Questa banca italiana è una mina che rischia di far saltare un intero sistema di aiuti?

Laura Naka Antonelli

22 Settembre 2025 - 16:10

Un conto salato a carico dei contribuenti italiani di oltre 1,1 miliardi, che si accompagna alla decisione del ministro Giorgetti di lanciare già un riordino di questo strumento.

Questa banca italiana è una mina che rischia di far saltare un intero sistema di aiuti?

C’è una banca italiana nello specifico che sta rischiando, con i suoi guai, di far saltare un intero sistema: quello delle garanzie pubbliche sui prestiti, la cui revisione è auspicata dal ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti, come ha detto lui stesso già lo scorso 11 luglio 2025 in via ufficiale, nel corso del suo intervento all’Assemblea annuale ABI, Associazione bancaria italiana.

Il dossier delle garanzie pubbliche sui prestiti erogati dalle banche è qualcosa che staziona da un po’ sul tavolo del governo Meloni, e in particolare del MEF, il ministro dell’Economia e della Finanze, visto che Giancarlo Giorgetti aveva già parlato della necessità di procedere a una revisione del sistema delle garanzie pubbliche sui prestiti.

Ora, sulla scia dello scandalo-shock di Banca Progetto, più che di una revisione di questo sistema di aiuti, c’è chi sta paventando una vera e propria stretta che finisca con il danneggiare tutta la rete di imprese che hanno potuto contare sulla stampella di questo strumento di Stato.

Strumento di Stato che ha continuato a essere cospicuo, come ha ricordato l’analisi “Le garanzie pubbliche ai prestiti delle imprese restano su valori elevati”, pubblicata qualche mese fa dall’Osservatorio sui conti pubblici.

Analisi che ha ricordato in primis che cosa si intende per questo sistema di aiuti, che ha blindato sia le banche che le imprese, agevolando il fluire del credito a favore delle PMI:

Le garanzie pubbliche sono strumenti che facilitano l’accesso al credito per le imprese, poiché in caso di insolvenza sarà lo Stato a coprire (parzialmente o totalmente) le perdite della banca ”.

Il ruolo centrale di questi strumenti è stato rimarcato nel corso del suo intervento all’ABI dello scorso luglio, dal ministro Giancarlo Giorgetti, che ha sottolineato che “ è altresì innegabile che sull’accesso al credito di imprese e famiglie è stato centrale il ruolo delle garanzie pubbliche , che hanno giocato un ruolo cruciale come dimostrato dai dati registrati”.

Nel premettere che le garanzie pubbliche sono “passività potenziali – dove lo Stato interviene solo se le garanzie vengono escusse, cioè se i prestiti non vengono rimborsati” e nel ricordare che “al 31 dicembre 2024, l’esposizione dello Stato in relazione ai finanziamenti concessi dal sistema bancario era pari a circa 294 miliardi di euro, ovvero il 13% circa del PIL”, Giorgetti aveva anche sottolineato la necessità di cambiare prospettiva, anticipando le mosse in questo campo del governo Meloni:

Le garanzie pubbliche continueranno a svolgere il loro ruolo di supporto in tutti quegli ambiti caratterizzati da parziali fallimenti di mercato, e a servire come strumento di leva, funzionale a recuperare anche una maggiore compartecipazione da parte del sistema bancario”.

Ma, aveva aggiunto Giorgetti, “ occorre uscire da una logica emergenziale , dove una forma di condivisione dei rischi tra il pubblico e il privato era necessaria data la eccezionalità delle crisi da affrontare, e tornare al ‘business as usual’ dove il banchiere, nel pieno della propria autonomia imprenditoriale, svolge la sua funzione di valutazione e selezione del merito creditizio, colmando l’asimmetria informativa e fungendo da ponte tra chi decide di risparmiare e chi chiede risparmio per impiegarlo in modo produttivo”.

