La Lega di Salvini contro le banche italiane, cedano parte utili per la rottamazione fiscale. Ma Tajani dice do. Lo studio di Unimpresa.
La Lega rincara la dose contro gli utili delle banche italiane, dopo i nuovi affondi contro il settore lanciati la scorsa settimana dal suo segretario, vicepremier e ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, Matteo Salvini.
Come in ogni agosto che si rispetti da quando è nato il governo Meloni, al centro del dibattito politico torna la questione dei profitti che gli istituti di credito italiani macinano.
Troppi utili, secondo la Lega, che non parla più di extraprofitti - termine che non ha neanche ragione di esistere, in quanto gli extraprofitti non esistono -. Detto questo, il partito di Salvini insiste: le banche fanno troppi profitti.
Rottamazione cartelle, Lega: banche cedano parte dei loro maxi profitti
E così, dopo Salvini che, parlando dal palco della Festa Lega in Romagna ha fatto non poca confusione nel presentare i numeri relativi al bilancio di UniCredit è la Lega che, con una nota ad hoc, sforna la nuova idea contro le banche:
“Ridurre le tasse a chi lavora è la priorità della Lega. Mentre nel solo 2024 le banche hanno guadagnato oltre 46 miliardi di euro, milioni di italiani sono in difficoltà con cartelle esattoriali e debiti del passato”.
Che c’entrano le banche con questo? C’entrano eccome, visto che, rimarca il Carroccio, “ pace fiscale e definitiva rottamazione delle cartelle, con arretrati da pagare in rate mensili uguali in dieci anni (senza sanzioni e interessi), sono priorità assolute, vantaggiose per lo Stato e per i cittadini. E se per arrivarci le banche dovranno cedere una minima parte dei loro giganteschi utili, per la Lega sarà giusto farlo ”.
La nota della Lega è arrivata dopo la diffusione di altre indiscrezioni, relative sempre alla guerra che la Lega ha a quanto pare intenzione di rinnovare contro il settore bancario italiano, ’reo’ di aver incassato troppi profitti. Fonti della Lega hanno così sottolineato, stando a quanto riportato nella giornata di ieri, 3 agosto 2025, dall’agenzia di stampa Ansa:
“Quanto danno le banche a chi presta loro soldi? Lo 0,…% Quanto chiedono le banche per prestare (con sempre maggior difficoltà) soldi? Il 5, 6, 7% Che una parte di questi maxi-profitti venga restituita per aiutare imprenditori e lavoratori in difficoltà è giusto, è economicamente e moralmente doveroso”.
Dichiarazioni che ricalcano esattamente quanto aveva detto lo stesso Matteo Salvini parlando dal palco allestito a Cervia, sulla riviera romagnola, per la Festa della Lega Romagna, quando aveva accusato le banche di dare troppi pochi interessi ai cittadini italiani che depositano i loro risparmi nei conti correnti o conti deposito e di continuare a chiedere troppo a chi bussa alle loro porte per ricevere credito.
Tajani, “furia contro banche non ha senso, tetto profitti concetto da Unione Sovietica”
Ma, come in ogni anno che si rispetti, a opporsi alle richieste della Lega contro le banche è stato anche stavolta il segretario generale di Forza Italia, Antonio Tajani, che aveva rimandato al mittente le proposte anti-banche della Lega anche nel corso delle ultimi due anni.
“ Dobbiamo difendere il sistema bancario . Certo che devono rispettare le regole e pagare le tasse, come tutti, ma non dobbiamo partire all’assalto delle banche come se fosse un’assalto alla diligenza ”, ha detto il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, intervenendo agli Stati Generali del Mezzogiorno promossi da Forza Italia a Reggio Calabria, nella giornata di ieri.
Tajani ha poi aggiunto:
“Attenzione a non distruggere un sistema di raccolta di risparmi e di erogazione di prestiti che è fondamentale per reggere l’intera economia di un Paese che è la seconda potenza industriale europea ed è la quarta o quinta potenza commerciale al mondo”.
Tajani ha rimarcato di essere contrario a qualsiasi “aumento delle tasse contro chicchessia”, facendo riferimento a “ una furia anti banche ” che “ non ha senso ”, e aggiungendo che “ stabilire il tetto del profitto è un concetto da Unione Sovietica, da Paese dittatoriale ”.
