8 motivi per temere il tracollo economico nel 2024

Violetta Silvestri

16/01/2024

16/01/2024 - 12:25

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L’economia globale rischia il tracollo nel 2024? La risposta in 8 motivi di rischio che minacciano la stabilità economica e politica, la crescita, la sicurezza mondiale.

8 motivi per temere il tracollo economico nel 2024

Il 2024 è appena iniziato e le prospettive per l’economia globale non sono rosee. I motivi di pessimismo per l’anno in corso sono diversi, con 8 rischi di un aumento della tensione sia a livello geopolitico che in quello della crescita economica mondiale.

Nonostante sia l’anno nel quale si attendono l’atterraggio morbido Usa, i tagli dei tassi di interesse da parte di Fed e Bce e un conseguente rilancio di mercati e sviluppo, qualcosa può andare storto secondo le opinioni di diversi analisti. D’altronde, il 2024 è cominciato con due guerre drammatiche in corso, nuove minacce al commercio internazionale, scetticismo sui prossimi tagli dei tassi di interesse (che dovrebbero rappresentare la maggiore spinta alla crescita).

In questo contesto, 8 minacce oscurano le previsioni economiche dell’anno. L’economia globale nel 2024 può tracollare e i motivi sono finanziari e geopolitici.

1. Il Medio Oriente esplode?

La già drammatica e pericolosa guerra tra Israele e Hamas - che sta distruggendo Gaza con un impressionante numero di vittime - rischia di trasformarsi in un conflitto ancora più temibile, anche per l’economia mondiale.

Le tensioni nel Mar Rosso sono aumentate da quando gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno lanciato attacchi aerei nello Yemen, in risposta a settimane di colpi da parte dei militanti Houthi contro le navi in ​​un punto chiave per il commercio globale. Gli scontri a fuoco quotidiani lungo il confine tra Israele e Libano e l’assassinio di un leader di Hamas a Beirut rischiano di trascinare Hezbollah – e di conseguenza l’Iran – più profondamente nei combattimenti. Anche Iraq e Siria sembrano sempre più punti critici.

Lo scenario di base degli esperti di Bloomberg resta che una guerra diretta tra Iran e Israele è improbabile. Ma se questa condizione estrema si concretizzasse, un quinto dell’offerta globale di greggio, nonché importanti rotte commerciali, potrebbero essere a rischio. I prezzi del petrolio potrebbero salire fino a 150 dollari al barile, riducendo di circa 1 punto percentuale il Pil globale e aggiungendo 1,2 punti percentuali all’inflazione globale.

2. La Fed costretta a un passo indietro sui tagli?

Dopo aver annunciato che il 2024 sarà l’anno della diminuzione del costo del denaro, pur senza anticipare le date dei possibili tagli, la Fed potrebbe trovarsi in una scomoda situazione.

Secondo gli analisti di Bloomberg, esistono due scenari in cui potrebbe tornare a crescere l’inflazione e, quindi, costringere la banca centrale Usa a una mossa di nuovo aggressiva. Il primo riguarda uno shock dal lato dell’offerta, una possibilità reale nel caso in cui un crescente conflitto in Medio Oriente colpisse i prezzi del petrolio e le rotte marittime.

L’altro deriverebbe da condizioni finanziarie più accomodanti, con il rendimento dei titoli del Tesoro a cinque anni in calo di oltre un punto percentuale rispetto al massimo di ottobre. Se si inserisce un calo di un punto percentuale dei rendimenti nel modello dell’economia statunitense elaborato da Bloomberg Economics, si spingerebbe l’inflazione nell’anno a venire di mezzo punto percentuale, avvicinandola al 3% rispetto all’obiettivo del 2%. Se ciò accadesse, la Fed potrebbe abbandonare il piano di una politica più accomodante.

3. Europa senza crescita

La Banca Centrale Europea e la Banca d’Inghilterra sono alla fine dei cicli di inasprimento più aggressivi dell’ultima generazione. Se si analizzano i loro aumenti attraverso qualsiasi modello macroeconomico, si otterrà una previsione chiara: profonda recessione.

Il Pil dell’Eurozona avrebbe dovuto subire un calo del 2,5%, suggerisce il modello di Bloomberg Economics. La cifra equivalente per il Regno Unito è del 4,7%. Finora, i dati mostrano qualcosa di diverso: un rallentamento in entrambe le economie, ma non una contrazione.

Naturalmente i modelli potrebbero essere sbagliati. Ma c’è un’altra possibilità. La politica monetaria opera notoriamente con lunghi ritardi. In Europa il grande successo potrebbe ancora arrivare.

Per la Germania, la potenza europea in fase di stallo, il 2024 può ancora affermarsi come un altro anno di contrazione. Un rallentamento in Cina aumenta i rischi. Le brutte notizie per la Cina – una crescita più lenta – lo sono anche per la Germania, che considera la superpotenza asiatica come uno dei suoi maggiori mercati di esportazione.

Una buona notizia per la Cina – l’ascesa dei suoi produttori di auto elettriche – è però sempre una cattiva notizia per la Germania, perché Volkswagen e i suoi connazionali temono i rivali cinesi come BYD.

4. La Cina traballa

La seconda economia più grande del mondo entra nel 2024 con una crescita già in calo. La ripresa post-pandemia è venuta meno e il costante flusso di stimoli non è riuscito a colmare la crisi del settore immobiliare.

