Trump ha messo gli Usa sullo stesso piano della Grecia. Ecco cosa significa

Ilena D’Errico

6 Giugno 2025 - 19:03

Trump ha messo gli Usa sullo stesso piano della Grecia. La richiesta di credit default swaps Usa non è molto migliore di quella ateniese, anche se per ragioni diverse. Ecco cosa significa.

Trump ha messo gli Usa sullo stesso piano della Grecia. Ecco cosa significa

Trump ha messo gli Stati Uniti sullo stesso piano della Grecia e non è affatto un’esagerazione. L’economia statunitense sta patendo duramente le politiche intraprese dal tycoon e non sembra essere destinata a migliorare nel breve periodo. La capacità degli Usa di saldare i propri debiti è compromessa, non distando molto da Atene, ex centro della crisi dell’eurozona e in lenta ripresa dopo anni di crisi economico-sociale.

Che la nuova amministrazione Trump non giovasse come sperato all’economia della nazione era già chiaro da tempo e innumerevoli, autorevoli esperti si sono già espressi in più occasioni a tal proposito. Scoprire però che il rischio di credito statunitense non è di molto più allettante rispetto a quello greco (e anzi persino peggiore di quello italiano) è un dato decisamente più allarmante, che fa temere per il debito pubblico americano ben più di quanto lasci trasparire la Casa Bianca.

Certo, si tratta di scenari distinti e molto differenti tra loro, e la lettura di questi dati non può prescindere da tutti i fattori in gioco. Ciononostante, l’immagine degli Stati Uniti, l’affidabilità e la solidità con cui vengono percepiti a livello globale diventano sempre più deboli. Un clima di incertezza e sfiducia persistenti che si devono senza dubbio al ruolo di Donald Trump e a suoi metodi, spesso altalenanti, di intraprendere strategie e comunicare con il resto del mondo.

Gli Stati Uniti sullo stesso piano della Grecia?

Il confronto tra gli Stati Uniti e la Grecia potrebbe sembrare azzardo e in effetti ci sono delle importanti differenze di cui tenere conto, ma sicuramente aiuta a leggere con più chiarezza i dati. I credit default swaps (Cds) degli Stati Uniti sono saliti toccando i 54 punti base, distando pochissimo dai 57 punti della Grecia e superando anche l’Italia che si attesta sui 53 punti. La distanza rispetto ai Paesi più affidabili, con il rating tripla A - che gli Stati Uniti hanno perso nuovamente, dopo la prima volta nel 2011 - è abissale. La Germania, per esempio, ha 12 punti base.

Bisogna peraltro notare che anche gli Stati eccellenti non hanno un debito pubblico chissà quanto contenuto, piuttosto caratteristiche che ne assicurano la sostenibilità e l’affidabilità, oltre a un Pil tendenzialmente alto. Il confronto con la Grecia è determinante, anche se si tratta di nazioni molto differenti, con storia, problemi e punti di forza diversi, nell’immagine complessiva dei nuovi Stati Uniti.

Mai in default, ma sempre più inaffidabili

La Grecia ha iniziato una lente e prudente ripresa soltanto negli ultimi anni, dopo una crisi di oltre un decennio che l’ha avvicinata moltissimo al rischio di default. Un’eventualità che comunque resta piuttosto improbabile, come confermato dal segretario al Tesoro americano, Scott Bessent, secondo cui appunto: “gli Stati Uniti non andranno mai in default”. Sicuramente c’è un certo sforzo per non minare l’immagine statunitense, ma in questo caso le affermazioni di Bessent sembrano piuttosto obiettive, almeno allo stato attuale delle cose.

L’aumento della domanda dei Cds, infatti, corrisponderebbe a un tentativo di copertura contro il rischio politico e non contro l’insolvenza. Questa analisi viene condivisa anche da Rong Ren Goh, gestore di portafoglio di Eatspring Investments. Si torna alla politica di Trump e all’incertezza creata, tanto da pregiudicare il futuro del dollaro come valuta di riserva mondiale. Gli analisti, di fatto, non sono convinti che gli Usa riescano a finanziare la riduzione delle tasse - troppo bella per essere vera - con i dazi, soprattutto nel modo e nella misura in cui il tycoon li sta applicando. L’unica cosa certa, oggi, è che si è sempre più lontani dal «Make America great again» che ha accompagnato la (seconda) campagna elettorale di Trump e senza dubbio anche le sue intenzioni, trovando poi difficoltà di applicazione.

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