Negli scorsi giorni l’ISTAT ha diffuso i dati di una disoccupazione al 12,2%, dato record dal 1977. Le persone in cerca di un lavoro sono più di 3 milioni, tra questi moltissimi giovani. E’ vero che c’è stato un lieve decremento della disoccupazione giovanile (38,5%), ma si tratta sempre di una cifra importante.
In questo scenario si inserisce il Decreto lavoro approvato dal Cdm la scorsa settimana, un pacchetto di 1,5 miliardi di euro e buoni auspici, ma funzionerà? Gli esperti sembrano già avanzare dubbi.
La questione centrale, quanto più problematica, è quella degli incentivi alle assunzioni per gli under 30 se assunti con contratto a tempo indeterminato e se dotati, alternativamente, di uno di questi requisiti:
- sono disoccupati da almeno sei mesi;
- non hanno un diploma superiore o professionale;
- vivono da soli con una o più persone a carico.
Il bonus può raggiungere il tetto massimo di 650 euro al mese per 18 mesi, che scendono a 12 nel caso in cui il dipendente facesse già parte dell’azienda con un contratto a termine. A ciò si aggiunge la possibilità per il datore che assume dipendenti che percepiscono l’ASPI di beneficiare di un contributo mensile pari al 50% dell’ammortizzatore, a patto che l’assunzione avvenga tramite contratto a tempo indeterminato.
Incentivi inutili?
Basteranno gli incentivi a rilanciare l’occupazione? Rappresentano quell’intervento strutturale di cui aveva bisogno il mercato del lavoro? Forse no. Innanzitutto gli incentivi sono temporanei e come ha sostenuto l’economista Tito Boeri:
“C’è il rischio che gli incentivi, distribuiti su troppi interventi e per periodi limitati, si esauriscano senza avere inciso sull’economia reale. Insomma, che siano soldi buttati via”.
In seconda battuta ci troviamo dinanzi ad altre problematiche, tra cui: la mancata organicità della normativa sugli incentivi per le assunzioni, nonché la spendibilità delle norme che dovranno allinearsi con la riprogrammazione dei fondi strutturali europei per il prossimo settennato.
Legare il dramma della disoccupazione agli incentivi non è una banalizzazione del dramma stesso? La domanda si crea così, attraverso un bonus? Non è come andare in Africa e portare l’acqua ma senza creare un pozzo o le infrastrutture di cui ha bisogno la popolazione locale?
In sostanza, il rilancio forse deve avvenire "dal basso", non deve essere indotto con qualcosa che non ha nulla a che fare con l’imprenditorialità. In tal senso significativo è l’interevento dell’avvocato Francesco Rotondi ai microfoni di Radio24:
“Creare domanda attraverso l’erogazione di un bonus è un concetto che a livello imprenditoriale non ha nessun valore. Io credo che la focalizzazione di un percorso di questo tipo dovesse essere per lo meno affiancata a un sistema di incentivazione delle imprese che non fosse un sistema di incentivazione decontributivo, ma semmai per implementare nuove attività industriali, nuovi prodotti, start up e quant’altro. Quello creerebbe la domanda alla quale affiancare poi una possibile eventuale offerta di lavoro”.
I numeri
Il Decreto forse sarà un flop anche per un altro motivo. Secondo l’ISTAT la platea interessata dagli incentivi sarà pari a 4,385 milioni, di cui solo 877.000 sono i disoccupati, gli altri sono inattivi, che si dividono in:
- 606.000 inattivi disponibili a lavorare;
- 638.000 inattivi non disponibili a lavorare;
- 2,264 milioni studenti.
Alla luce di ciò, il Decreto lavoro non è un granello di sabbia nel deserto?
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