Articolo 18, tempo indeterminato e tutele crescenti: cosa prevede l’attuazione del Jobs Act

Simone Casavecchia

19/12/2014

Atteso entro la fine dell’anno il primo dei decreti delegati che dovrebbe disciplinare i licenziamenti senza giusta causa e l’articolo 18 i relazione ai nuovi contratti a tutele crescenti a tempo indeterminato.

Articolo 18, tempo indeterminato e tutele crescenti: cosa prevede l’attuazione del Jobs Act

I tecnici di Palazzo Chigi e del Ministero del lavoro sono impegnati sul fronte che dovrebbe portare a una rapida attuazione del Jobs Act. Il primo dei decreti delegati che dovrebbero rendere operative le misure sulle quali il Governo ha ricevuto la delega a legiferare dal Parlamento, andrà a disciplinare i licenziamenti senza giusta causa ed è atteso entro Natale o, al più tadi entro la fine dell’anno.
I maggiori nodi ancora da sciogliere - su cui al momento attuale si stanno confrontando anche il ministro del Lavoro e i rappresentanti dei sindacati - riguardano i casi di applicazione in cui potrà ancora essere applicato l’articolo 18, quali saranno le nuove norme riguardo ai licenziamenti senza giusta causa e quali i casi in cui potranno essere ancora assegnati gli indennizzi previsti dai nuovi ammortizzatori sociali.
L’urgenza nell’attuazione della misura è dettata dalla necessità di rendere applicabili non solo i nuovi contratti a tutele crescenti ma anche gli sgravi fiscali previsti dalla legge di stabilità 2015 per le assunzioni a tempo indeterminato.

I nuovi casi di reintegro
Mentre oggi la tutela reale di reintegro, prevista dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, scatta in due ipotesi:
quando il fatto non sussiste (non viene fatto nessun riferimento all’indicazione materiale)
quando il rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa (sulla base di quanto previsto dai Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro o sai codici disciplinari applicabili).

Nella nuova normativa valida a partire dal 2015, le tutele previste dall’articolo 18 (reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa) cadranno per i licenziamenti per motivi economici. Un primo punto che deve essere definito ancora, perché particolarmente delicato riguarda la nozione di "giustificato motivo oggettivo". I motivi oggettivi (economici) per licenziare un lavoratore potrebbero infatti anche prevedere il licenziamento per scarso rendimento.
Per quanto riguarda i casi di reintegro, in cui la validità dell’articolo 18 sarà mantenuta, oltre ai casi di licenziamento per motivi discriminatori, potrebbero essere ammessi - revisionando lievemente l’attuale normativa - anche i casi di "non sussistenza del fatto materiale". Si tratta dell’eventualità in cui, ad esempio, se un lavoratore viene licenziato perché accusato di furto e riesce a dimostrare che il fatto non è mai avvenuto dovrebbe essere reintegrato.
Oltre all’incontro con le parti sociali, sul nuovo campo di applicazione delle tutele dell’articolo 18 rimane aperto anche il confronto tra le forze della maggioranza che spingono sul Governo da entrambi i fronti. Mentre Maurizio Sacconi (Area Popolare) ha ribadito che il decreto che disciplina il contratto a tutele crescenti dovrà mettere in campo gli strumenti dell’indennizzo e del risarcimento

"limitando la reintegrazione ai soli casi del licenziamento discriminatorio o infamante".

Se fosse allargata la gamma dei casi in cui potrebbe essere prevista la reintegrazione, la maggioranza di governo sarebbe a rischio e non sarebbe, di fatto, onorata la fiducia data al Governo dalla Commissione Europea, riguardo al percorso di riforma del mercato del lavoro.

Sul fronte opposto, quello della sinistra Pd, Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro della Camera ha auspicato che il decreto di imminente emanazione riesca soprattutto a tutelare i

"giovani che verranno assunti a partire dal 2015, per i quali non è augurabile una diminuzione di tutele che assomigli alla totale libertà di licenziamento (...) Per questo riteniamo aberranti le notizie che riguarderebbero la possibilità di licenziare per scarso rendimento".

La questione degli indennizzi
Dibattito aperto anche sugli indennizzi minimi che dovrebbero essere previsti, al fine di non rendere la possibilità di licenziamento per motivi economici troppo appetibile e, quindi, troppo utilizzata dalle aziende, nei primi anni di applicazione del contratto a tutele crescenti.
Nei casi di contenzioso aperti per licenziamento economico illegittimo, l’indennizzo va da un minimo di 1,5 mensilità per anno di servizio fino a un massimo di 24 mensilità. In questi casi l’ipotesi allo studio del governo è quella di introdurre, dopo il periodo di prova previsto dal contratto a tutele crescenti, un indennizzo minimo di 3 o 4 mensilità per anno di servizio (invece delle 6 inizialmente ipotizzate).
Per evitare i possibili contenziosi presso i giudici del lavoro, sarà resa più vantaggiosa la strada della conciliazione tra lavoratore licenziato e datore di lavoro, attraverso l’introduzione di un indennizzo minimo in caso di conciliazione standard: sarebbe fissato a due mensilità (ma potrebbe arrivare fino a un massimo di 16 mensilità) e potrebbe esentato dalla tassazione, proprio per renderlo preferibile dai lavoratori.
A questo proposito si ragiona anche sulla possibilità di estendere il nuovo campo di applicazione dell’articolo 18 e le nuove tutele anche alle piccole imprese ovvero alle aziende con meno di 15 dipendenti che nella vecchia disciplina erano escluse. In questo caso si starebbe ipotizzando un correttivo in base al quale tutti gli indennizzi verrebbero dimezzati e sarebbe previsto un tetto di 6 mensilità (come nella disciplina attuale in cui le piccole aziende, in caso di licenziamento economico illegittimo sono tenute al pagamento di un indennizzo tra le 2,5 e le 6 mensilità).

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