Ancora, il ministro degli Esteri:
“Io credo che si debba lavorare per far sì che le banche possano essere strumento fondamentale. Non serve fare una guerra contro chi guadagna”.
La questione della tassa sugli extraprofitti, anche senza la parola extraprofitti, torna dunque alla ribalta, così come era stato anche nell’estate del 2024, e nel pieno della stagione delle trimestrali delle banche italiane, che entra ancora più nel vivo questa settimana, visto che a pubblicare i loro conti saranno diversi altri istituti di credito. Nelle ultime due settimane, protagonisti sono stati gli utili record di UniCredit e di Intesa SanPaolo.
Oggi forti acquisti sulle azioni delle banche italiane sull’indice Ftse Mib di Piazza Affari, grazie alle ultime notizie che hanno interessato il settore e che hanno visto protagonisti i risultati degli stress test sulle banche europee che sono stati condotti dall’EBA, Autorità bancaria europea e dalla BCE. In evidenza la performance migliore delle attese, rispetto alla media, delle Big del credito italiano.
Unimpresa su banche italiane, pressione fiscale “paradisiaca”
Tutto questo, mentre Unimpresa ha diramato una nota con cui ha presentato quanto le banche italiane versano al fisco, parlando di una pressione fiscale “paradisiaca” per il settore.
È quanto è emerso per la precisione da una analisi del Centro studi di Unimpresa stilata sulla base dei dati di Bankitalia:
“Nel 2024, gli istituti di credito del nostro Paese hanno realizzato 46,5 miliardi di euro di utili netti, a fronte dei quali hanno versato al fisco 11,2 miliardi. Ne deriva un tax rate effettivo - cioè il rapporto tra le imposte pagate e i profitti - pari al 24,2%. Nello stesso anno, il fatturato complessivo del comparto bancario è salito a 110,1 miliardi, con un margine d’interesse da attività di prestito pari a 64,4 miliardi. Si conferma così un trend già strutturale: negli ultimi sette anni, dal 2018 al 2024, le banche italiane hanno generato utili netti cumulati per 162 miliardi di euro, su cui sono state versate imposte per 33,9 miliardi, con un’incidenza media del 20,9%”.
Sempre nel periodo di tempo considerato, ha aggiunto Unimpresa, le banche italiane, oltre a utili netti cumulati per 162 miliardi di euro, “hanno incassato ricavi per 626,3 miliardi di euro, sostenendo costi per 391,3 miliardi”, e riportando margini d’interesse complessivi per 331,2 miliardi.
“In media”, ha continuato Unimpresa, “ ogni anno le banche italiane hanno prodotto 89,5 miliardi di ricavi, di cui 47,3 miliardi derivanti dall’attività creditizia, ottenendo utili netti per 23,1 miliardi e versando imposte pari a 4,8 miliardi, con una pressione fiscale effettiva nettamente inferiore a quella di imprese e lavoratori, che si attesta ben oltre il 40%”.
L’associazione ha così calcolato che “in 7 anni, il tax rate medio del settore si attesta appena sopra il 20%”, definendo insostenibile il confronto con le piccole e medie imprese, spesso schiacciate da un prelievo che supera il 60% degli utili.
Banche italiane e fisco, Spadafora (Unimpresa): non chiediamo nuove tasse, ma...
Così ha commentato il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora:
“È evidente che siamo di fronte a una pressione fiscale assai distante – e più leggera – rispetto a quella che grava sul sistema produttivo nazionale, soprattutto sulle piccole e medie imprese, costrette a operare con un carico fiscale reale che spesso supera il 60%. Non si tratta di criminalizzare il sistema bancario, ma di aprire un confronto serio sulla giustizia fiscale e sull’equilibrio tra i diversi attori economici. È lecito chiedersi se sia sostenibile, in un Paese che fatica a finanziare welfare, scuola, sanità e infrastrutture, mantenere un’imposizione così ridotta su uno dei comparti più redditizi, cresciuto a dismisura grazie alle politiche monetarie restrittive della Banca centrale europea. Occorre una riflessione politica, lucida e non ideologica, su come redistribuire più equamente il carico fiscale. Non chiediamo nuove tasse per decreto, ma un sistema più trasparente e coerente, che non penalizzi chi produce, investe e assume, e che restituisca un senso di equità a tutto il sistema. Altrimenti, il rischio è che si approfondisca ancora di più la frattura tra l’economia reale e la finanza”.
