BCE sotto attacco per aver mollato l’Ucraina. “Ma l’Italia l’ha salvata”

Laura Naka Antonelli

3 Dicembre 2025 - 13:11

Dopo il no all’Ucraina l’affondo dell’economista Robin Brooks, noto per aver accusato la BCE di avere aiutato sempre l’Italia e altri Paesi euro altamente indebitati.

BCE sotto attacco per aver mollato l’Ucraina. “Ma l’Italia l’ha salvata”

La notizia relativa alla decisione della BCE di mollare praticamente l’Ucraina al suo destino, rifiutandosi di garantire il prestito da 140 miliardi di euro concepito dalla Commissione UE per aiutare Kiev, ha scioccato un po’ tutti.

Il grande no della Banca centrale europea a fornire garanzie al prestito UE utilizzando gli asset russi congelati, riportato da un articolo del Financial Times, ha riacceso subito l’interrogativo che ristagna in Europa da anni, almeno da quel 24 febbraio 2022, giorno in cui la Russia di Vladimir Putin ha invaso l’Ucraina, dando il via al conflitto russo-ucraino.

L’interrogativo, o meglio la serie di interrogativi, è la seguente: Fino a che punto l’Europa è disposta a farsi scudo dell’Ucraina, per proteggere il Paese dagli attacchi di Mosca?

Fino a che punto, al di là dei proclami e delle stesse spille con la bandiera dell’Ucraina appuntate sul petto dei funzionari UE, il Continente è pronto davvero a sacrificarsi, o anche solo ad agire, per far seguire i fatti alle dichiarazioni a sostegno di Kiev?

E fino a che punto l’Europa ha un piano comune di azione? Considerando la risposta della BCE di Christine Lagarde - stando almeno alle ricostruzioni rese note dal Financial Times - si può rispondere con un certo grado di certezza all’ultimo interrogativo: di fatto, un piano comune di azione è, tuttora, una chimera.

Da dove è nato il no della BCE a garantire prestiti all’Ucraina

Per capire il no della BCE, bisogna fare tuttavia qualche passo indietro, come ha fatto l’FT.

Il quotidiano della City ha spiegato il no della Banca centrale europea partendo innanzitutto dalle richieste arrivate da Bruxelles, riassunte in una lettera che, lo scorso 17 novembre, la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha inviato ai Paesi membri dell’Unione europea, mettendo sul tavolo le tre opzioni possibili da adottare, per erogare finanziamenti a favore dell’Ucraina nei prossimi due anni, e colmare un fabbisogno considerato mostruoso.

Le tre opzioni sono le seguenti:

  • L’erogazione di aiuti diretti da parte degli Stati membri.
  • Una qualche forma di indebitamento comune sui mercati finanziari per raccogliere risorse volte ad aiutare Kiev.
  • L’utilizzo degli asset russi.

In un discorso proferito al Parlamento europeo di Strasburgo, von der Leyen ha poi ammesso chiaramente di non intravere alcuno scenario possibile che veda “i contribuenti europei pagare da soli il conto”, confermando così la sua preferenza per la terza opzione, ovvero quella che comporta l’utilizzo di asset russi.

Perché il Belgio ha detto no alla proposta della Commissione UE di utilizzare asset russi

La Commissione UE ha dunque risfoderato il piano ambizioso di aiutare Kiev erogando un prestito di riparazione del valore di €140 miliardi, finalizzato a coprire le necessità finanziarie e militari dell’Ucraina del prossimo biennio 2026-2027. Piano di cui si era parlato già alla fine di ottobre, e che tuttavia era stato considerato già allora di difficile attuazione, per gli ostacoli da superare. Ostacoli che ora, con il no della BCE, appaiono ancora di più insormontabili.

Un no era arrivato infatti già dal Belgio, Paese che ospita Euroclear, istituzione presso cui è depositata la maggior parte degli asset russi congelati.

