Dalle frizioni industriali ai mega-programmi militari, l’UE affronta tensioni interne ed esterne mentre prende forma un nuovo equilibrio di potere fondato su difesa, alleanze e competizione globale.
L’ambizione dell’Unione europea di costruire una propria indipendenza strategica in campo militare ha preso le mosse dalla volontà di creare una forte industria della difesa interna, rispetto ad un assetto in cui gli armamenti di fabbricazione statunitense hanno raggiunto una percentuale elevatissima, nell’ordine dell’85% del totale delle importazioni.
E’ questo il risultato di una combinazione storica, in cui da una parte i Trattati europei riservano esclusivamente agli Stati la materia della difesa e dall’altra l’Alleanza Atlantica ha rappresentato lo strumento politico-militare di coordinamento degli eserciti nazionali. Austria, Irlanda, Cipro e Malta sono infatti gli unici Paesi aderenti all’Unione europea che non fanno parte della Nato, mentre al di fuori dell’Unione ne fanno parte l’Albania, l’Islanda, il Montenegro, la Macedonia del Nord, la Norvegia, la Turchia, il Canada ed il Regno Unito.
È di pochi giorni fa la notizia secondo cui il governo britannico ha respinto una richiesta della Commissione Europea di pagare fino a 6,75 miliardi di euro per partecipare al fondo di difesa di punta dell’UE, creando un ostacolo inatteso nelle positive relazioni post-Brexit intessute dal governo presieduto dal Primo Ministro Keir Starmer. La Commissione Europea aveva proposto alla Gran Bretagna di partecipare con una propria quota al programma Security Action for Europe (SAFE) per un ammontare compreso tra i 4 ed i 6,5 miliardi di euro, cui andavano aggiunto un contributo di 150–250 milioni di euro per i costi di gestione amministrativa. [...]
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