Riforma pensioni: la legge di Bilancio è in Parlamento, al suo interno ufficializzati i provvedimenti in favore di Ape Social, RITA, donne e lavoratori precoci.
Riforma pensioni: con l’approdo in Parlamento della legge di Bilancio 2018 sono ora ufficiali tutti i provvedimenti decisi dal governo, che è intervenuto a riguardo dell’Ape Social, dei lavoratori precoci, delle donne e della RITA.
Non ci sarà spazio nella riforma delle pensioni invece per tutti gli altri temi avallati dai sindacati, con l’unica novità dell’ultimo minuto che potrebbe riguardare soltanto l’esclusione di 11 categorie di lavoratori dall’innalzamento a 67 anni dell’età pensionabile.
Riforma pensioni: arriva l’ufficialità
Da questa mattina la legge di Bilancio 2018 inizia ufficialmente il suo iter parlamentare. Il primo passo sarà quello della sua valutazione nelle varie commissioni, poi a metà novembre il testo dovrebbe approdare al Senato.
Al suo interno è presente anche la tanto agognata riforma delle pensioni, che nelle intenzioni di governo e sindacati doveva essere la conclusione delle lunghe trattative per cercare di mettere più di una pezza alla riforma Fornero che ha scontentato un po’ tutti.
Con l’ufficialità dei provvedimenti presenti nella riforma è lampante però che questa cosiddetta Fase 2 delle pensioni sia stata quasi totalmente disattesa. Sono poche infatti le richieste dei sindacati che sono state soddisfatte dall’esecutivo.
Le novità maggiori riguardano l’Ape Social che è stata prorogata di un anno, con la sua scadenza che adesso è fissata al 31 dicembre 2019. Le donne poi potranno beneficiare di uno sconto di sei mesi per ogni figlio, anche se è stato adottato, fino a un massimo di due anni.
Viste poi le tante domande pervenute che sono state respinte, si è deciso di allargare la platea di chi può richiedere l’Ape Social: ora anche chi non lavora in quanto si è visto scadere un contratto a termine può rientrare, mentre prima l’accesso era riservato solo a chi era stato licenziato.
Oltre alla proroga anche dell’Ape Volontaria sempre al 31 dicembre 2019, nella riforma c’è anche il beneficio di poter andare in pensione dopo 41 anni di contributi per quei lavoratori precoci che hanno svolto almeno 19 mesi di lavoro effettivo prima del compimento dei 19 anni.
Infine ci sono novità anche per quanto riguarda la RITA, ovvero la rendita integrativa anticipata volontaria. Oltre alla sua stabilizzazione che quindi andrà oltre il 2018, il provvedimento viene allargato anche a chi ha maturato l’età anagrafica per la pensione di vecchiaia nel regime obbligatorio entro i 5 anni successivi, a patto però che risulti cessato il rapporto di lavoro.
Una riforma a metà
In questo lungo braccio di ferro tra governo e sindacati in merito alla riforma delle pensioni, alla fine il vincitore è senza dubbio il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Nonostante il clima da campagna elettorale, Palazzo Tesoro infatti è riuscito a resistere alle pressioni provenienti dai partiti della maggioranza.
Essendo un “tecnico” e quindi slegato da ogni logica partitica ed elettorale, Padoan ha alzato il proverbiale muro quando dal Partito Democratico sono arrivate richieste per allargare un po’ di più la cinta per quanto riguardo i soldi destinati alle pensioni.
Con Bruxelles sempre più che mai vigile nel controllare ogni mossa del governo, alla fine nella legge di Bilancio 2018 i fondi dedicati alla riforma sono stati molto contenuti, visto che il grosso del budget destinato agli investimenti, 20 miliardi, è stato utilizzato per fermare l’aumento dell’Iva, una misura questa dal costo superiore ai 15 miliardi.
Se poi ci mettiamo i rinnovi dei contratti per quanto riguarda gli statali e le misure prese per favorire l’entrata nel mondo del lavoro da parte dei giovani, ecco che è facile fare due conti e vedere che per le pensioni a disposizione era rimasto ben poco.
La battaglia più dura è quella che si è giocata sul tema dell’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni a partire dal 2019. Dopo aver capito che era impossibile imporre subito uno stop, si è iniziato a parlare di una possibile sospensione di sei mesi.
Visto che però anche questa seconda ipotesi sembrerebbe essere tramontata, uno stop all’innalzamento potrebbe costare 2,5 miliardi soldi che al momento non ci sono, l’unico provvedimento per alleggerire il testo potrebbe essere l’esenzione dai 67 anni delle 11 categorie, le stesse che valgono anche per l’Ape Social, considerate come lavori gravosi.
Dopo tanti incontri e dichiarazioni ecco dunque che la riforma delle pensioni ha trovato la sua stesura finale. I sindacati non hanno fatto nulla per nascondere tutta la loro delusione per i tanti punti da loro presentati che sono stati disattesi, ma nonostante l’aria da campagna elettorale questa volta il governo si è dimostrato più che intransigente nel non voler creare ulteriore debito pubblico per soddisfare le richieste arrivate sul suo tavolo.
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