Cos’è e a cosa serve l’uranio arricchito (e quanto vale)

Luna Luciano

14 Giugno 2025 - 18:27

Dalla bomba atomica all’energia verde: l’uranio arricchito è al centro della geopolitica globale. Ecco cos’è, a cosa serve e quanto vale oggi l’uranio.

Cos’è e a cosa serve l’uranio arricchito (e quanto vale)

Perché l’uranio impoverito o arricchito, è così importante per l’economia internazionale? Negli ultimi decenni l’uranio, elemento chimico dalle proprietà radioattive, è diventato molto più di una risorsa energetica.

Simbolo della transizione ecologica per alcuni, potenziale minaccia atomica per altri, l’uranio è oggi al centro di una crescente tensione internazionale. Non è un caso che ilraid di Israele contro l’Iran avesse come obiettivi impianti nucleari iraniani.

Secondo Tel Aviv, Teheran avrebbe superato da tempo la soglia di arricchimento consentita per fini civili, puntando invece alla costruzione di un’arma atomica. Le centrifughe IR-6 attivate nel sito di Natanz e la soglia del 20% di uranio-235 raggiunta anni fa sono diventati segnali evidenti, agli occhi dell’intelligence israeliana, che l’uranio arricchito iraniano non serve solo alla produzione energetica.

Ma cos’è davvero l’uranio arricchito, perché è così “strategico” e quanto vale oggi sul mercato globale? Il suo valore non si misura solo in dollari al chilo, ma anche in instabilità geopolitica, rischi ambientali e sfide tecnologiche. Capirne il funzionamento e l’impiego è quindi essenziale per comprendere anche gli equilibri (fragili) del mondo attuale: ecco tutto quello che c’è da sapere sull’uranio.

Cos’è e a cosa serve l’uranio “impoverito” e “arricchito”?

L’uranio naturale estratto dalle miniere è composto per il 99,275% da U-238 e per solo lo 0,72% da U-235. Solo quest’ultimo, però, è in grado di sostenere una reazione nucleare a catena, il principio su cui si basano sia le centrali nucleari civili sia le bombe atomiche.

Per diventare utile, l’uranio deve quindi essere “arricchito”: un processo che aumenta la percentuale di U-235 attraverso sofisticate tecniche, la più comune delle quali è la centrifugazione a gas.

Per gli usi civili, come la produzione di energia nelle centrali nucleari, è sufficiente un arricchimento del 3-5%. Per impieghi militari, invece, il livello sale ben oltre: fino al 20% per navi e sottomarini a propulsione nucleare, oltre l’85% per realizzare un’arma atomica come quella sganciata su Hiroshima. Proprio per questo, il grado di arricchimento dell’uranio è un indicatore chiave nelle verifiche internazionali sulla non proliferazione nucleare, come dimostra l’attuale scontro regionale tra Iran e Israele.

In termini economici, arricchire l’uranio è un processo costoso e tecnologicamente complesso. Da circa 12 kg di uranio naturale si ottiene appena 1 kg di uranio arricchito al 5%.

Il processo di arricchimento, però, produce anche un sottoprodotto: l’uranio impoverito, cioè quello da cui è stato rimosso quasi tutto l’U-235. Sebbene meno radioattivo, è comunque tossico e viene utilizzato in vari ambiti, tra cui la zavorra per veicoli pesanti, blindature militari o proiettili ad alta penetrazione. In campo energetico può essere riutilizzato mescolato con plutonio per ottenere nuovo combustibile.

Se quindi l’uranio arricchito è la chiave sia dell’energia nucleareverde” sia della minaccia atomica, l’uranio impoverito, scarto del processo, trova impieghi civili e bellici, che comportano però rischi ambientali significativi.

Qual è il valore dell’uranio arricchito?

Determinare il valore dell’uranio arricchito non è semplice, poiché dipende da molte variabili: grado di arricchimento, forma fisica (ossido, metallo, gas), domanda globale e tensioni geopolitiche. Tuttavia, alla base di tutto c’è il prezzo dell’uranio naturale, che ha registrato un’impennata negli ultimi anni. Dopo un decennio in cui si aggirava tra i 20 e i 25 dollari per libbra (circa 0,45 kg), oggi ha superato i 50 dollari, spinto da una domanda crescente e da una produzione in difficoltà.

Le cause sono molteplici. Da un lato, l’energia nucleare è tornata al centro delle strategie energetiche di molti Paesi, in particolare europei, che la considerano cruciale per la transizione ecologica; dall’altro, l’offerta è rimasta limitata a causa di investimenti insufficienti in nuovi siti minerari, scoraggiati dai bassi prezzi storici. A complicare il quadro c’è la questione geopolitica: il colpo di stato in Niger, settimo paese al mondo per riserve di uranio e secondo fornitore dell’UE, e la guerra in Ucraina e in Medio Oriente hanno reso più instabile il mercato. La Russia è tra i principali attori nella catena di fornitura del combustibile nucleare, e le sanzioni internazionali stanno spingendo l’Europa a cercare fornitori alternativi come il Canada, la Namibia o l’Australia.

Secondo Euratom, l’Unione Europea ha scorte per mantenere i reattori attivi per almeno tre anni, ma il timore è che la domanda continui a salire per almeno un decennio, mentre l’offerta resta incerta. Questo disallineamento, come spiegato dagli esperti, contribuisce a rendere il prezzo dell’uranio altamente volatile, proprio come accade per gas e petrolio.

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