Perché gli studenti italiani non trovano lavoro e quelli europei sì?

Valentina Pennacchio

19/02/2014

Perché gli studenti italiani conseguono risultati analoghi o migliori nello studio rispetto ai colleghi europei, eppure trovano più difficoltà nel trovare lavoro? Cosa non funziona in Italia?

Perché gli studenti italiani non trovano lavoro e quelli europei sì?

In questi ultimi anni in cui la crisi ha fatto salire vertiginosamente i tassi di disoccupazione, soprattutto giovanile, si è spesso riflettuto su un vero paradosso della modernità: la generazione di oggi è quella che ha studiato di più, quella più preparata, eppure le difficoltà da affrontare per entrare nel mondo del lavoro sono molteplici.

Regole troppo rigide e facilmente mutevoli, cuneo fiscale, il difficile passaggio dall’università al mondo del lavoro sono i motivi principali che sono stati individuati dall’Economist come cause della disoccupazione giovanile.

In Europa i Paesi in cui il dramma della disoccupazione giovanile è più sentito sono:

  • la Grecia e la Spagna (50%-60%);
  • l’Italia, il Portogallo e Cipro (40%).

Tuttavia i dati Ocse mettono in luce un’altra anomalia: gli studenti italiani pur avendo risultati analoghi o migliori nello studio rispetto ad altri Paesi UE (come Farncia, Svezia e Germania) faticano a trovare lavoro.

Se nel 90% dei casi nei Paesi suddetti i neolaureati under30 vengono assunti entro 6 mesi (ma anche meno) rispetto alla fine degli studi, in Italia, come sappiamo, la situazione è ben diversa. Perché?

Cosa non funziona in Italia?

Quali sono le differenze tra Francia, Svezia, Germania e Italia? Perché se gli studenti italiani sono più bravi faticano a trovare lavoro? Evidentemente ci sono dei problemi strutturali da combattere. Vediamo la situazione che si presenta nei diversi Paesi.

  • Francia. Secondo un’indagine McKinsey in Francia si segnalano sia una certa carenza per quanto riguarda la motivazione e la consapevolezza nella scelta delle facoltà, sia lacune sul fronte skills. Ma allora perché i disoccupati e i NEET raggiungono percentuali, rispettivamente, pari a 25,6% e 12%, mentre in Italia le percentuali sono praticamente doppie (41,6% e 21%)? Perché in Francia funzionano stage e agenzie del lavoro, lo dicono i numeri. Le possibilità di assunzione dopo uno stage in Francia sono triple rispetto a quanto avviene in Italia, così come in Francia le agenzie del lavoro sono efficienti e garantiscono un’assistenza concreta al candidato: il 60% dei diplomati e neolaureati francesi ha trovato aiuto nella stesura di un cv, il 53% per la preparazione dei colloqui, con una soddisfazione pari al 78% e 83% dei casi. Cosa succede in Italia? I Centri di Impiego non hanno alcun ruolo, per essi passa solo l’1% delle assunzioni;
  • Svezia. Sempre secondo McKinsey gli studenti svedesi sono tra i meno motivati d’Europa, ma funziona il sistema di welfare con rette gratis, incentivi, prestiti a tasso zero, migliaia di borse di studio (concesse su selezione). Così studiare diventa più semplice, anche perché in Svezia vige il giusto binomio: più studi, più opportunità hai di trovare lavoro. L’89% delle persone con lauree, diplomi o almeno una certificazione (titolo di educazione terziaria) è sotto contratto, contro il 49% di chi si è fermato prima. Percentuali che in Italia sono, rispettivamente, del 74% e 44%;
  • Germania. La disoccupazione qui non ha causato gli stessi danni che negli altri Paesi UE: il tasso di disoccupazione giovanile è dell’8,5% e i laureati che trovano lavoro entro 6 mesi dalla laurea sono l’89% (9 su 10). Anche qui non brilla la motivazione: il 12% degli apprendisti non termina il periodo di formazione e il 30% degli universitari lasciano l’università prima della laurea. Tuttavia ciò che funziona è il cosiddetto "dual education system" (introdotto nel 1969), che garantisce l’alternanza scuola-lavoro. Le formule di apprendistato sono più di 300 (con una retribuzione di circa 650 euro) e viaggiano verso l’assunzione a tempo indeterminato;
  • Italia. Le competenze degli studenti italiani sono richiesti all’estero, ma non nel Belpaese. Risultato? Fuga dei cervelli. Cosa c’è che non va in Italia? In sostanza 3 cose: divario tra teoria e competenze richieste dal mercato (sempre secondo McKinsey nel 2012 sono rimaste vacanti oltre 65.000 posizioni per profili under 30 a causa di questa ragione); l’alternanza scuola-lavoro è inesistente, gli stage sono sottopagati e ininfluenti sul percorso futuro del candidato; internazionalità, sia nella conoscenza delle lingue (l’Italia per l’inglese è tra i Paesi con più "basso livello di competenza"), sia per quanto riguarda una formazione accademica e lavorativa di respiro internazionale.

Un’indagine condotta da Demopolis tra il 17 e 18 febbraio 2014, per il programma Otto e Mezzo (LA7), su un campione di 1.004 intervistati (maggiorenni) mostra che il 73% degli italiani vorrebbe che Renzi si occupasse della priorità lavoro (ma solo il 16% crede che avverrà effettivamente una ripresa in tal senso).

Saprà il nuovo Premier risolvere questi problemi che affliggono il mercato del lavoro e far ripartire la crescita, abbassando le soglie della disoccupazione?

Soprattutto, sarà così risoluto e incisivo come aveva promesso dopo la vittoria per la segreteria del PD o il profumo del potere macchierà di demagogia anche il Rottamatore?

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