Cosa succede se gli Stati Uniti entrano in guerra in Iran?

Ilena D’Errico

21 Giugno 2025 - 21:39

Cosa potrebbe succedere con l’ingresso in guerra degli Stati Uniti contro l’Iran? L’appoggio a Israele potrebbe costare molto caro.

Cosa succede se gli Stati Uniti entrano in guerra in Iran?

Gli Stati Uniti potrebbero attaccare l’Iran. Oppure no. Questo è quanto ha dichiarato Donald Trump sulla possibilità di un bombardamento contro Teheran, su cui deciderà “all’ultimo minuto”. Il tycoon cerca ovviamente di non scoprire le sue carte e non sbilanciarsi finché non avrà maturato una decisione, ma la possibilità degli Usa in campo è alquanto allarmante. Se gli Stati Uniti entreranno in guerra con l’Iran ci attendono conseguenze gravissime, anche restando al di fuori del vero e proprio conflitto armato. I riflessi economici, commerciali ed energetici di uno scontro diretto tra Washington e Teheran sarebbero devastanti per tutto il mondo, ma non si possono nemmeno tralasciare le rotture dei rapporti diplomatici e le minacce alla sicurezza.

Non dimentichiamo infatti che il fulcro centrale di un’ipotetica guerra sarebbe proprio l’arma più pericolosa che l’umanità abbia concepito, quella nucleare. D’altra parte, non sembrano esserci prove che l’Iran abbia sviluppato strutture nucleari diverse da quelle a uso pacifico. Una versione sostenuta anche da Putin, che appoggia il diritto iraniano all’energia nucleare civile. Dall’altra parte, invece, Tel Aviv viene apertamente appoggiata nel suo attacco preventivo, o quanto meno descritto come tale. L’amministrazione Trump, da cui qualcuno si aspettava la rapida e miracolosa fine della guerra in Ucraina, si è trovata ad affrontare sempre più conflitti e ora anche un possibile coinvolgimento diretto. Lo scenario internazionale è sempre più instabile.

Cosa succede se gli Stati Uniti entrano in guerra con l’Iran

Il dialogo diplomatico tra Stati Uniti e Iran è gravemente compromesso e sarebbe utopistico pensare che possa da solo frenare l’escalation alle porte. La fiducia reciproca è ai minimi storici, gli interessi sono opposti, come pure le alleanze. La Guida suprema dell’Iran, Ali Khamenei, è stata esaustiva sul punto: l’Iran non accetta guerre o paci imposte ed è pronta a ribattere contro eventuali attacchi statunitensi. Resta difficile anticipare le prossime mosse statunitensi e i loro effetti, ma i funzionari iraniani hanno fornito delle dichiarazioni piuttosto esaurienti per rafforzare il proprio margine di trattativa rispetto agli Usa.

Tutto ruota intorno al petrolio e in particolare al transito commerciale, che fornisce all’Iran un vantaggio considerevole su tutto l’Occidente (ma anche sull’Oriente). Teheran minaccia infatti di chiudere la navigazione dello stretto di Hormuz, da cui passa la stragrande maggioranza del petrolio prodotto dai Paesi del Golfo. Definirlo un corridoio strategico è riduttivo, visto che ospita il passaggio di almeno il 20% del petrolio mondiale. Come chiarito dal parlamentare Esmail Kosari l’Iran potrebbe rispondere agli attacchi statunitensi bloccando il transito dello stretto su cui affaccia il Paese. In questo caso, le conseguenze sarebbero devastanti, con una crisi energetica globale dei rifornimenti e dei trasporti e il crollo dei mercati energetici.

D’altra parte, Teheran ha tutti i mezzi per contrastare direttamente le navi commerciali e secondo il Consiglio marittimo internazionale Bimco potrebbe compiere attacchi in tempo reale impedendo il passaggio. Non è peraltro da escludere una nuova offensiva nel Mar Rosso, che cela un altro fondamentale passaggio strategico: lo stretto di Bab el-Mandeb, un punto caldo per tutti gli scambi tra l’Oceano Indiano e il Mar Mediterraneo.

Questo scenario appare già inquietante, ma non è l’unico mezzo dell’arsenale iraniano. Gli analisti, esperti in geopolitica e cybersecurity temono l’entrata in campo dell’Asse della Resistenza e in generale una risposta multi-frontale. Al momento gli alleati iraniani non si sono immischiati nel conflitto con Israele, ma sicuramente non resterebbero a guardare in caso di interventi occidentali. Anzi, la milizia irachena Guardians of the Blood Brigate ha chiarito proprio che l’eventuale ingresso statunitense nel conflitto obbligherà a prendere una posizione. Gli scenari possibili sono molteplici e tutti temibili, vedendo il coinvolgimento di Hezbollah, Hamas, degli Houthi e non solo. Nella peggiore delle ipotesi potrebbero essere avviate operazioni all’estero, anche di tipo terroristico.

Cosa faranno gli Stati Uniti

Donald Trump è stato piuttosto vago sulla posizione statunitense rispetto alla guerra tra Iran e Israele. Il conflitto è scoppiato con il deliberato attacco di Tel Aviv, che il tycoon continua a sostenere neanche troppo velatamente. L’intervento statunitense, tuttavia, dovrebbe essere limitato alla presenza di una minaccia nucleare, come chiarito proprio dal presidente Trump. Il problema è che nessuno sospetta che Teheran stia preparando armi nucleari, tranne Tel Aviv. L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) ha chiarito, per mezzo del direttore Rafael Grossi, che non ci sono motivi per sospettare lo sviluppo di armi nucleari.

Si confermano alti livelli di arricchimento dell’uranio, fino al 60%, ma nulla che possa far pensare alla bomba atomica, almeno per quanto ne sappiamo. Dello stesso parere anche la stessa intelligence statunitense, che non ha prove contrarie. Ciò non permette di negare con assoluta certezza le accuse israeliane, che per quanto ne sappiamo potrebbero anche essere fondate, ma mancano prove, indizi, documenti o qualsiasi altro elemento che possa far giustificare anche solo lontanamente un attacco militare di tali proporzioni.

Di fatto, anche l’eventuale ingresso Usa nel conflitto sarebbe circoscritto all’attacco mirato e irreparabile alle infrastrutture nucleari. Un’ipotesi che spaventa per la reazione iraniana, ma anche per la posizione delle superpotenze. Cina e Russia non sarebbero affatto contente di tale sviluppo, sostenendo il diritto iraniano al nucleare civile e soprattutto contrarie all’idea di un cambio di regime imposto dagli Stati Uniti. Trump potrebbe di fatto fare qualche passo indietro, tentando di spingere Teheran alle trattative sul nucleari con altri mezzi.

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