarda l’emissione di debito pubblico nazionale, la BCE ha precisato anche di non avere considerato in questa simulazione l’eventuale utilizzo della linea di prestito offerta dallo strumento SAFE (Security Action for Europe), fino a un importo di 150 miliardi di euro a livello dell’UE.

Sono inoltre esaminate altre opzioni: riallocazione dei fondi di coesione, rafforzamento del ruolo della Banca europea per gli investimenti (BEI) o mobilitazione di capitale privato tramite un più intenso utilizzo dell’Unione dei risparmi e degli investimenti”, ha reso noto ancora la Banca centrale europea.

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