Nella Manovra di Meloni spunta una tassa sull’oro per salvare i dividendi

Laura Naka Antonelli

5 Novembre 2025 - 10:36

Legge di bilancio 2026, spunta l’idea di una tassa sulla rivalutazione dell’oro per allontanare l’incubo della stretta sui dividendi. Come funzionerebbe.

Nella Manovra di Meloni spunta una tassa sull’oro per salvare i dividendi

Della possibile nuova idea sfornata dai partiti di maggioranza di rastrellare risorse per finanziare la legge di bilancio 2026, ovvero di tassare l’oro, aveva parlato qualche giorno fa anche un articolo de Il Messaggero, dal titolo “Manovra, tassa sulla rivalutazione dell’oro per evitare l’aumento della cedolare: ecco come funziona”.

A spiegare la possibile nuova proposta è stato ieri direttamente Giulio Centemero, capogruppo della Lega in Commissione Finanze alla Camera, intervenendo all’evento Milano Capitali 2025, che è stato promosso da Class CNBC e da Milano Finanza.

Tassa sull’oro, la proposta di Giulio Centemero (Lega) per affrancare l’oro da investimento

Proprio un articolo di MF-Milano Finanza riporta quanto è stato detto dall’esponente della Lega Giulio Centemero, nell’edizione di oggi, mercoledì 5 novembre 2025:

“Sulle coperture, una proposta che sto cercando di portare avanti è l’affrancamento dell’oro da investimento, che cuba un buon quantitativo”.

L’idea di “ far emergere la crescita di valore che l’oro ha avuto negli ultimi anni” era stata suggerita anche da Maurizio Casasco, responsabile del dipartimento Economia di Forza Italia, qualche giorno fa, in un colloquio sempre con MF-Milano Finanza.

La Lega di Matteo Salvini e Forza Italia di Antonio Tajani si troverebbero dunque d’accordo almeno su questa proposta, dopo le tensioni esplose tra i due partiti da un po’ a causa di quella tassa sulle banche italiane che il Carroccio ha voluto a tutti i costi inserire nella legge di bilancio 2026, e che è stata invece osteggiata più volte da Tajani che, in diverse occasioni, ha definito il piano volto a colpire gli utili del settore bancario italiano una idea da Unione sovietica.

Tassa su rivalutazione oro post boom prezzi del bene rifugio. Il dietrofront dopo quel record

Alla base della proposta di tassare l’oro, il boom delle quotazioni del metallo prezioso che, prima delle scosse ribassiste che ne hanno affossato i prezzi nelle ultime sedute, era arrivato a schizzare oltre la soglia di 4.000 dollari l’oncia per la prima volta nella sua storia.

Nella sessione di ieri, il contratto spot sull’oro ha chiuso in calo dell’1,5% a quota $3.939,32, mentre i futures sul metallo prezioso hanno perso l’1,7% a $3.945,10 l’oncia.

I prezzi hanno scontato la rimonta del dollaro USA, che è balzato ieri al record degli ultimi tre mesi, sulla scia dello smorzarsi delle speculazioni su un ennesimo taglio dei tassi da parte della Fed di Jerome Powell nella prossima riunione di dicembre, a seguito della seconda sforbiciata consecutiva del 2025 annunciata alla fine di ottobre.

Tassa sull’oro per allentare la stretta sui dividendi dopo i vari alert sulle conseguenze

Tornando all’idea di tassare l’oro, la Lega e Forza Italia starebbero riflettendo sulla misura al fine di rastrellare risorse utilizzando questa via, allentando quella tassazione sui dividendi proposta con la manovra, che ha fatto drizzare le antenne sia a Confindustria che all’ANIA.

Diversi gli attenti che sono stati lanciati su quella misura presente nella legge di bilancio stilata dal governo Meloni e ora approdata al Parlamento.

Lo stesso Casasco di Forza Italia si era detto contrario al provvedimento, indicando la necessità di “ rivedere la nuova tassazione sui dividendi ”, e definendo la proposta “una misura che rischia di colpire pesantemente non solo le grandi società, ma anche le piccole e medie imprese ”.

