Perché torna il rischio “bolla dot.com”? Perché il comparto tech non è mai stato così prospero. Un paradosso che potrebbe trarre in inganno molti. Ecco perché.
Tech al 34% dell’S&P 500. Non accadeva dal 2000, quando la bolla dot-com gonfiava le quotazioni oltre ogni logica. Oggi è diverso? La narrativa prevalente afferma: “Sì, i bilanci sono più solidi”. Ma in realtà, il rischio specifico è lo stesso.
Le opinioni degli esperti si dividono: da una parte, chi intravede i segnali di un déjà-vu preoccupante, un indice globale trainato da un pugno di titoli, valutazioni elevate e aspettative forse troppo ottimistiche; dall’altra, chi sostiene che non sia una bolla, bensì una sorta di “medioevo tecnologico”: una fase di iper-verticalizzazione degli utili verso poche società tecnologiche, solo momentanea, che anticipa una nuova “età dell’oro” dell’industria.
Chi ha ragione? La risposta potrebbe sorprendere.
Numeri e valutazioni: il quadro tecnico
Guardando le metriche, il quadro appare chiaro: il forward P/E dell’S&P 500 è oggi intorno a 22,5; senza le Magnificent 7 scende a 19,9. Entrambi i valori sono ben sopra le medie storiche, segnalando che le azioni non sono a buon mercato. In particolare, il comparto tecnologico presenta multipli ancora più tirati, con investitori disposti a pagare un premio consistente pur di assicurarsi esposizione a nomi leader del settore.
Un dato utile per contestualizzare: i P/E forward attuali sono più alti rispetto all’85% dei valori registrati negli ultimi 30 anni. In altre parole, solo durante lo scoppio della bolla dot-com le valutazioni erano superiori.

Secondo alcuni, “non c’è da preoccuparsi”. Le stime di FactSet indicano che l’Information Technology è atteso in crescita sugli utili del +19% nel 2025 e del +18,4% nel 2026, tassi doppi rispetto a molti altri comparti. Per qualcuno è un segnale rassicurante; per altri, un motivo di cautela: se gli utili sono già così alti e i P/E forward ai massimi, significa che gran parte di questa crescita è già stata prezzata dal mercato.
Qui entra in gioco il contesto macro: due guerre in corso, tensioni commerciali con dazi imminenti, deficit pubblici record, tassi di interesse ancora elevati e una volatilità geopolitica difficile da ignorare.
Basterebbe una sorpresa negativa, un warning sugli utili, una revisione al ribasso delle guidance o un improvviso cambio di scenario macro, per innescare un repricing rapido e doloroso.
Un equilibrio fragile
In sostanza, il settore tecnologico non è mai andato meglio: le attese di crescita sugli utili staccano nettamente gli altri comparti, e questo spiega perché il mercato si concentri qui.
Di per sé non è un problema, finché la narrativa regge. Diventa un rischio specifico quando l’equilibrio si fonda su pochi titoli, a valutazioni già elevate, in un contesto di incertezze geopolitiche ed economiche.
Non significa che siamo sull’orlo di un crollo: la crescita attesa resta superiore alla media, e i fondamentali non sono quelli gonfiati della bolla dot.com. Ma, proprio per questo, serve consapevolezza. Perché se le aspettative dovessero essere anche solo parzialmente disattese, l’effetto psicologico sul mercato potrebbe essere dirompente.
© RIPRODUZIONE RISERVATA