Pandemie, guerre, populismi e rivoluzioni tecnologiche non scuotono i mercati. Il motivo? Manca un’unica narrazione economica capace di orientare investitori e governi.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a eventi globali di portata epocale: pandemie, conflitti, crolli delle catene commerciali e un’esplosione di populismi, sia a destra che a sinistra. Eppure, sorprendentemente, i mercati finanziari continuano a mostrare una resistenza quasi mistica, oscillando ma senza mai precipitare davvero. Come mai?
C’è chi attribuisce questa stabilità apparente agli alti profitti aziendali, chi alla promessa dell’intelligenza artificiale o al cosiddetto “Taco Trade”. Ma forse la vera ragione è un’altra, più profonda: il mondo non ha ancora trovato una nuova narrazione economica condivisa. E finché questa mancherà, vivremo in uno stato di stasi dei mercati, instabile ma stranamente resiliente.
Nella storia, ogni epoca economica si è definita attraverso grandi visioni condivise. Dal mercantilismo del XVIII secolo al liberismo ottocentesco, dal keynesismo del dopoguerra fino al neoliberismo di Reagan e Thatcher. Oggi, però, ci troviamo in un vuoto narrativo. Globalizzazione, inflazione, commercio, tecnologia e politica: tutto è in discussione, e ogni analisi può essere interpretata in modo contraddittorio, generando un effetto Rashomon nei mercati. [...]
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