Buste paga, il salario minimo “non è necessario”: ma i numeri dicono il contrario

Simone Micocci

20/02/2023

20/02/2023 - 18:41

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Il salario minimo non serve se ci sono i contratti collettivi: lo sostengono in molti, ma non è proprio così.

Buste paga, il salario minimo “non è necessario”: ma i numeri dicono il contrario

Il governo Meloni non punterà sul salario minimo per aumentare gli stipendi.

La ragione l’ha spiegata la presidente del Consiglio con il videomessaggio dello scorso giugno inviato al Festival del lavoro che si è tenuto presso il Palazzo della cultura e dei congressi a Bologna. Secondo Meloni, il salario minimo è una sorta di “specchietto delle allodole”, in quanto c’è chi ha l’interesse di far credere che introducendo una paga minima garantita dalla legge si vadano a risolvere i problemi del mercato del lavoro. “Non è così”, in quanto in Italia la maggior parte dei lavoratori è tutelato su questo tema visto che ci sono i contratti collettivi nazionali che di fatto già prevedono un minimo salariale.

Il fatto che ci sia un Ccnl, quindi, dovrebbe essere garanzia che lo stipendio percepito sia adeguato alla propria posizione, ma in realtà ci sono diversi fattori che ci dicono il contrario.

Contratti pirata, un problema sopravvalutato o sottostimato?

Una delle argomentazioni mosse da coloro che ritengono che il contratto collettivo da solo non sia sufficiente per giustificare il diniego al salario minimo riguarda i cosiddetti contratti “pirata”, ossia quelli rappresentati da associazioni sindacali meno rappresentative (e alcune volte nate ad hoc) dove i minimi stipendiali sono più bassi rispetto a quanto previsto dagli accordi nazionali.

Un problema secondo Meloni sopravvalutato, in quanto il 97% dei lavoratori del settore privato sottostà a contratti firmati dalla triplice sindacale confederale.

Va detto che in passato Claudio Locifora, consigliere del Cnel, non è stato preciso come la presidente del Consiglio nel dare il numero dei cosiddetti contratti pirata. Anzi, questo ha spiegato che oggi è impossibile calcolare la percentuale di copertura dei singoli contratti collettivi nazionali come pure verificare quali imprese applicano un contratto con stipendio minimo almeno pari a quello indicato dai contratti sottoscritti dai sindacati confederali. D’altronde i contratti depositati al Cnel allo scorso dicembre erano 955 nel settore privato, di cui poco meno del 40% sottoscritti da associazioni datoriali e sindacali non rappresentati dal Cnel che spesso prevedono condizioni contrattuali peggiorative. Vero che coprono meno lavoratori - circa 30.000 - ma si tratta comunque di persone che meritano una maggior tutela rispetto a quella oggi riconosciuta.

Contratti collettivi, il problema della scadenza

Ma i contratti collettivi hanno un altro importante problema: la scadenza. Gli accordi sottoscritti tra le parti, infatti, hanno una validità limitata nel tempo, dopodiché è necessario sottoscrivere un rinnovo così da adeguare le retribuzioni all’andamento del costo della vita registrato nell’ultimo periodo.

Tuttavia, i tempi per il rinnovo di contratto appaiono molto lunghi. Basti pensare che al 31 dicembre 2022 erano 591 i contratti nazionali di lavoro scaduti, circa il 62% del totale. Se si fa riferimento ai contratti più importanti, una trentina, possiamo dire che circa la metà dei lavoratori italiani, 6,8 milioni su un totale di 12,8 milioni, attendono con ansia il rinnovo.

Quindi, circa il 50% dei lavoratori italiani è in attesa che il proprio stipendio venga “aggiornato”. E anche a seguito del rinnovo l’aumento rischia di non essere sufficiente a compensare la variazione dell’indice dei prezzi: se si considerano tutti i contratti rinnovati nel 2022, infatti, risulta una crescita delle retribuzioni dell’1,1%, ma allo stesso momento il tasso medio d’inflazione è stato dell’8,1%. Vero che si è trattato di una situazione straordinaria, in quanto una crescita tale dell’inflazione non si registrava da anni, ma sorprende comunque il divario registrato dall’Ipca tra la dinamica dei prezzi e quella delle retribuzioni contrattuali, pari al 7,6% (il valore più elevato tra quelli rilevati dal 2001).

Con questo non vogliamo dire che il salario minimo rappresenti la soluzione a questi problemi, bensì che se davvero la politica ritiene che la contrattazione collettiva sia di per sé sufficiente a garantire tutela salariale ai lavoratori dovrà fare in modo di risolverne al più presto le lacune.

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