Lo scenario di base di Bloomberg Economics è che Pechino alla fine fornirà un sostegno sufficiente per evitare il collasso, con una crescita prevista per il 2024 al 4,5%. Sarebbe in calo rispetto allo scorso anno e molto al di sotto della norma pre-pandemia, ma non sarebbe un disastro.

I rischi sono decisamente orientati al ribasso. Se gli stimoli arrivassero con un giorno di ritardo e un dollaro in meno e il crollo del settore immobiliare continuasse, la crescita potrebbe rallentare fino a circa il 3%. Se i problemi del settore immobiliare innescassero una crisi finanziaria, come è successo in Giappone nel 1989 e negli Stati Uniti nel 2008, l’economia potrebbe addirittura contrarsi, nella realtà se non nelle statistiche ufficiali.

5. Giappone dinanzi a una svolta

In Giappone, il 2024 è destinato a essere l’anno in cui la banca centrale abbandonerà il controllo della curva dei rendimenti, la politica utilizzata per fissare i tassi di interesse a lungo termine a livelli minimi.

L’obiettivo era quello di reflazionare l’economia in contrazione del Giappone. Gli effetti si sono propagati in tutto il mondo sotto forma di carry trade. Gli investitori hanno preso in prestito in yen con una garanzia a costo zero, e poi acquistato titoli del Tesoro statunitensi con un rendimento del 4% o obbligazioni dei mercati emergenti con un rendimento ancora maggiore. Il deprezzamento dello yen ha spinto i profitti su quell’operazione ancora più in alto.

Bloomberg Economics prevede che la Banca del Giappone si muova verso l’uscita di tale politica a luglio, mantenendo le impostazioni politiche accomodanti, ma rimuovendo il blocco dei rendimenti. Un’attenta segnalazione al mercato aumenta le probabilità che tutto vada liscio.

In caso contrario, e se lo yen dovesse impennarsi, i carry trade potrebbero risolversi rapidamente con un esodo di fondi dai titoli del Tesoro statunitense e da altri asset ad alto rendimento. Le somme coinvolte sono enormi: il Giappone ha 4,1 trilioni di dollari di investimenti di portafoglio esteri.

6. Stallo Ucraina

Dopo il fallimento della controffensiva dell’Ucraina, i sostenitori occidentali avvertono che il Paese rischia la sconfitta totale, soprattutto se gli aiuti militari statunitensi dovessero prosciugarsi, dando alla Russia un vantaggio decisivo sul campo di battaglia.

Lo stallo potrebbe essere un risultato più probabile. I governi dell’Europa orientale, però, sono ora preoccupati dell’arrivo di un esercito russo incoraggiato ai loro confini. Gli analisti affermano che gli Stati Uniti potrebbero trovarsi di fronte a una scelta difficile tra il dispiegamento di forze per scoraggiare la Russia in Europa o la Cina in Asia.

Una sconfitta per l’Ucraina potrebbe rendere più difficile per Washington convincere gli altri Paesi di essere un alleato forte e affidabile. Potrebbe anche aumentare la probabilità di tensioni in altre parti del mondo – la disputa territoriale tra Venezuela e Guyana ne è un esempio – poiché la più debole deterrenza degli Stati Uniti incoraggia le potenze regionali a regolare vecchi conti o creare nuove rivalità sul terreno.

7. Rivoluzione a Taiwan?

A Taiwan, il voto presidenziale dello scorso fine settimana ha visto la vittoria del vicepresidente Lai Ching-te con un margine ristretto, garantendo al Partito Democratico Progressista (DPP) al potere un terzo mandato senza precedenti.

La reazione immediata della Cina continentale è stata attenuata. Tuttavia, il profondo scetticismo cinese nei confronti del presidente eletto considerato un “separatista”, nonostante la sua promessa di continuità politica attraverso lo Stretto, significa che la fiducia è bassa, aprendo la porta a una potenziale escalation delle tensioni nei prossimi mesi.

La posta in gioco per l’economia mondiale è alta, soprattutto a causa del ruolo chiave di Taiwan nella produzione di semiconduttori. Se dovesse esserci un conflitto, Bloomberg Economics stima che il soffocamento delle forniture di chip, il blocco delle rotte commerciali e le sanzioni economiche potrebbero costare fino al 10% del Pil globale.

8. Elezioni Usa, la suspence è iniziata

Il voto presidenziale americano di novembre si preannuncia come una rivincita tra Joe Biden e Donald Trump, che ha conquistato il primo posto nei sondaggi negli stati indecisi.

Il ritorno in carica di Trump potrebbe portare a colpi bruschi di tipo politico nel 2025 e i mercati potrebbero prezzarli prima. Ha promesso una tariffa del 10% su tutte le importazioni. Se i partner commerciali rispondessero, ciò ridurrebbe lo 0,4% del Pil degli Stati Uniti, stima Bloomberg Economics. Ci saranno maggiori tensioni commerciali con partner come l’Europa e rivali come la Cina. Il desiderio dell’America di guidare l’alleanza militare della NATO potrebbe diminuire.

Prima di tutto ciò, esiste anche il rischio significativo che l’esito del voto possa essere contestato. La violenza del 6 gennaio 2021 ha mostrato il potenziale di sconvolgimenti interni e la fragilità della fiducia nella democrazia statunitense.

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