Prende il via oggi un vertice OPEC cruciale in ottica produzione petrolio, con lo storico accordo di Vienna che potrebbe essere rivisto o addirittura sospeso. Gli scenari.
È partito in ritardo il vertice odierno dell’OPEC, elemento che va ad aggiungere difficoltà a un meeting che si presenta già di per sé teso e niente affatto facile.
Il rinvio dei colloqui di mezz’ora - dovuto a un incontro straordinario tra i ministri del petrolio di Arabia Saudita e Iran - è stato solo il preambolo di accese trattative che, secondo quanto emerso dal comunicato di fine incontro, sono giunte alla decisione di un aumento di 1 milione di barili al giorno, anche se la cifra esatta non è stata ancora realmente indicata in nessun documento ufficiale.
In cima all’agenda era infatti proprio la proposta di aumentare la produzione di almeno 1 milione di barili al giorno, dopo che lo storico accordo di Vienna ha imposto tagli nell’ultimo anno e mezzo, vigilando severamente sul rispetto delle condizioni. Mentre l’Arabia Saudita si è pronta a sostenere fortemente il proposito, Iran e Venezuela sono sembrati decisamente contrari all’ipotesi di un aumento.
Per avere un quadro più chiaro dell’attuale situazione, di seguito i dati relativi all’output di greggio dei Paesi OPEC, indicativi della produzione giornaliera per questo 2018, ordinati in ordine decrescente:
- Arabia Saudita: 10 mln b/d
- Iraq: 4,2 mln b/d
- Iran: 3,5 mln b/d
- Emirati Arabi Uniti: 3,1 mln b/d
- Kuwait: 2,8 mln b/d
- Venezuela: 2,2 mln b/d*
- Algeria 2,1 mln
- Nigeria: 2 mln b/d
- Qatar: 1,5 mln b/d
- Angola: 1,4 mln b/d
- Libia: 1 mln b/d*
- Ecuador, Gabon e Guinea: < 1 mln b/d
Vertice OPEC: Arabia Saudita si scontra con Iran e Venezuela
L’Arabia Saudita è il Paese che ha maggiormente risentito dei tagli alla produzione imposti dall’accordo di Vienna, ed è ora intenzionata a tornare ad estrarre a pieno regime approfittando delle crisi di alcuni suoi competitor come l’Iran, per accaparrarsi preziose quote di mercato.
Il principe Mohammed Bin Salman ha visto concretizzarsi con successo il suo proposito di rialzo dei prezzi del Brent per eliminare i deficit di bilancio recenti e migliorare le condizioni economiche del colosso energetico statale, Saudi Aramco.
Khalid Al Falih, ministro del petrolio saudita, si è accordato con la Russia per un diverso piano in termini di offerta; scelta sicuramente condizionata dal ritorno delle scorte di greggio sui livelli medi degli ultimi 5 anni.
Ad opporsi a un aumento dell’output sono stati Iran e Venezuela. Il Paese guidato dal presidente Rouhani è fortemente condizionato dalle sanzioni statunitensi e, malgrado il parziale cambio di rotta di ieri, tuttavia mai davvero certificato, resta in maniera convinta tra la schiera di Paesi intenzionati a lasciare la produzione così com’è.
Il Venezuela, nel bel mezzo di una profonda crisi, è contrario a un aumento. Preda di un’iperinflazione al 34.458%, il Paese del Sud America è costretto persino a importare greggio malgrado le sue riserve enormi, e il ministro del petrolio venezuelano, Manuel Quevedo, ha recentemente puntato il dito contro gli Stati Uniti per l’inasprimento delle sanzioni economiche, che hanno ridotto i ricavi dell’industria petrolifera venezuelana, impossibilitata a estrarre per via delle ristrettezze economiche.
Secondo un recente report della società di trader IG, anche Iraq e Angola appoggiano Iran e Venezuela. Una view che si evince - nota l’azienda - dalle dichiarazioni dei rispettivi ministri del petrolio. Stesso comportamento si aspetta anche dalla Libia, nel pieno di una guerra civile che ha praticamente reso nulla ogni istituzione del Paese.
Un segnale più preciso della sua decisione potrebbe arrivare dalle ultime news, che parlerebbero di una conquista degli impianti petroliferi di Ras Lanouf e Al Sidra da parte delle truppe di Haftar; queste ultime stanno dando vita a una sorta di scontro tutti contro tutti che vede protagonisti il Governo di Tobruk sostenuto da Egitto, Russia e Francia, il Governo d’Accordo Nazionale di Al Serraj appoggiato da Stati Uniti e Regno Unito, la Fazione del Congresso Generale sostenuta da Turchia e Qatar e la Fazione di Benghazi e dell’esercito dello Stato Islamico.
Accordi: ruoli cruciali per USA e Russia
La Russia - Paese non OPEC - vuole tornare a produrre di più, cosa che si evince chiaramente anche dalle parole del ministro dell’energia Alexander Novak, che preme per un incremento di almeno 300 mila barili al giorno.
Mentre gli Stati Uniti - nota ancora IG - sono alle prese con problemi alle infrastrutture emersi con l’eccesso di petrolio, e dovranno necessariamente realizzare nuovi oleodotti, ampliare i porti e aumentare il numero di raffinerie. La loro posizione sembra comunque soggetta a forti strattoni, considerando la guerra commerciale in pieno corso e la spada di Damocle rappresentata da eventuali dazi imposti dalla Cina sui prodotti legati al petrolio.
Per quanto riguarda i prezzi petroliferi, secondo IG la due giorni di Vienna porterà a una riduzione dei corsi dei prodotti legati al petrolio:
“Ci aspettiamo che i corsi del Brent possano scendere fino a 72 dollari al barile nel corso delle prossime cinque sedute e il WTI verso 64 dollari al barile”.
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