Il dossier delle garanzie pubbliche e del loro destino è stato affrontato anche più di recente, lo scorso 20 settembre, pochi giorni dopo che è scoppiato quello che il M5S aveva già definito “il bubbone” Banca Progetto, la banca che aveva negato alla fine del 2024 di avere alcun problema nel momento in cui erano scattati i primi alert, quando dai rumor di mercato si era appreso che era scattata una indagine su finanziamenti per un valore di 10 milioni di euro a società legate alla ’ndrangheta. E la banca che, a dispetto delle rassicurazioni fornite ai clienti dallo stesso ormai ex AD Paolo Fiorentino, era stata commissariata da Bankitalia, finendo ufficialmente in amministrazione straordinaria il 21 marzo di quest’anno.

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La svolta, se di svolta si può parlare, c’è stata poi in data 15 settembre 2025, dunque neanche 10 giorni fa, quando si è appreso che Banca Progetto ha annunciato la decisione dei suoi commissari straordinari di “ sottoscrivere la proposta di ricapitalizzazione delle cinque maggiori banche italiane e del FITD ” per il salvataggio dell’istituto.

La banca, secondo il piano, dovrebbe essere salvata dunque dall’FITD, il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, insieme alle cinque banche italiane più grandi, ovvero: Monte dei Paschi di Siena S.p.A., Banco BPM, BPER Banca, Intesa Sanpaolo, UniCredit S.p.A. Valore dell’operazione: 400 milioni di euro circa.

La vera cifra del danno intero, tuttavia, tra l’altro a carico dello Stato, sarebbe molto più alta, così come è stato riportato qualche giorno fa da un articolo de La Stampa, il cui titolo ha detto tutto: “ Banca Progetto, crac a carico dello Stato: incubo da 1,1 miliardi ”.

L’articolo ha spiegato di fatto che il crac dell’istituto di credito “rischia di costare fino a 1,1 miliardi ai contribuenti”. Insomma, roba da bailout, visto che il costo per salvare l’istituto graverebbe sulle spalle dei cittadini italiani. Questa è questa di fatto la cifra a cui perviene considerando i crediti deteriorati della banca.

In tutto, NPL (Non Performing Loans) che sono saliti nel tempo fino a 1,5 miliardi di euro, di cui ben 1,15 miliardi coperti proprio dalle garanzie pubbliche, dunque garanzie da parte dello Stato attraverso MCC e SACE. “Nei conti dell’istituto commissariato le garanzie di SACE e MCC sui crediti verso le PMI”, ha scritto infatti La Stampa.

Non solo scandalo: Banca Progetto a questo punto è un vero e proprio imbarazzo di Stato, che rischia di perorare ancora di più la causa del ministro delle Finanze Giancarlo Giorgetti di effettuare un riordino del sistema delle garanzie pubbliche sui prestiti.

Molto probabilmente non a caso, il titolare del Tesoro ha infatti sottolineato l’altro ieri sabato 20 settembre, nel corso di un suo intervento in videocollegamento con il festival di Open, che in Italia è necessario tornare a “un sistema più ordinario”.

Ovvero? “Questo non significa uscire dal sistema delle garanzie pubbliche, ma sicuramente un riordino è necessario ” .

D’altronde, ha continuato Giorgetti, “ho detto già molto chiaramente, all’ABI e all’ACRI, da due anni a questa parte, che quello era un meccanismo immaginato per una situazione eccezionale ” e che, per l’appunto, “quando si esce dalla situazione eccezionale, come siamo usciti dal Superbonus, così dobbiamo, in modo intelligente, mirato e graduale uscire anche da questo sistema di garanzie pubbliche ”.

Poi, così il titolare del Tesoro, con quella che è sembrata una vera e propria stoccata al caso Banca Progetto: “Il merito di credito deve essere valutato dal banchiere, non può essere che poi la perdita inesorabilmente debba andare a carico dello Stato. Dobbiamo tornare a un sistema più ordinario”.

Sempre alle garanzie pubbliche Giorgetti si è riferito quando ha perorato l’altra causa: quella di far sì che le banche italiane diano un contributo alla legge di bilancio 2026, visto che gli istituti, parole sue, “saranno ben consapevoli del tipo di aiuto che anche lo Stato ha dato direttamente o indirettamente al sistema bancario ”, proprio sotto forma di garanzie pubbliche ai prestiti. Motivo per cui, ha aggiunto Giorgetti, “quando il governo ha bisogno del sistema bancario, ci dovrebbe essere un minimo di reciprocità ”.