Indiscrezioni sulla proposta di tassare il bene rifugio per l’eccellenza, ovvero l’oro, erano state riportate per l’appunto anche dal quotidiano Il Messaggero, che aveva spiegato la proposta di una tassazione sulla rivalutazione del metallo giallo, sottolineando come rivalutare significhi “ allineare tecnicamente il valore fiscale del bene di cui si dispone a quello reale di mercato ”:

“L’idea che si fa spazio tra i partiti di maggioranza è di introdurre un’aliquota secca sulla sua rivalutazione, come già fatto per terreni e partecipazioni nella legge di bilancio dello scorso anno. Con un’intuizione che per il metallo giallo potrebbe tirare tantissimo visti i prezzi schizzati di anno in anno. All’insegna di un rally dell’oncia che assomiglia a un Giano bifronte: se da un lato conferma un business redditizio e sicuro, dall’altro costituisce anche un bel freno per chi vuole disfarsi di lingotti e monete d’oro, vista l’aliquota sulla plusvalenze attualmente fissata al 26%. Prevedere un balzello del 18%, sforbiciando la tassa, potrebbe essere un bell’incentivo per chi intende vendere affidandosi alla rivalutazione”.

Come funzionerebbe la tassazione. Al vaglio opzione aliquota ridotta sulle plusvalenze

L’idea di Lega e di Forza Italia sarebbe in sostanza quella di considerare una tassazione sull’oro ispirata ai precedenti interventi su terreni e partecipazioni, ovvero di consentire ai possessori di oro di rivalutare il proprio investimento, aggiornandolo al valore di mercato attuale.

In cambio, verrebbe applicata un’imposta sostitutiva ridotta, ipotizzata intorno al 18%, invece dell’aliquota ordinaria del 26% prevista per le plusvalenze.

Chi scegliesse di aderire, al momento della vendita dell’oro pagherebbe meno imposte, poiché la plusvalenza verrebbe calcolata non più sul valore d’acquisto originario, ma su quello rivalutato.

In questo modo, il contribuente beneficerebbe di una tassazione più favorevole, mentre lo Stato incasserebbe subito un gettito fiscale anticipato.

Alert tassazione dividendi rilanciato da Confindustria

In questo modo, la stretta sui dividendi che sta allarmando diverse istituzioni italiane potrebbe essere allentata. Ieri, a invocare una riflessione sulla proposta della tassazione sulle cedole, è stato il direttore generale di Confindustria, Maurizio Tarquini che, in audizione al Senato sulla Manovra, ha sottolineato che “la Manovra - e non è una novità di quest’anno - presenta anche alcune criticità inattese”, identificando dette criticità in “interventi che minano l’affidamento dei contribuenti, la certezza del diritto e l’impatto positivo delle misure a sostegno degli investimenti”.

Tarquini ha puntato il dito proprio contro “l’inasprimento della tassazione dei dividendi infragruppo”, parlando di una “disciplina, dirompente anche rispetto a quello che accade oltre confine, dove si adottano analoghi sistemi di esenzione, e che cambierà radicalmente l’assetto proprietario dei gruppi italiani, penalizzando la nostra capacità di mantenere e attrarre capitali ”.

A scagliarsi contro la tassazione sui dividendi era stata giorni fa anche Assoholding, lanciando il seguente alert:

“Se approvata, la norma stravolgerebbe l’assetto vigente della tassazione dei dividendi, minando principi cardine della fiscalità d’impresa consolidati da oltre vent’anni e introdotti con la riforma IRES del 2003, che istituì il regime della dividend exemption con la finalità di garantire la neutralità fiscale e prevenire la doppia imposizione lungo la catena partecipativa”.

La disposizione che ha fatto saltare il mondo degli industriali e degli investitori sulla sedia, va ricordato, è l’articolo 18 del disegno di legge di Bilancio 2026 firmata dal governo Meloni, che “introduce una modifica sostanziale alla disciplina della distribuzione dei dividendi nell’ambito del reddito d’impresa, intervenendo sugli articoli 59 e 89 del TUIR (D.P.R. 917/1986)”.

L’articolo della Manovra di Meloni stabilisce che “a decorrere dal 1° gennaio 2026, le distribuzioni di utili, riserve o altri fondi deliberate da soggetti IRES possano beneficiare dell’esclusione dalla base imponibile — pari al 41,86% per gli imprenditori IRPEF e al 95% per i soggetti IRESsolo se la partecipazione nella società erogante non è inferiore al 10% ”.

A essere colpiti dalla tassazione su dividendi sarebbero nello specifico i soggetti IRES e i soggetti IRPEF in regime di impresa, dunque aziende e imprenditori IRPEF, che non beneficerebbero più, nel caso in cui detengano partecipazioni in società inferiori alla soglia del 10%, di quel regime di esenzione dalle imposte dirette degli utili redistribuiti.

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