Titoli di Stato: sul valzer dei rendimenti pesano Trump e elezioni francesi

Daniele Morritti

05/04/2017

Il mercato dei titoli di Stato a 10 anni sembra essersi attenuato nelle ultime settimane dopo i rialzi registrati nei mesi scorsi. Scopriamone le cause attraverso l’analisi dell’economista Paolo Cardenà.

Titoli di Stato: sul valzer dei rendimenti pesano Trump e elezioni francesi

Le performance del mercato dei titoli decennali hanno nelle ultime settimane risentito parecchio degli effetti dell’oscillazione dei prezzi delle materie prime, del rischio politico in Europa e delle dubbie capacità riformatrici dell’amministrazione Trump.

In un recente scritto l’economista Paolo Cardenà, analizzando la stato dei rendimenti sui titoli decennali di Germania, Francia, Spagna, Italia e USA ha notato che, seppur per ragioni diverse (ma correlate), “gli eventi e i dati delle ultime settimane sembrano aver modificato (o meglio attenuato) il quadro di riferimento che aveva spinto al rialzo i rendimenti”.

Nello specifico, nell’eurozona inizia a salire la febbre elettorale con le elezioni presidenziali in Francia e il rischio che Marine Le Pen si affermi scuote profondamente i mercati, obbligazionario incluso. Con la bocciatura dell’Obamacare la propensione riformatrice di Trump ha incontrato una prima, evidente, battuta d’arresto. Altro fattore di distorsione è rappresentato dalla prospettiva che la BCE metta mano ai tassi, magari con un rialzo come suggerito neanche troppo velatamente di recente da Benoit Coeuré, membro del board della BCE.

Rendimenti: i fattori che hanno sostenuto il rialzo nel primo trimestre 2017

Secondo Cardenà, il rialzo dei rendimenti sui titoli decennali registrato un po’ dovunque nella prima parte del 2017 è da attribuirsi ad alcuni, importanti fattori.

Uno di questi è senz’altro rappresentato dalle “buone condizioni macro” dell’economia internazionale. Nella definizione di questo trend hanno giocato un ruolo fondamentale le economie emergenti (il cui ritrovato slancio ha permesso alla domanda di ripartire, nonostante il rialzo dei tassi da parte della Fed rischia di inficiarne la crescita registrata negli ultimi anni).

L’aumento delle materie prime ha inoltre stimolato l’inflazione, come giustamente Cardenà fa notare. Un fattore, il cui impatto è stato evidente soprattutto nell’eurozona. Draghi, nei suoi ultimi speech, ha spesso fatto notare che l’aumento (infinitesimale) dell’inflazione nell’eurozona non si deve solo al QE, ma anche (e soprattutto) all’aumento dei prezzi delle materie prime.

L’ultimo fattore analizzato da Cardenà è rappresentato dalle “attese” dei mercati nei confronti delle capacità riformatrici di Trump. Le politiche espansive e fiscali promesse da Trump hanno spinto favorevolmente l’attività finanziaria USA e mondiale.

Tuttavia, quello che a cavallo tra il 2016 e i primi mesi del 2017 è stato un periodo di sostenuta fiducia finanziaria (trainata dai fattori sopramenzionati) nelle ultime settimane, come notato da Cardenà, ha subito - se non una battuta d’arresto - quanto meno un assestamento.

Perché la corsa dei rendimenti a marzo si è “attenuata”?

Come si è detto, i rendimenti sui titoli decennali di Germania, Francia, Spagna, Italia e USA hanno risentito di un rialzo a cavallo tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017. “Ad attenuare il quadro di riferimento”, per dirla con Cardenà, è stata l’inversione di tendenza degli stessi fattori che avevano causato il rialzo dei rendimenti nel periodo sopraindicato.

I prezzi delle materie prime hanno registrato una lieve contrazione per poi risalire spinti dalle trame interne all’OPEC. Un’oscillazione che ha avuto il suo impatto sui rendimenti. Con la bocciatura dell’Obamacare, inoltre, il mercato ha iniziato a dubitare seriamente di Donald Trump. Il Presidente USA non gode di particolare stima tra i Repubblicani, che lo osteggiano in tutti i modi (specie i membri del Freedom Caucus, gli ultraliberisti e conservatori responsabili del tracollo della riforma dell’Obamacare).

Quali sono gli aspetti che ad oggi influenzano i rendimenti dei titoli decennali?

Tuttavia, come si diceva, i titoli decennali dei Paesi analizzati da Cardenà (Germania, Francia, Spagna, Italia e USA) risentono di pressione peculiari, anche se correlate.

Per quanto concerne il Bund tedesco, il rendimento è compreso tra 0.50% e -0.20% che ne fa - al netto delle manovre espansive della BCE - il solito “safe asset” nell’eurozona.

Quanto all’Oat francese i rendimenti sono compresi tra 1.10% e 0.90%. A rendere il decennale più rischioso (quindi più appetibile) è senz’altro il timore che Marine Le Pen possa staccare un biglietto per l’Eliseo a danno del rivale centrista pro-UE e pro-marché Emmanuel Macron. Come ricorda Cardenà, le apprensioni che da questa tornata elettorale francese derivano, influenzano il corso dei rendimenti in tutta l’eurozona.

Il caso della Spagna è interessante. La crescita e l’inflazione (quindi la capacità di promuovere riforme strutturali secondo il dettame del mercato e indipendentemente dal fatto che queste generano un mercato del lavoro precario) registrati nell’economia iberica ne fanno un porto sicuro in cui investire (specie a 10 anni). Discorso diverso per l’Italia, che soffre ancora di problematiche strutturali, quali alto debito pubblico, crescita anemica, corso riformatore lento e alta disoccupazione. Un aspetto interessante è dato dall’aumento dello spread tra BTP e Bonos, dato che evidenza la diversa percezione (da parte del mercato) delle due economie.

Quanto agli USA, i rendimenti sui titoli a 10 anni sono compresi tra il 2.6% e il 2.30%. Sul corso dei rendimenti negli USA gioca un ruolo fondamentale l’attività della nuova amministrazione Trump, divisa tra la promozione di misure neo-protezionistiche sul piano internazionale ed espansive su quello interno.

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