Pensioni, a rischio l’aumento di 660 euro

Simone Micocci

20 Agosto 2025 - 10:13

Pensioni, aumento di 660 euro nel 2026? Le intenzioni del governo messa a rischio dalla difficoltà di reperire le risorse necessarie.

Pensioni, a rischio l’aumento di 660 euro

Vi abbiamo parlato più volte della possibilità di una riforma fiscale che avrà come obiettivo quello di ridurre le imposte sui redditi, pensioni comprese. Un piano che nelle intenzioni del governo si sarebbe dovuto concretizzare già nel corso del 2025, salvo poi rinviarlo al prossimo anno.

L’intenzione è di tagliare l’aliquota Irpef per il ceto medio, quella che oggi comprende i redditi compresi tra 28.000 e 50.000 euro. Un’operazione che ricalca quella di qualche anno fa con cui primo (fino a 15.000 euro) e secondo (fino a 28.000 euro) scaglione sono stati accorpati con aliquota unica del 23%, a fronte di un risparmio annuo di massimo 260 euro.

A beneficiare dell’aumento sono stati anche i pensionati, i quali pagando meno Irpef si sono ritrovati con un netto più alto rispetto a quello calcolato con le vecchie regole. Adesso il governo vorrebbe, come previsto da legge delega, approvare un nuovo taglio dell’Irpef con l’aumento che nella migliore delle ipotesi arriverebbe a 660 euro l’anno.

Ma attenzione, perché al momento questa operazione è tutt’altro che scontata. Anzi, stando alle indiscrezioni delle vigilia, non sarà affatto semplice per il governo Meloni reperire le risorse necessarie a riconoscere, attraverso la riforma fiscale, un nuovo aumento delle pensioni in legge di Bilancio 2026.

Per chi sarebbe l’aumento di 660 euro della pensione

A differenza del primo taglio Irpef, di cui hanno beneficiato i redditi a partire da 15.000 euro per quanto il massimo vantaggio, con aumento di 260 euro, ci sia stato per al raggiungimento della soglia di 28.000 euro, questa volta il governo vorrebbe concentrarsi perlopiù sulla classe media.

L’intenzione, infatti, è di concentrarsi sul secondo scaglione, quello che oggi comprende la parte di reddito compresa tra 28.000 e 50.000 euro, tassata con aliquota del 35%. Questa potrebbe essere portata al 33% e nel frattempo, risorse permettendo, la soglia limite verrebbe portata a 60.000 euro.

A beneficiare dell’aumento, quindi, sarebbero tutti coloro che hanno un reddito, pensione compresa, che supera i 28.000 euro, per quanto più si resta vicini a questa soglia e più l’aumento è irrilevante. Ricordiamo infatti che solo la parte di reddito che rientra in quella determinata fascia viene tassato con l’aliquota di riferimento.

Pensiamo ad esempio a chi prende 30.000 euro di pensione. I primi 28.000 euro sono tassati al 23%, mentre i successivi 2.000 euro oggi lo sono al 35%. Laddove si passasse al 33% ne risulterebbe un risparmio del 2%, appena 60 euro l’anno.

Quindi, l’importo dell’aumento, o meglio del risparmio, va calcolato prendendo la quota di pensione che riferisce a quella fascia e applicandovi il 2% tagliato dalla riforma fiscale. Se ad esempio la pensione è di 50.000 euro, il risparmio sarebbe di 440 euro, mentre laddove il limite dovesse essere portato a 60.000 euro l’aumento massimo arriverebbe a 660 euro.

Perché l’aumento di 660 euro è a rischio

L’operazione, per quanto annunciata con convinzione dal governo, rischia di rimanere soltanto sulla carta (almeno per adesso). Ridurre l’aliquota Irpef dal 35% al 33% per la fascia di reddito tra i 28.000 e i 50.000 euro, con possibile estensione fino a 60.000 euro, comporterebbe infatti un costo notevole per lo Stato, stimato in diversi miliardi di euro di minori entrate fiscali.

Si tratta di risorse che al momento non sono disponibili, tanto più che la prossima manovra dovrà già farsi carico di altre spese inderogabili, come la rivalutazione delle pensioni, il finanziamento della sanità pubblica, il rinnovo dei contratti del pubblico impiego e il mantenimento delle misure di sostegno al lavoro e alle famiglie.

In questo contesto il ministro dell’Economia ha chiarito che il taglio delle tasse sarà possibile soltanto se accompagnato da coperture certe e strutturali, evitando quindi soluzioni temporanee che rischierebbero di creare squilibri nei conti pubblici.

Inoltre, sui margini di manovra pesano i vincoli europei in materia di bilancio e la necessità di mantenere la fiducia dei mercati finanziari, che guardano con attenzione all’andamento del debito italiano.

Ecco perché, nonostante l’intenzione politica di alleggerire il carico fiscale sul ceto medio e quindi anche sui pensionati, l’aumento massimo potenziale di 660 euro annui resta oggi altamente incerto e subordinato alla capacità del governo di reperire le risorse necessarie senza compromettere la stabilità economica complessiva.

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