Un’ipotesi di dazi aggiuntivi sulla pasta minaccia l’export italiano verso gli Stati Uniti, colpendo filiere e marchi simbolo. L’Italia chiede il ritiro della misura.
Gli Stati Uniti stanno valutando l’imposizione di un dazio anti-dumping pari al 91,74% su importazioni di pasta italiana, che si sommerebbe all’aliquota ordinaria del 15% già in vigore sulle merci provenienti dall’UE, facendo lievitare il costo complessivo al 107%.
Una misura drastica che, secondo il governo italiano e gli operatori del settore, rappresenterebbe un vero e proprio “schiaffo” al Made in Italy.
L’origine della controversia affonda le sue radici in un’indagine del Dipartimento del Commercio statunitense, che ha accusato due storici marchi italiani, La Molisana e Garofalo, di vendere pasta a prezzi “ingiustamente bassi” (dumping) nel periodo tra luglio 2023 e giugno 2024. L’accusa ha spinto le autorità USA a designare queste imprese come “mandatory respondents”, ossia soggetti sottoposti a verifica completa sui costi e sulle transazioni.
La misura rischia però di essere estesa ad altri esportatori senza ulteriori verifiche individuali e, per le aziende che esportano interamente dalla penisola italiana, l’impatto sarebbe particolarmente grave. Alcuni nomi già citati come potenzialmente coinvolti, oltre ai due principali, includono Barilla, Rummo, Agritalia, Sgambaro e altri.
Il governo italiano ha reagito con fermezza alla nuova minaccia di Trump. Roma sta infatti cooperando direttamente con la Commissione Europea per chiedere agli Stati Uniti di rivedere la decisione. In una dichiarazione ufficiale, il Ministero degli Esteri ha affermato di contestare le conclusioni dell’indagine e di offrire supporto alle imprese italiane tramite l’Ambasciata a Washington.
Le conseguenze sull’export e sui mercati globali
Gli Stati Uniti rappresentano un mercato chiave per la pasta italiana. Con circa 800 milioni di dollari di esportazioni, gli USA sono infatti tra i primi tre Paesi importatori del nostro prodotto nazionale. Nel 2024, l’export italiano totale ha superato i 4 miliardi di euro, con circa 2,5 milioni di tonnellate di pasta esportate.
Se il dazio al 107% venisse applicato, la pasta “Made in Italy” rischierebbe di diventare economicamente inaccessibile per molti importatori statunitensi. Il peso fiscale aggiuntivo verrebbe trasferito in parte sul consumatore finale americano, raddoppiando il prezzo e riducendo la competitività del prodotto italiano rispetto ad alternative locali o cosiddette “italian sounding” (prodotti che imitano l’originale).
Alcuni attori del settore definiscono il provvedimento una “mannaia” sul comparto, con possibili effetti di contrazione sull’occupazione, perdita di quote di mercato e rallentamento della crescita economica.
Confindustria ha già segnalato che i dazi americani e le tensioni geopolitiche complessive stanno pesando sulle prospettive export dell’Italia. La decisione rischia quindi di provocare anche una revisione al ribasso delle previsioni di crescita.
Ma l’effetto domino non è solo nazionale. L’Europa nel suo insieme potrebbe trovarsi sotto pressione da contromisure o da una crescita di prodotti sostitutivi e gli Stati Uniti potrebbero incentivare una filiera domestica più protetta, a scapito dei tradizionali partner europei.
Sul pratico, le imprese italiane coinvolte dovranno quindi valutare strategie di mitigazione tra cui la delocalizzazione parziale della produzione, outsourcing negli Stati Uniti, accordi con importatori per assorbire parte dei costi, o ricorso a strumenti legali come reclami doganali e meccanismi di arbitrato internazionale.
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