Il punto, è che, così come ha scritto La Repubblica qualche giorno fa, commentando il caso di Banca Progetto, il M5S teme che si possa ripresentare un nuovo taglio alle aliquote di copertura e che, a farne le spese, siano ovviamente le PMI, piccole medie imprese italiane.

Il quotidiano ha puntualizzato che il timore del Movimento 5 Stelle è che il governo Meloni decida di tagliare le soglie di garanzia sui prestiti, dopo che già da quest’anno l’aliquota sui finanziamenti di liquidità è scesa dal 60-55% al 50%

A quanto filtra l’esecutivo Meloni vorrebbe ulteriormente tagliare le soglie di garanzia statale sui prestiti bancari attraverso il Fondo centrale delle pmi. Uno strumento che, durante e dopo la pandemia, ha prima tenuto a galla e poi rilanciato l’economia italiana”, hanno avvertito i parlamentari del M5S.

Questo, mentre La Repubblica ha ricordato che questo stesso fondo centrale delle PMI scade alla fine di quest’anno.

Ma qual è il pericolo reale, per questo fondo centrale delle PMI, per le garanzie pubbliche, e dunque per le PMI? Intanto, vale la pena di ricordare che, con la precedente legge di bilancio 2025 stilata nell’autunno del 2025, il governo Meloni, come ha sintetizzato Unioncamere, ha apportato cambiamenti alle coperture del Fondo di Garanzia PMI, introducendo variazioni che hanno interessato le aliquote, i beneficiari e i massimali.

Tra queste, “ è scesa la copertura per le operazioni finalizzate ad esigenze di liquidità mentre invece sono saliti alcuni importi massimi ed è stata estesa la garanzia alle piccole imprese sotto i 250 dipendenti”, mentre “la percentuale di garanzia sui prestiti alle PMI per esigenze di liquidità è passata dal precedente 55-60% (a seconda del rating) al 50% (come ha denunciato il M5S). Di contro, è rimasta invariata la percentuale all’80% per le operazioni finalizzate a programmi di investimenti e startup”.

Prima di lanciare un allarme, vale la pena però di ricordare che il sottosegretario al MIMIT (Ministero delle Imprese e del Made in Italy, Massimo Bitonciha ipotizzato che (il Fondo di Garanzia) possa essere prorogato in manovra come già fatto l’anno scorso per un solo anno”.

Così infatti il sottosegretario al Ministero, nel commentare la possibilità di rendere strutturale il Fondo di garanzia per le PMI, parlando all’agenzia Public Policy lo scorso 17 settembre 2025, dopo la riunione di maggioranza sul DDL PMI, all’esame della commissione Industria del Senato:

“È chiaro che il MIMIT sarebbe favorevole a renderlo strutturale sugli stessi parametri del 2025, anche perché in base ai nostri calcoli il Fondo non avrebbe bisogno di ulteriori finanziamenti da parte del MEF per il 2026: il fondo si alimenterebbe alle stesse condizioni. Ma trattandosi di uno di quegli strumenti condivisi con il MEF dobbiamo sentire il loro parere. Per noi si potrebbe rinnovare anche nella legge annuale sulle PMI, ma è possibile che l’intervento invece venga inserito in legge di Bilancio o nel collegato fiscale”.

Certo, il caso di Banca Progetto e la fine che hanno fatto quelle garanzie pubbliche, unito all’intenzione di Giorgetti di avviare un processo di revisione delle stesse, fomentano le preoccupazioni su cosa accadrà a questo Fondo, dunque alle garanzie pubbliche sui prestiti delle banche, e dunque al futuro delle stesse PMI. Certo, quanto accaduto a Banca Progetto, che è tra l’altro proprio una banca specializzata nei servizi per le piccole e medie imprese italiane e per la clientela privata, non depone molto a favore del sistema delle garanzie pubbliche sui prestiti che, secondo Giorgetti, sarebbe diventato già di per sé superfluo, visto che alcune condizioni di emergenza ormai non sussistono più. Vero è che proprio le garanzie pubbliche permettono dall’altro lato al governo Meloni di avere più di una giustificazione per pretendere che, a fronte della permanenza di questi strumenti, le banche italiane tutte contribuiscano a finanziare la legge di bilancio 2026.

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