La nota di Unimpresa ha proseguito snocciolando i numeri relativi agli utili netti, ai ricavi e alle imposte che sono state versate dalle banche italiane in ogni anno, relativo all’arco temporale compreso tra il 2018 e il 2024, citando i dati di Bankitalia.
Ricavi, utile netto, imposte versate dalle banche italiane nel 2018-2024
Secondo il Centro studi di Unimpresa, che ha analizzato la base statistica della Banca d’Italia, nel 2024 i ricavi totali del settore bancario italiano sono stati pari a 110,1 miliardi, i costi 58,6 miliardi, l’utile netto 46,5 miliardi e le imposte versate 11,2 miliardi (tax rate 24,2%).
Andando a ritroso:
- Nel 2023, i ricavi erano 102,7 miliardi, con 57,2 miliardi di costi, 40,6 miliardi di utili e 8,2 miliardi di tasse, pari al 20,1%.
- Nel 2022, ricavi a 88,2 miliardi, costi a 55,6 miliardi, utili per 25,5 miliardi, imposte versate 4,3 miliardi (tax rate 17,1%).
- Nel 2021, ricavi per 82,6 miliardi, costi 55,6 miliardi, utili per 16,4 miliardi, imposte 2,3 miliardi (13,8%).
- Nel 2020, in piena pandemia, i ricavi sono stati 78,2 miliardi, i costi 55,6 miliardi, l’utile netto 2,2 miliardi, ma le imposte versate sono state 1,4 miliardi, pari al 61,5%.
- Nel 2019, i ricavi erano 82,3 miliardi, i costi 53,9 miliardi, l’utile 15,8 miliardi, e le imposte 4,5 miliardi (28,2%).
- Nel 2018, ricavi per 82,3 miliardi, costi per 54,8 miliardi, utili pari a 15,1 miliardi, e imposte pagate 2,1 miliardi (13,6%).
“Il quadro che emerge è di una fiscalità molto più favorevole rispetto a quella sostenuta dal resto del tessuto produttivo italiano. Un tax rate che resta contestato, ma mai riformato, e che contribuisce ad accrescere la distanza tra finanza e economia reale”, sostiene Unimpresa.
Riassumendo, “nel periodo 2018–2024, il sistema bancario italiano ha generato ricavi complessivi per 626,3 miliardi di euro, con costi operativi pari a 391,3 miliardi. Il margine d’interesse (NII, Net Interest Income) – ovvero i guadagni ottenuti dalle banche sulle attività di prestito – ha raggiunto quota 331,2 miliardi, rappresentando oltre la metà del fatturato complessivo del settore. L’utile netto cumulato è stato di 162 miliardi, mentre le imposte effettivamente versate al fisco ammontano a 33,9 miliardi ”.
Da ciò “deriva un tax rate medio del 20,9%, nettamente inferiore rispetto all’aliquota nominale dell’IRES (24%) e ancor più distante rispetto alla pressione fiscale complessiva che grava sulle imprese non finanziarie italiane”.
Su base annua, le banche italiane hanno registrato in media:
- Ricavi per 89,5 miliardi.
- Costi per 55,9 miliardi.
- Margine d’interesse per 47,3 miliardi.
- Utili netti per 23,1 miliardi.
- Imposte pagate per 4,8 miliardi.
Unimpresa ha così concluso la nota:
“La lettura tecnica di questi numeri evidenzia tre elementi centrali. Elevata redditività netta: il margine tra ricavi e costi si è progressivamente allargato, soprattutto nel biennio 2023–2024, grazie all’aumento dei tassi d’interesse deciso dalla BCE, che ha incrementato i profitti sulle attività di credito senza incidere in modo proporzionale sui costi. Pressione fiscale contenuta: il rapporto tra utile netto e imposte versate si è mantenuto al di sotto della soglia del 25% in sei anni su sette, con un picco anomalo nel solo 2020 (61,5%) a causa della drastica riduzione degli utili dovuta alla pandemia. Effetto leverage regolamentare: la capacità di generare alti utili con un’imposizione contenuta potrebbe derivare anche dal ricorso a strumenti agevolati, dal riassorbimento di perdite fiscali pregresse o da meccanismi di ottimizzazione fiscale perfettamente leciti ma che pongono interrogativi di equità”.
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