Il primo ministro belga Bart De Wever aveva subito insistito, piuttosto, sull’opzione di procedere a favore di una “piena condivisione” dei rischi, attraverso garanzie fornite da tutti i Paesi membri dell’UE: “Se prendete i soldi dal mio Paese, e se le cose vanno a finire male, non sarò in grado, e sicuramente non vorrò farlo, di ripagare 140 miliardi di euro nell’arco di una settimana”, si era già espresso così il premier belga.

De Weber aveva poi aggiunto, alla fine di ottobre, con un tono a dir poco sarcastico: “Immagino che tutti coloro che sono davvero pronti a prendere questa decisione, e che davvero vogliono che si concretizzi, siano anche pronti e decisi a fornire una garanzia, in modo che io possa dormire di notte tranquillo, sapendo che se qualcosa andrà storto la solidarietà farà sì che quei soldi ci siano”.

No anche dalla BCE, che ha adotto come motivazione il rispetto del suo mandato

Le resistenze del Belgio hanno a quel punto portato la Commissione UE ad appellarsi alla BCE. Ma il no a fornire garanzie è arrivato anche da Francoforte, come ha riportato ieri l’FT.

Motivo: “ Una simile proposta non è in esame, perché violerebbe le norme dei Trattati europei che proibiscono il finanziamento monetario”.

La Banca centrale europea ha avallato dunque il suo rifiuto ricordando la necessità di rispettare i limiti incisi nel suo mandato, che vietano l’erogazione di finanziamenti anche in via indiretta a uno Stato che non riesca da solo a reperire la liquidità di cui necessita.

Il no della BCE ha sollevato tuttavia subito aspre critiche non solo di natura politica, ma anche dal mondo dell’economia, con qualcuno che ha accusato praticamente l’istituzione di aver mollato l’Ucraina, dopo avere aiutato invece Paesi che hanno rischiato di far saltare lo stesso progetto dell’euro, a causa dei loro immensi livelli di debito pubblico.

In evidenza l’aspro commento pubblicato su X dall’economista Robin Brooks, ex responsabile strategist del forex di Goldman Sachs, ora Senior Fellow presso il think tank Brooking Institution, noto per aver criticato spesso e volentieri la Banca centrale europea, accendendo anche i dubbi sulla possibilità di BTP in fase di bolla, a causa degli aiuti che l’istituzione ha continuato a garantire per diversi anni ai Paesi più indebitati, blindando così i rispettivi titoli di Stato.

Robin Brooks torna ad attaccare la BCE. Ma l’Italia e la Spagna le ha salvate

L’economista Robin Brooks ha messo nel mirino per la precisione quei bazooka monetari che sono andati ormai in pensione, ovvero il piano di QE-Quantitative easing, concepito dall’ex presidente della BCE e predecessore di Christine Lagarde, Mario Draghi, e il PEPP, o anche QE pandemico. Piani entrambi non più attivi, a fronte di una BCE diventata decisamente più severa, al punto da avere attivato da un po’ il Quantitative Tightening, strumento diametralmente opposto ai QE, ribattezzato da qualcuno anche come una sorta di piano anti-BTP.

In un post delle ultime ore, Brooks ha ricordato di nuovo quella funzione a suo avviso salvifica che la BCE ha esercitato a favore dei BTP e Bonos, nello specifico, grazie al QE e al PEPP, commentando così l’articolo del Financial Times:

“La BCE non si è fatta alcun problema a fissare un tetto massimo ai rendimenti dei Titoli di Stato di Italia e di Spagna nel 2022, andando ben al di là del proprio mandato. Ma ora dice che non può dare aiuti utilizzando le riserve russe a causa del suo mandato, anche se l’Italia e la Spagna non erogano aiuti all’Ucraina. Che caos”.

Il post di Robin Brooks avrà sollevato diversi interrogativi sul ruolo che la BCE dovrebbe avere nell’aiutare o meno l’Ucraina.

Tuttavia, forse tutti si riassumono in una domanda più semplice: deve essere la BCE a garantire l’erogazione di un prestito straordinario all’Ucraina, o devono essere invece gli Stati membri dell’UE?

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