Un futuro senza lavoro e con tanto tempo libero? Musk e Gates ne sono convinti, ma non sono i soli: ne ha parlato anche il premio Nobel Geoffrey Hinton.
L’intelligenza artificiale cambierà il mondo del lavoro, ma anche, e forse soprattutto, le nostre vite. Ne sono certi Bill Gates ed Elon Musk, che già da tempo annunciano una trasformazione radicale dell’organizzazione sociale che comporterà meno ore in ufficio e più tempo libero grazie a una produttività affidata alle macchine più che all’essere umano.
Se oggi la discussione pubblica ruota attorno all’ipotesi di una settimana corta da quattro giorni, nel futuro immaginato da Musk un dibattito del genere non avrà più ragione di esistere. Il fondatore di Tesla e SpaceX prevede infatti che, entro un paio di decenni, lavorare diventerà una scelta personale e non più una necessità economica.
Ma quanto queste previsioni possono essere considerate attendibili? Molto più di quanto si pensi. Geoffrey Hinton, uno dei padri dell’AI moderna e recente premio Nobel per la Fisica, ha infatti rafforzato ulteriormente questo scenario, confermando che il percorso intrapreso dall’innovazione tecnologica va proprio in quella direzione. Secondo il ricercatore britannico, la sostituzione massiva della forza lavoro umana non è un’ipotesi futuristica, ma una prospettiva reale. Si tratta infatti della logica conseguenza di investimenti miliardari che le grandi aziende tech stanno destinando a modelli linguistici avanzati e infrastrutture di calcolo sempre più potenti.
Se Hinton ha ragione, e va detto che la sua voce è tra le più autorevoli del settore, ci stiamo avvicinando a un futuro in cui l’essere umano non sarà più necessario nella maggior parte delle mansioni, in cui c’è la promessa più libertà e più tempo per sé. Ma allo stesso tempo apre interrogativi enormi sulla sostenibilità economica, come pure sulla redistribuzione della ricchezza nonché sul ruolo stesso della persona in una società completamente automatizzata.
Il futuro senza lavoro secondo Musk e Gates
Prima di analizzare la posizione di Hinton, facciamo un passo indietro ricordando cosa hanno dichiarato due tra i massimi visionari di quest’epoca, Elon Musk e Bill Gates. Entrambi non si sono mai nascosti nel fare previsioni sull’AI, ad esempio dichiarando quali lavori rischiano di sparire o quali invece sopravvivranno alla rivoluzione, o persino parlando di un vero e proprio addio all’obbligo di lavorare per poter guadagnare.
Nel dettaglio, Musk immagina un’epoca in cui lavorare sarà una scelta, non più una necessità economica. Secondo lui, nel giro di 10 o al massimo 20 anni la diffusione di robot umanoidi e sistemi di intelligenza artificiale sarà tale da rendere obsoleto l’intervento umano in gran parte delle attività quotidiane. Per questo motivo le persone potranno decidere di dedicarsi al lavoro come oggi si decide di coltivare un orto: un gesto di passione, non fondamentale ai fini della sopravvivenza.
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Gates, dal canto suo, non spinge così tanto sull’acceleratore, ma la sostanza della sua visione è molto vicina. Da tempo sostiene che la settimana lavorativa potrebbe ridursi drasticamente, forse addirittura a 2 o 3 giorni. Non parla quindi di un mondo senza lavoro, ma in cui la quantità di lavoro richiesta non sarà più sufficiente a occupare l’intera settimana. Secondo Gates l’intelligenza artificiale prenderà in carico una parte consistente delle mansioni, incluse quelle oggi considerate altamente qualificate come la medicina o l’insegnamento. Agli esseri umani resteranno attività più creative, relazionali o semplicemente quelle che il pubblico preferirà continuare a vedere svolte da altre persone.
La posizione di Geoffrey Hinton
Se state pensando che le previsioni di Musk e Gates possano sembrare perlomeno ardite, dovete sapere che il premio Nobel Geoffrey Hinton le considera invece uno scenario inevitabile. Il ricercatore britannico, nonché uno dei padri fondatori dell’intelligenza artificiale, osserva infatti il futuro del lavoro da una prospettiva diversa, ritenendolo il risultato di una trasformazione economica già in corso. Secondo Hinton, i colossali investimenti che le grandi aziende stanno riversando in data center, modelli linguistici e robotica avanzata hanno infatti il chiaro obiettivo di sostituire il lavoro umano con macchine che oltre a essere più veloci e affidabili sono anche da considerare più economiche.
E va specificato che questa direzione non nasce dalla voglia di perseguire l’ideale utopico di una società senza lavoro. È un vero e proprio calcolo industriale che ha come obiettivo la riduzione dei costi e l’aumento dei margini di guadagno, così da consolidare il potere nelle mani di chi controlla le infrastrutture dell’AI.
Secondo Hinton, quindi, non dobbiamo porci più solo la domanda se le macchine prenderanno il nostro posto: dobbiamo interrogarci sul quando, e soprattutto su quali saranno le conseguenze. Questo, d’altronde non nasconde la sua preoccupazione, specialmente per l’impatto sociale di un’automazione spinta che rischia di ampliare le disuguaglianze, concentrando ricchezze e strumenti decisionali in un numero sempre più ristretto di attori.
La sua quindi non è una visione ottimistica, anzi. Perché l’AI sostituirà un numero enorme di lavoratori, non solo nelle mansioni ripetitive ma anche in professioni complesse, dal momento che la logica economica che guida gli investimenti punta precisamente a questo. Il problema, secondo Hinton, è che l’umanità non sta ancora riflettendo seriamente su come gestire un cambiamento di tale portata.
Quindi, pur condividendo l’idea che l’AI possa liberarci da molte incombenze, Hinton insiste su una verità meno rassicurante: la tecnologia non porta automaticamente beneficio alla collettività. Il futuro post-lavoro immaginato da Musk e Gates sarà possibile, e vantaggioso, solo se viene accompagnato da scelte politiche e sociali capaci di evitare che l’automazione diventi un moltiplicatore di disuguaglianze. E proprio per questo la sua voce, più che celebrare l’arrivo di un mondo senza lavoro, suona come un avvertimento e non come una promessa.
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